Intelligence e scienze umane

del 11 Aprile 2016

Intelligence e Scienze Umane

Una disciplina accademica per il XXI secolo

a cura di Mario Calgiuri

Recensione di Nicola Siciliani de Cumis

Il primo problema è capire l’opera come la capiva l’autore stesso[…]. Il secondo problema[…]l’inserimento nel nostro contesto (estraneo all’autore). di Michail M. Bachtin
In premessa
Su “il Quotidiano del Sud” del 28 febbraio 2016, nella rubrica delle Lettere a cura di Annarosa Macrì, con il titolo Intelligence e intercettazioni commedia degli equivoci, è stata pubblicata una corrispondenza tra il signor Maurizio Silenzi Viselli di Trebisacce (Cs) e la brillante giornalista. Scrive Silenzi Viselli:
Gentilissima signora Annarosa, ormai lo sanno tutti, gli Americani, quando lo ritengono necessario, intercettano tutti quelli che vogliono. Il mostruoso satellite adibito allo scopo ruota incessantemente intorno al pianeta. Inesorabile. Ma, come tutte le macchine costruite dall’uomo, a volte fa cilecca. È successo infatti che il gigantesco volatile d’acciaio abbia intercettato per sbaglio il cellulare di un cascherino di pizzicagnolo romano, che ha la bottega di salami in pieno centro storico, a pochi passi da Palazzo Chigi.
Può succedere. L’evento ha il suo interesse nel fatto che il malefico uccello spione ha creduto trattarsi del cellulare del Premier. Ancora più paradossale è risultato il fatto che le trascrizioni delle telefonate del garzone non abbiano minimamente insospettito le agguerrite volpi investigative americane. I discorsi del ragazzetto de bottega sono sembrati perfettamente in linea con quelli del premier. “No, non ce vengo a pia’ le botte giù da li giudii”. Diceva il fattorino ad un amico che gli proponeva una sassaiola con un’altra banda nei pressi della Sinagoga. E loro, gli 007, pensavano che il Premier escludesse un impegno dell’Italia in Medio Oriente (pronunciando il pensiero nel solito sbrigativo modo). “No, domani nun se potemo vede, c’ho da sistem’ ‘na cosa in banca per padrone”. Quelli, sempre loro, pensavano che parlasse di una qualche banca di famiglia in corso di salvataggio (anche questo perfettamente in sintonia con le dichiarazioni ufficiali). “Questo li frega tutti”, diceva al suo amichetto parlando del droghiere, “c’ha la bilancia truccata”. E veniva interpretato come una spiegazione sulle fandonie sparate dal Ministro del Tesoro sulla bilancia dei pagamenti, il debito pubblico ecc. Un disastro interpretativo che, purtroppo, anche in questo caso, veniva confermato dalla realtà ufficiale dei fatti. L’equivoco, che ha gettato nello sgomento tutto lo staff di spioni a stelle e strisce, si è clamorosamente rivelato nel momento in cui dalle trascrizioni è emersa una frase intelligente e profonda: “Ma questo non può essere il Premier italiano!”, ha sbottato un semplice caporale che stava solo di guardia alla porta dell’ufficio intercettazioni. “Verissimo!”, ha convenuto sbigottito il capo delle operazioni, “quell’individuo non è in grado di pensare cose simili! Chi cavolo stiamo intercettando?”. È bastato rimuovere l’errore tecnico e tutto è tornato nella logica si sempre. Un caro saluto”.
La lettera, considerati i suoi contenuti squisitamente “palazzochigiani”, riporta subito alla memoria il 27 gennaio 2016, giorno della presentazione nella Sala Stampa della Camera del volume Intelligence e scienze umane. Una disciplina accademica per il XXI secolo, a cura di Mario Caligiuri, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016, pp. 168, € 15,00. Intelligence e scienze umane. Evento culturale in anteprima nazionale, a cura di Paolo Messa, Paolo Scotto di Castelbianco e Florindo Rubettino. Questo il comunicato stampa che, anche a rischio di una qualche unilateralità o sovrabbondanza argomentativa e didattica, viene qui di seguito trascritto integralmente a futura memoria, magari per il caso in cui il testo e il video della conferenza in https://webtv.camera.it/evento/889 risultasse oggetto di “(mal)trattamenti intelligenti” del tipo di quelli descritti nella lettera del signor Silenzi Viselli di Trebisacce… Una lettera che, al di là del merito, suscita subito alcuni interrogativi di natura identitario-investigativa: Silenzi Viselli, due cognomi o due pseudonomi? E poi: perché sono proprio “tre” le “bisacce” di Trebisacce? Cosa nasconde e, soprattutto, cosa trasporta ciascuna di esse? Quale complotto viene oscurato da quell’equivoco, omertoso silenzio che si camuffa nei “Silenzi” del sig. Silenzi, per giunta Viselli, in realtà Voltelli, forma contratta a “volto” copertto di Ri-voltelli, che sta per il femminile di Rivoltelle, prova evidente di un incontestabile traffico d’armi? Basta leggere con attenzione e nella sua interezza il comunicato stampa della casa editrice, per rendersene conto. Pur trattandosi vistosamente di università, anche un bambino delle medie inferiori capirebbe da sé che i lemmi e/o le espressioni “adrenalina”, “proiezione strategica”, “puntare”, “007”, “rete di riferimento”, “uso maniacale”, “sfida” ecc. ecc., nascondono intenzionalmente ben altri intenti da quelli di un puro e semplice comunicato stampa. Leggere per credere:
“L’intelligence deve diventare a pieno diritto materia di studio nelle università italiane”. È il messaggio emerso nella conferenza stampa di presentazione del volume curato da Mario Caligiuri, ‘Intelligence e scienze umane. Una disciplina accademica per il XXI secolo’, edito da Rubbettino e presentato in anteprima nazionale questa mattina a Roma alla Sala Stampa della Camera dei Deputati. Ha coordinato Paolo Messa, fondatore di ‘Formiche’, rivista che, insieme al Centro di Documentazione scientifica sull’Intelligence dell’Università della Calabria, ha concorso a promuovere la manifestazione. Caligiuri ha spiegato che l’intelligence è uno strumento per tutti: cittadini, imprese ed istituzioni, poiché consente di selezionare le notizie davvero utili, difendendosi così dalla “disinformazione permanente”. Ha poi illustrato l’interesse scientifico sull’argomento dell’Università della Calabria nel corso degli anni: i corsi universitari, il Master sull’intelligence presieduto da Francesco Cossiga (che proprio in questi giorni sta raccogliendo le adesioni fino al primo febbraio), il Centro di Documentazione Scientifica, la collana editoriale. Ha preso poi la parola il Direttore della Scuola di Formazione del Comparto Intelligence, Paolo Scotto di Castelbianco. “Il mondo universitario – ha detto – è il nostro più grande alleato. Stiamo investendo moltissimo nel rapporto con l’Accademia, per creare una rete di riferimento di eccellenze in grado di migliorare la capacità di proiezione strategica dell’intelligence e favorire lo sviluppo di studi scientifici sulla sicurezza”. “L’homo novus dell’intelligence deve saper coniugare gli aspetti tecnologici con quelli umanistici”, ha proseguito Scotto di Castelbianco, tracciando l’identikit dei nuovi 007: “È giusto che sia digitale ed esperto di Internet, ma la cura e l’uso maniacale della tecnologia non deve portare a tralasciare l’elemento umanistico”. Da qui la necessità e la volontà di “puntare” sul mondo accademico e universitario. “Noi stiamo cercando di mettere un segno diverso: l’adrenalina è la nostra sfida intellettuale”, assicura Scotto di Castelbianco, che aggiunge: serve, “senso istituzionale, ma soprattutto adrenalina culturale”. Noi mettiamo a sistema, in rete, energie intelligenti”. E la “ricerca del fare sistema non è uno slogan, ma già una realtà”. Il responsabile della Comunicazione istituzionale del DIS ha poi ricordato gli incontri che si sono svolti finora in 23 atenei di tutta l’Italia e le prime trenta assunzioni di operatori dei servizi effettuate nelle università. Ha concluso l’editore Florindo Rubbettino che ricordato che l’impegno per una società aperta, richiamando il filone del pensiero liberale che è stato negli anni promosso dalla propria casa editrice, ha bisogno appunto di più intelligence, cioè di reale comprensione degli avvenimenti. Ha poi evidenziato le pubblicazioni sul tema che furono iniziate nel 2002 con il libro di Francesco Cossiga “Abecedario” e proseguite con i volumi del Centro di Documentazione Scientifica dell’Università della Calabria e quelli della Fondazione ICSA, oltre ai recenti volumi di Dario Antiseri e Adriano Soi sul metodo scientifico e di Giancarlo Elia Valori sulla geopolitica. Ha concluso Mario Caligiuri che ha evidenziato l’interesse verso l’iniziativa del Segretario Generale della CRUI Alberto De Toni ed ha anticipato una serie di presentazioni del volume che avverranno in tutta Italia, mettendo il risalto il ruolo che nella crescita di queste relazioni sta avendo la Scuola di formazione del DIS. All’evento hanno partecipato il senatore Giuseppe Esposito, vice presidente del Copasir, Angelo Tofalo, deputato di 5 Stelle e membro del Copasir, e il Presidente della Commissione Giustizia del Senato, Nico D’Ascola.

