Geopolitica della saluteAscesa e caduta dell’Organizzazione mondiale della sanità (linkiesta.it)

di Nicoletta Dentico, del 20 Febbraio 2021

Lo spaccato più eloquente sullo stato di smarrimento in cui versa l’Oms – smarrimento senza dubbio comprensibile dopo un anno vissuto sull’onda virale di Covid-19 – si è avuto in presa diretta durante la recente sessione speciale del Consiglio esecutivo, il 5 e 6 ottobre 2020.

Una sessione in forma ibrida ovviamente – partecipazione ridotta in presenza e in maggioranza online – perché è questa la veste del nuovo “multilateralismo zoom” che contribuisce esso stesso allo smarrimento, in misura non trascurabile.

Il tema all’ordine del giorno era unico, e riguardava la risposta globale alla crisi sanitaria provocata da Covid-191. Da mesi, un gruppo di governi (Austria, Gran Bretagna, Kenya, Romania, e altri) aveva chiesto più volte al Segretariato e alla Direzione una qualche consultazione, un coinvolgimento degli Stati membri nella gestione della situazione pandemica.

Troppe cose erano successe dall’ultimo incontro del Consiglio esecutivo all’inizio di febbraio, in questo 2020 vissuto pericolosamente anche sotto il profilo istituzionale e geopolitico, oltre che sanitario, senza il benché minimo coinvolgimento dell’organo di governo dell’Oms.
Del profondo disagio si è fatto portavoce a ottobre Clemens Martin Auer, capo delegazione dell’Austria, con parole inequivocabili:

…è anche una questione di principio. Se il Consiglio esecutivo sia un organismo di governo attivo, o se sia un mero organismo cerimoniale, chiamato solo ad esprimere la gratitudine per il buon lavoro che fate.
Io voglio vedere un Consiglio esecutivo attivo, un organo che sappia guidare tutti noi nella traversata di questa pandemia e delle sue crisi… Noi siamo l’organo di governo, dobbiamo esercitare una leadership.

Non è stato il solo. Gli ha fatto eco il delegato di Israele, quando ha voluto mettere in evidenza che «…sviluppi rapidi richiedono opportunità più frequenti di consultazioni inclusive e di contributi dagli Stati Membri. Chiediamo all’Oms di facilitare dedicate discussioni».

Insomma, la sensazione generale, al netto di un incontro privo di un chiaro senso di orientamento e di mordente decisionale, è che i rappresentanti dei governi sentissero soprattutto l’urgenza di un richiamo alle regole del gioco, di una doverosa esortazione a recuperare il mandato degli organismi di governo della agenzia, nella pur amara fatica di contare, per farsi almeno ascoltare.

Nel turbinio della più serrata crisi sanitaria degli ultimi cento anni l’Oms si trova davanti alla sfida più gigantesca della sua storia. La gestione di Covid-19 ha squarciato definitivamente il velo su tutte le sue fragilità, sguarnita com’è degli strumenti legali e dei meccanismi che le servirebbero per dare corso agli standard normativi stabiliti, priva come si trova da decenni del sostegno finanziario che le consentirebbe di rispondere alle necessità globali con autonomia e prevedibilità.

Il problema è che la pandemia da coronavirus ha sollevato ulteriori complicazioni, questioni nuove per la governance della salute globale. Ci riferiamo in particolare alle iniziative internazionali come act Accelerator e Covax Facility, che lavorano con i governi e le aziende farmaceutiche per assicurare che i vaccini e gli altri rimedi farmacologici contro il patogeno che ha sconvolto il mondo possano «rendersi disponibili su scala mondiale a tutte le economie, indipendentemente dai loro mezzi finanziari».

Queste entità sono divenute centrali nella partita di Covid-19, ma intorno a esse montano legittime preoccupazioni sul tema della loro trasparenza, della accountability ai governi e alle società che dovrebbero servire, del loro stretto rapporto con il settore farmaceutico.

Forse non è del tutto azzardato dire che l’Oms è come un personaggio pirandelliano. Un personaggio in cerca di autore. Il dr. Tedros e il Segretariato sono sempre più stretti nella morsa dello squilibrio di un mondo multipolare che ha perduto la bussola del multilateralismo.