Il libro
L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste in nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi. Marcel Proust
Non è un caso, quindi, che addentrandoci nella lettura del libro a cura di Caligiuri e andando all’osso dei “paradossi” da lui individuati, su cui si regge un’Intelligence intelligente e accademicamente con le carte in regola, si arrivi a cogliere con chiarezza e contemporaneamente ad ignorare ciò che sottende la relazione (mai un’opposizione!) di “intelligence” e “scienze umane” (posto che si sia d’accordo sui termini di un siffatto rapporto). E ciò a maggior ragione se la connessione accademica invocata viene a stabilirsi con l’apporto privilegiato delle “scienze dell’educazione” – benché rimangano sul tappeto svariati nodi teoretici e pratico-operativi da sciogliere e dimensioni abnormi e contraddittorie dell'”Intelligence”, difficilmente scandagliabili, razionalizzabili, pedagogizzabili. A meno che la “teoria dell’indagine” e la relativa “logica”, con ascendente supremo nell’opera di John Dewey (giacché in Intelligence e scienze umane davvero tante sono le prove in tal senso), non facciano “sistema” con un prisma di altre dimensioni epistemologiche e concorrano intanto a costruire a tale scopo un questionario formativo, che nei limiti dell’esperienza dell’autore di queste note si potrebbe immaginare grosso modo di questo tenore:
a) Come è possibile che la cosiddetta società dell’informazione stia oggi finendo paradossalmente col tradursi in una vera e propria società della disinformazione? Quanto c’entra (se c’entra), nella formulazione di una risposta a questa prima domanda, l’ormai celebre uscita di Franco Ferrarotti su Un popolo di frenetici informatissimi idioti (Chieti, Solfanelli, 2012)? In che senso, quindi, “la fonte del pericolo oggi, non è più l’ignoranza ma la conoscenza”? (M. Caligiuri, p. 7).
b) Quale inedita direzione “altra” – anche e soprattutto ai fini di una radicale riforma e autoriforma dell’università italiana – , potrebbe adottare fondamentalmente e diffusamente la diade “intelligence”/”scienze umane” in rapporto al nesso di ricerca e didattica, di ricerca “di base” e ricerca “alla base”, di democrazia e meritocrazia? Se è di “una disciplina accademica per il XXI secolo” che si tratta, davvero un’impresa universitaria del genere di quella prefigurata dal volume Intelligence e scienze umane, potrebbe affrontarsi e risolversi costruttivamente nel nostro Paese con la speranza di un qualche successo, disattendendo, come continuano ad essere drammaticamente disattesi, gli articoli 3 e 34 della Costituzione della nostra Repubblica (Id., pp. 13-17).
c) Che cosa si vuol dire quando si dice Per una pedagogia della democrazia? Che è la pedagogia ad insegnare l’oggetto democrazia alla democrazia, o che c’è una pedagogia che pertiene soggettivamente alla democrazia? Nel gioco dei “valori” oggettivi e soggettivi del genitivo “della” (che sta al centro della medesima espressione “per una pedagogia della democrazia”), da dove incominciare per conferire alla realtà della democrazia una qualche corrispondenza non fittizia tra i significanti e i significati dei due termini di cui consta l’espressione democrazia reale? (G. Spadafora, pp. 19 sgg.).
d) E nell’insieme di Intelligence e scienze umane come si ripercuote una siffatta problematica? E, nella specie, la celebre distinzione deweyana delle due democrazie (“reale” e “formale”) quanto e come interferisce con l’Intelligence nella società globalizzata? Quale “sistema di potere occulto istituzionalizzato” potrebbe mai assumersi “la responsabilità di migliorare l’organizzazione dello Stato”, ben sapendo che “spesso, come la storia ha dimostrato, può deviare e non essere controllato”? (Id., p. 31).
e) Quanto pesa in un siffatto ordine di pensieri il condizionamento sociale? Se si chiede “attenzione per favorire lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo”, un intento intenzionalmente conoscitivo di tal genere da dove comincia, quanto si estende, quanti e quali individui comprende? Quali e quanti esclude? È tollerabile ammettere in partenza una teoria dell’inclusione come allegramente coesistente con una pratica dell’esclusione? (Id., p. 32).
f) Se una “costruzione dialogica intersoggettiva” deve potere contare su un “differenziale di potere” che si traduca in una “possibile collaborazione” sul piano di una “pedagogia della democrazia”, come la mettiamo – per lo meno qui in Italia – con la negazione sistematica di una tale opzione “di principio”? Cosa facciamo nei nostri possibili ambiti di interferenza, scientifica, didattica, etico-politica, per modificare sostanzialmente i termini della suddetta, esiziale contraddizione? (ibidem).
g) Se è all'”interiorizzazione delle norme” e alla “responsabilizzazione etica” che ci si appella, può bastare il rimanere inossidabili nel recinto dell'”individuo”, senza prendere per le corna il toro della socialità, dei contesti, dei vasi comunicanti, dei collettivi e stili di pensiero, e in ultima analisi della corresponsabilità? E, per converso, come rompere il cerchio delle omertà noetiche e delle connivenze etiche? Degli alibi individuali come fondamento degli alibi sociali, totali? (Id., pp. 32-33).
h) Ferma restando l’indubbia buona fede di chi ne discorre, non risulta fuorviante e dunque deleterio concludere il ragionamento in tema di “pedagogia della democrazia”, approdando soltanto alla fine dei nostri ragionamenti al “grande problema della povertà” e della “possibile realizzazione della giustizia sociale”, quando invece non si tratta d’altro che di una elementare questione di principio”? (ibidem). Benché impervia – come per esempio sa bene, da par suo, l’economista, finanziere e educatore Muhammad Yunus, quando nell’introduzione a Il banchiere dei poveri (Con la collaborazione di A. Jolis. Nuova edizione ampliata, Milano, Feltrinelli, 2000), dichiara:
Grameen mi ha insegnato due cose. Primo, la nostra conoscenza delle persone e dei modi in cui esse interagiscono è anco-ra molto inadeguata; secondo, ogni persona è estremamente importante. Ciascuno di noi ha un potenziale illimitato, e può influenzare la vita degli altri all’interno delle comunità e delle nazioni, nei limiti e oltre i limiti della propria esistenza.
In ognuno di noi si cela molto più di quanto finora si sia avuto la possibilità d’esplorare. Fino a che non creeremo un contesto che ci permetta di scoprire la vastità del nostro potenziale, non potremo sapere quali siano queste risorse.
Spetta solo a noi decidere dove andare. Siamo noi i piloti della nave spaziale chiamata Terra. Se prendiamo sul serio i nostri compiti non possiamo che arrivare là dove abbiamo pensato.
i) E se, a partire dalle succose, deweyanamente e gramscianamente spregiudicate ma veritiere note su Intelligence e scienze storiche, si precisasse ulteriormente il discorso del rinvenimento ovvero dell’invenzione delle fonti storiche, dal punto di vista di un metodo storiografico ascendente e non soltanto discendente? Se cioè ci si persuadesse di prendere metodologicamente le mosse dalla quotidianità (giornali, internet, tracce di vita vissuta, “filologia vivente” ecc.), procedendo all’indietro nella direzione del passato, e non soltanto, muovendo da un passato, sia pure prossimo, nella direzione del presente? In altri termini, come rintracciare intelligentemente nel presente le fonti di una intelligence coniugabile al futuro, per una cultura e un’azione politica del qui e dell’ora, subito? (V. Ilari, pp. 37-41).