Le relazioni internazionali fra nord e sud del mondo si inerpicano per i sentieri stretti di un commercio internazionale che è terreno accidentato di asimmetrie, con i grandi attori economici che la fanno da padroni. Nel mondo occidentale, la rivolta contro la democrazia liberale attecchisce nelle forme sempre più ruvide del populismo nazionalista, una protesta largamente condivisa e tutt’altro che effimera.

La decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’agenzia nel pieno della crisi sanitaria, del resto, è solo l’ultima spia della caduta di ogni inibizione istituzionale.

La vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali restituisce ossigeno e fa ben sperare nel rientro americano dentro l’agenzia, ma il disorientamento non è del tutto fugato quando ci rendiamo conto che i governi violano le raccomandazioni e le linee guida prodotte a Ginevra – più di 600 documenti per il personale sanitario, gli individui, le comunità, le scuole, le industrie e altre attività economiche, i governi, sugli aspetti più diversi della gestione della pandemia, con 9 milioni di download al mese, elaborati dall’inizio della crisi sanitaria.

Se lunga era la lista dei Paesi che non ottemperavano alle indicazioni dell’Oms a marzo, il dr. Tedros si vede ancora oggi costretto a dover ricordare che «nella storia della sanità pubblica non si è mai visto l’utilizzo dell’immunità di gregge come strategia per rispondere al focolaio di un virus, figuriamoci a una pandemia», perché alla vigilia della seconda ondata del virus per molti Paesi il dibattito è ancora fermo su questa nozione, che si applica ai programmi di vaccinazione.

Non possiamo poi non parlare della sfera di influenza in cui si trova dolorosamente imbrigliata l’Oms, quella specie di Idra di Lerna dei pochi governi donatori e del settore privato corporate e filantropico, che con le sue molte teste si è fatto sempre più intrusivo, non solo perché è riuscito con agilità a piazzare il suo staff anche ai vertici dell’Organizzazione – il consigliere speciale del dr. Tedros, Peter Singer, è stato per dieci anni ceo di Grand challenges Canada ed è figura molto vicina alla Fondazione Bill e Melinda Gates; la responsabile del dipartimento della comunicazione Oms, Gabriella Stern, prima di approdare a Ginevra guidava le relazioni esterne della Fondazione Bill e Melinda Gates – ma anche perché ormai sembra indiscutibilmente in grado di definire l’agenda della agenzia.

Dunque, la domanda appare quanto mai legittima, dopo tutte le cose che abbiamo raccontato, con le loro luci e le molte ombre. Serve ancora l’Oms?

Mai come prima, la pandemia del Covid-19 ha messo in luce la necessità di una organizzazione pubblica internazionale che sia forte, indipendente, per gestire la emergenza sanitaria globale. Mai come prima, Covid-19 ha rivelato il valore dei servizi sanitari pubblici e, d’altro canto, la scarsa servibilità dei servizi sanitari privati, di fronte alle grandi sfide della salute.

Come scrive Richard Horton nel suo recente libro sulla catastrofe di Covid-19, «l’Oms svolge un ruolo vitale e raduna i migliori scienziati del mondo per testare standard per la salute […] nelle nazioni più povere del mondo, l’Oms presta un servizio indispensabile ai ministeri della salute, ai servizi sanitari e agli operatori sanitari».

Il mondo dunque ha bisogno di una entità multilaterale inflessibile, e autorevole e oggi più che mai, «è necessario formare una solida coalizione di paesi determinati a difendere il carattere pubblico, la autorità e la indipendenza della Oms, cosi da permetterle di stabilire regole di sanità pubblica a livello globale con la capacità e gli strumenti necessari a metterle in pratica».

Siamo convinti da sempre che l’Oms – ovvero gli Stati membri che la compongono – abbia davanti a sé poche sostanziali sfide che non può più eludere o rimandare, se vuole continuare a esistere con un mandato rilevante. Covid-19 ha reso più evidenti e amplificato queste sfide.

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