j) Discorrendo di Intelligence e scienze giuridiche, da dove comincia l’intelligenza dell’intelligence? Da un obiettivo di “sicurezza nazionale”, dall'”umanità” delle “scienze umane”, dalla “cultura dell’intelligence”, dalle sue tecnicizzazioni e universitarizzazioni e dalle relative “comunicazione” e “immagine”). E se prima di tutto riprendessimo in mano la Costituzione italiana, a partire dall’articolo 27 sulla “rieducazione” di chi è in carcere, e sul presupposto che sia la società civile nel suo complesso a dovere essere preventivamente educata e rieducata? E se – per non fare civilmente “pena” – anziché essere soltanto le scienze giuridiche “al servizio” dell’intelligence, fosse l’intelligenza dell’intelligence al servizio delle dimensioni giuridiche (de iure condito e de iure condendo) dell’esperienza? (C. Mosca, pp. 43-55).
y) Non è dalla “centralità” del “ruolo del sistema educativo in generale e dalla scuola in particolare”, che allora prendere le mosse, quando si vuol trattare di Intelligence e scienze politiche? Sì, non avrei dubbi su quanto appresso:
Va da se che però l’intero sistema didattico vada rivisto e adeguato al nuovo contesto in cui si inserisce, perché se la scuola che dovrebbe essere la sede di costruzione del cittadino informato che, in quanto tale, riesce a resistere all’onda delle informazioni e sa selezionarne il flusso, ha bisogno di essere riformata quasi dalle fondamenta. L’impianto della didattica appare infatti ancora orientato alla necessità di reperire informazioni, mentre oggi il problema è quello opposto: come scegliere tra le tante che abbiamo”. E, dunque, il problema del “modificare” necessariamente il “sistema mediatico” nella direzione dell’ “interesse pubblico”. Problemi da cui prendere preliminarmente le mosse per fare vivere nell’impegno di ciascuno e di tutti i cittadini e la forma e i contenuti della stessa democrazia e quindi un’idea di educazione alla pace e di formazione dei singoli, dei gruppi e delle masse. (G. Galli, pp. 57-64).
k) Ed è una problematica che in Intelligence e scienze umane si ritrova adattata, mediante creativi traduttori e moltiplicatori planetari, quando si viene a trattare di Intelligence e relazioni internazionali in rapporto ai “mutamenti paradigmatici” oggi in corso. Relazioni internazionali e mutamenti paradigmatici assai difficili da prevedere, identificare, condizionare, governare politicamente… Considerato che l’analisi d’intelligence, soprattutto nel campo delle relazioni internazionali, non può essere soltanto tradecraft (arte, esperienza, conoscenza pratica), ma deve essere parte integrante di un procedimento scientifico che può essere insegnato, a differenza della tradecraft che richiede anni di perseverante lavoro e che non può comunque dare una conoscienza oggettiva, dato che la comunità d’intelligence è di solito priva dei meccanismi autocorrettivi della comunità scientifica. È solo l’utilizzo del metodo analitico scientifico che costituisce un valido rimedio alla fallacia delle percezioni idiosincraticamente orientate. Ecco perché va raccomandata almeno una collaborazione fra gli organi dello Stato preposti e le Università e i centri di ricerca. (U. Gori, pp. 71-72).
l) Ma da dove, e con quale didattica, incominciare? Da qui, forse. Dalla poesia ch’è rivoluzione e dal fatto che ciascuno cresce solo se sognato. Dunque, da alcuni versi di Danilo Dolci, dal Poema umano:

Per educare

Per educare meglio non inizi
dalla grammatica, dall’alfabeto:
inizia dalla ricerca del fondo interesse
dall’imparare a scoprire,
dalla poesia ch’è rivoluzione
perché poesia.
Se educhi alla musica:
dall’udire le rane,
da Bach, e non da pedanti esercizi.
Quando avranno saputo, i tuoi alunni
può una carezza essere infinite
carezze diverse, un male infiniti
mali diversi,
e una vita infinite vite,
arrivando alle scale chiedi le suonino
tesi come una corda di violino
con la concentrazione necessaria
al più atteso concerto.
Non temere di rimanere
solo.
Inizia con pochi
a garantire qualità all’avvio,
per essere di tutti:
elastico con chi non sa capire
aperto al diverso
non lasciarti annegare in confusioni arruffone
da chi è inesatto e impuntuale cronicamente –
taglia netto.
E soprattutto cerca di scoprire
la necessaria dialettica
tra l’impegno maieutico e l’assumere
responsabili scelte.

C’è chi insegna

C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.

Profondamente stimavo un amico
quasi invidiando un altro, a cui diceva
stupido, e non a me.

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato

m) Sì, se segnato, dalle scuole elementari, alle medie, all’università e anche dopo, lifelong learning. E quindi anche nell’università di massa, dove tuttavia, contro le stesse leggi dello Stato, non sia praticamente impossibilitato. Vietato. Anche se rimane in piedi la domanda posta originariamente da Kant, nelle sue cause “conflittuali” e nei suoi effetti bellici. Con una precisa conseguenza per l’intelligence e per le facoltà universitarie e i loro “conflitti” e necessari “superamenti”, tra Intelligence e science sociali:

Perché il sapere delle università, il pensiero libero di spaziare in ogni direzione senza preoccuparsi degli interessi che pos-sono essere serviti dai propri approdi, va molto più lontano di ogni tipo d’intelligence variamente definito? […] Il ponte tra università e intelligence è più necessario che mai in tempi di lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. Argomenti sui quali la conoscenza razionale, la fredda analisi delle cosae, rischia ogno giorno di essere sommersa dalle esigenze di propa-ganda politica o delle semplificazioni ed esagerazioni dei media.
La “marcia in più” della ricerca disinteressata, in grado di cogliere verità magari sgradevoli nell’immediato ma suscettibili di tramutarsi in buone guide per il futuro, è indispensabime se si vuole garantire sicurezza a tutti. (P. Arlacchi, p. 73 e p. 78).

n) Per cui trattandosi di università, l’intelligence non può che essere una sicurezza universitariamente intelligente, che affondando le sue radici nel passato guardi e operi nella direzione dell’università di domani. Quella votata al pubblico riconoscimento dei suoi altrettali risultati scientifici e didattici individuali e collegiali, tra meritocrazia e democrazia. Nei seguenti, imprescindibili termini “di principio” e “obiettivi procedurali”:

Per nulla al mondo io vorrei tolta ai miei scolari la gioia orgogliosa di avere scoperto, essi per primi, grazie a metodo fattosi abito e a perspicacia cresciuta dall’esercizio, qualche cosa che riguardi la vita e le opere di un grande, e fosse pure una mini-ma cosa. È desiderabile, mi pare, che il giovane entri nella vita con la lieta coscienza di essere stato anch’egli un giorno, an-che un giorno solo, un ricercatore, uno scienziato. Chi giudica altrimenti, avrà tradotto, cioè ridotto in forma unica, piatta, tutto il traducibile, ma ha certo sentito poco e pensato ancor meno, e alla ricerca storica o, comechessia, scientifica è negato,
perché gli manca il senso del problema. […] È inevitabile mi sembra sancire l’obbligo della pubblicazione della dissertazione approvata. La scienza non consiste mai nei resultati, ma sempre nella via percorsa, nei metodi adoprati per conseguirli: essa è sempre abito mentale e capacità, mai possesso. E però essa si prova non propriamente per mezzo di esami, ma proponendo i resultati e i metodi della ricerca alla verifica dei competenti, cioè pubblicandoli. L’esame orale non ha, in questo caso, altro valore che sussidiario […] Scienza è approfondimento anche di un solo problema: taluno può avere arato un piccolo campo, ma, se ha scoperto una verità o aperto la via a essa, egli è scienziato, e la sua attività è legittima e ha diritto di essere apprezzata, ancorché egli sia poi uno specialista serio serio e manchi perfino di cognizioni e abilità indispensabili per la professione.

o) Segue, a questo stesso proposito – anche con riferimento al contributo di Gerardo Iovane in tema di Intelligence e ingegneria dell’informazione (a proposito di natura deterministica dei numeri primi tra codifiche, cifre e l’uomo (ivi, pp. 84-87) – , un intermezzo sulla didattica di Lev N.Tolstoj, che assai prima di Don Lorenzo Milani scrisse a proprio modo a Jasnaja Poljana la sua brava Lettera a una professoressa…
p) E, a proposito di Intelligence e scienze psicologiche di Tiziano Agostini e Alessandra Galmonte (vedi soprattutto le pp. 90 e 98), perché non ricordare come fondamentali e non surrogabili le opere di Maria Montessori e quella di Lev S. Vygotskij?
q) Eppure, venendo ai pionieristici contributi accademici italiani di Francesco Sidoti, riepilogati nella utilissima conclusione “morale” di Intelligence e scienze umane in fatto di Intelligence e scienze dell’investigazione (ivi, pp. 103-145), è ancora del Dewey di Logic, The Theory of Inquiry che, nel costituirsi della nuova e indispensabile Disciplina accademica per il XXI secolo, si continua a sentire l’esigenza. Un’esigenza prioritaria. E da integrare.
r) Un’esigenza che si ritrova confermata nella Postfazione a Intelligence e scienze umane di Roberto de Mattei, su Intelligence e Scienze Umane. Una disciplina strategica per il XXI secolo (ivi, pp. 147-151) e che si può direttamente e/o indirettamente dedurre dalle Bibliografie in calce ai singoli contributi al volume e dai curricula in filigrana deducibili dalle Note sugli autori (ivi, pp. 153-157).
s) Ancora. Dal punto di vista di chi scrive e nei limiti delle sue esperienze di studio, un aggiornamento delle osservazioni svolte o accennate nella presente recensione potrebbe essere rappresentato da alcune altre occasioni di studio di autori in via di ipotesi utili agli scopi scientifici e didattici di una Intelligence universitariamente intelligente:
t) Pasquale Rossi e la Demopedia e Jean Piaget, Epistemologia genetica
u) Antonio Gramsci Lettere dal carcere e Quaderni del carcere.
v) Celestin Freinet, gli scritti sulla tipografia in classe.
w) Anton S. Makarenko, Pedagogičeskaja Poema e Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa.
y) Gianni Rodari, Grammatica della fantasia e tutti i racconti e scritti didattici che ne discendono e Franco Ferrarotti, La sociologia come partecipazione e Storie di vita.
x) Carlo Ginzburg, Spie e altri scritti metodologici sul paradigma indiziario. E non pochi storici, filosofi, epistemologi, psicologi, sociologi, educatori, pedagogisti, metodologi, scrittori, saggisti, umoristi, giornalisti ecc., di cui sarebbe qui lungo fare i nomi.
z) Fin qui, una dei sette miliardi e passa di elementari, provvisorie sistemazioni alfabetiche, che per intanto vuol dare l’ultima parola alla fantasia pedagogica del vecchio giordanobruniano “academico di nulla academia” Antonio Labriola, che a un dipresso centosedici anni fa, proprio in fatto di intelligence storiografica e etico-politico-pedagogica intelligente, così veniva argomentando:

Al postutto, quale è il mezzo pratico per misurare la nostra cultura storica? Eccolo, è semplicissimo: ̶ la nostra capacità ad intendere il presente. Recatevi nelle mani i giornali dell’ultima quindicina. Abbiate sott’occhi un passabile atlante geogra-fico. Fate di aver libero maneggio delle ovvie cronache annuali riassuntive. Capite l’ultima notizia? Che cosa è questa guerra del Transwaal, questo ultimo atto di resistenze dei costumi e delle libertà endemiche contro l’universalismo inglese, questa ultima obiezione armata del villano contro il capitale invadente? E di quanto bisogna retrocedere e di quanto bisogna adden-trarsi per risolvere i fatti politici attuali nei momenti e nei moventi, di remota preparazione quelli e di intima impulsione questi?

Per concludere, ab initio

Quando le cose diventano troppo complicate,
è bene fermarsi e chiedersi se ci si è posti la domanda giusta.

Enrico Bombieri

Interrogativi che, mutatis mutandis, dal punto di vista metodologico e in via puramente esemplificativa, suggeriscono di riandare didatticamente alla lettera del sig. Maurizio Silenzi Viselli di Trebisacce, apparsa su “il Quotidiano del Sud” del 28 febbraio 2016 e di cui si diceva nell’incipit di queste note: e di completare l’informazione con la risposta della giornalista titolare della rubrica delle lettere al quotidiano, Annarosa Macrì. Un divertissement a due voci, che se pure nella giocosa leggerezza e nell’icastica sua dimensione “umoralistica”, può indurre a ripensare in modo poi non tanto eccentrico la serissima materia che un libro come Intelligence e scienze umane toglie dalle ombre che stiamo attraversando e illumina di luci critiche e autocritiche composite, diversificate, da non spegnere e, se mai, da alimentare disciplinarmente, con rigore scientifico e cura didattica grandi.
Questa dunque la risposta a Silenzi Viselli:
Ah, carissimo amico, Plauto sarà morto di nuovo, dalle risate. Se non è commedia degli equivoci questa… e gli equivoci, si sa, [sono] come le barzellette. O come le ciliegie: una tira l’altra. Quel pover uomo di Berlusconi, l’avrà letto, ha rischiato di far crollare il mercato mondiale delle carni con la bufala, è il caso di dirlo, della sua conversione alla fede vegetariana. E tutto, anche nel suo caso, per un equivoco nato da un’intercettazione ambientale. “La carne è debole”, aveva detto il Berlusca alla sua ex favorita Francesca, invitandola a farsi più in là perché aspettava visite, una fanciulla in fiore di nome Lavinia e di fatto più giovane di lei di quasi dieci anni. “Gallina vecchia fa buon brodo”, provò a rilanciare Francesca. Niente. “Non c’è trippa per gatti”, decise irremovibile Silvio. L’intelligence man che lo spiava ebbe un sussulto e decise di fa’ l’americano (anche perché lo era): “Tu me provochi, dear Silvio? E io me te magno: com’è che dite voi? Tanto va la gatta al lardo…”. Aveva ragione. Lo zampino il Cavaliere nel lardo ce lo lasciò davvero (calma, che avete capito?, è solo un modo di dire…) quando, urlando come un matto, disse al telefono a quell’osso duro di Gasparri imbufalito dalla rabbia: “Il macellaio non lo voglio più vedere né sentire… non pronunciate più il suo nome in mia presenza, è un ordine! Nella mia mangiatoia si son saziati cani e porci, soprattutto porci: adesso basta!”. L’intelligence man non ebbe più dubbi, Silvio non voleva più avere a che fare col macellaio!, e siccome non era figlio di Maria, ma solo una povera spia, telefonò in un baleno al suo capo per comunicargli che non c’erano più dubbi: Berlusconi era diventato vegetariano. Non sapeva (ah, l’intelligence degli intelligence men…) di essere a sua volta intercettato da quelli del “Fatto quotidiano”, che, detto fatto, titolarono a caratteri cubitali: “Berlusconi ha chiuso con i piaceri della carne. Non va più dal macellaio”. Peccato che “il macellaio” di cui parlava il Cavaliere era Denis Verdini, che coerente col suo passato del ramo, votando la fiducia a Renzi per la legge sulla unioni civili, della sua fedeltà a Berlusconi aveva fatto carne di porco e di tutto il Centrodestra un macello, un vero macello”.

clicca qui per acquistare il volume con il 15% di sconto

Altre Rassegne