Con un’operazione speciale sul debito pubblico, forse potremmo sottrarci all’austerità distruttiva imposta dal fiscal compact e ripartire. Ecco come (L'Impresa)

di Massimiliano Cannata, del 15 Giugno 2012

Da L’Impresa – 06/2012
Futuro del Paese.

A colloquio con Paolo Savona, Professore emerito di politica economica
Quanto e soprattutto a quali condizioni potrà reggere l’impianto dell’Euro, mentre le borse continuano a traballare e il livello degli spread, che nell’ultimo mese ha superato più volte quota 400, non dà tregua a molti governi europei?
Difficile rispondere. Rigore fino all’asfissia o flessibilità e rilancio, termini che imporrebbero solidarietà verso i paesi più deboli e rafforzamento dell’impegno della Bce per finanziare l’indebitamento crescente, che stenta a trovare disponibilità di copertura negli investitori privati, sempre più scoraggiati dal quadro economico.
Una cosa è certa: si impongono nuovi equilibri. Il dibattito sul destino dell’Europa ha trovato nella Fondazione Ugo La Malfa (www.fulm.it) un’interessante agorà di analisi e riflessione. Basta sfogliare i volumi di Giorgio La Malfa l’Europa in pericolo: la crisi dell’euro (ed. Passigli), e di Paolo Savona, Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi. Il caso Italia (ed. Rubbettino) per capire tutte le sfumature del “paradosso – come scrive lo stesso La Malfa – di una moneta che senza la forza politica degli Stati, non può stare in piedi, per cui bisognerà ripensare la costituzione dell’Europa, e il ruolo degli Stati nazionali se vogliamo uscire dall’empasse”. Paolo Savona, professore emerito di politica economica e presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi, in questa intervista concorda con l’analisi di La Malfa, che riconduce al caso italiano:«I tecnici – esordisce lo studioso – possono fare poche cose e per un tempo limitato, ma poi deve essere la politica a riprendere il controllo».
Professore, cosa pensa della nomina di tre Commissari per agire su tre voci cruciali della spesa pubblica: imprese, ministeri, partiti?
Mi sono domandato come mai dei tecnici decidono di chiamare altri tecnici. Posso capire l’esigenza di confrontarsi con esperti di fiducia per attuare scelte importanti, non credo però che questo possa essere una dimostrazione di impegno, che per altro dovrebbe essere scontato su temi così importanti. In verità, sta succedendo ciò che avevo previsto fin dall’inizio, avendo fatto diretta esperienza nel Governo dei tecnici di Carlo Azeglio Ciampi: i tecnici possono fare poche cose all’inizio, ma poi è la politica che deve riprendere il controllo. Peraltro, ricordiamoci che tra questi “super” tecnici, Giuliano Amato è un “fior” di politico a tutti gli effetti.
È possibile conciliare le esigenze di spending review con la necessità di invertire il trend recessivo che stiamo registrando?
Contrariamente a ciò che si sostiene, per avere successo, i tagli vanno fatti per tutti e nella stessa percentuale. Sul piano logico, si comprende il suggerimento della Banca d’Italia (e di altre istituzioni) che propone di operare dei tagli selettivi, ma sul piano pratico posso dire per esperienza che sono… impraticabili. Dato l’attuale livello della spesa pubblica, ogni 16 mld necessari (1% di Pil) occorre tagliare la spesa totale del 2%. Tutti possono fare a meno del 2% di stanziamento, basterebbe volerlo; se dovessi decidere in prima persona mi muoverei in tal senso. Altro aspetto problematico: il taglio della spesa andava fatto prima dell’aumento delle tasse, perché allo stato attuale risulta più difficile fronteggiare le reazioni senza mettere in crisi il Governo. L’urgenza invocata da più parti per le tasse e le possibilità limitate di un governo dei tecnici avrebbe, infatti, reso possibile tagliare le spese indiscriminatamente. Si è persa questa occasione, optando per un inasprimento del regime fiscale, ed è evidente che nella situazione attuale divenga più difficile operare una riduzione reale della spesa.

Esistono strade, per così dire, alternative che potrebbero servire ad aggiustare i conti pubblici?

La cessione del patrimonio dello stato. Anche in questo caso occorreva intervenire prin1a, cosa che avrebbe consentito un rimborso pari a 400 miliardi di titoli del debito pubblico, facendo risparmiare circa 20 miliardi di oneri finanziari che continueranno a gravare sul bilancio dello Stato. Avevo messo a punto questa operazione con il contributo determinante di Giuseppe Guarino. Mi è stato risposto che considerati i bassi valori che si sono affermati sul mercato, si sarebbe trattato di una svendita del patrimonio e che in ogni caso vendere i gioielli di famiglia è un’operazione che non va mai fatta. Evidentemente si preferisce mettere le mani sul patrimonio privato e quindi sui veri gioielli delle famiglie. Ho l’impressione che in realtà sia ancora una volta la politica a voler restare ben aggrappata ai beni pubblici, che sono stati già privatizzati, ma a proprio uso e consumo!

Si può aprire uno spazio per rifondare su basi nuove una politica economica continentale, che veda l’Italia in una posizione di protagonista?

Premesso che non vi è nulla di deterministico nelle sorti di una nazione, è sempre possibile cambiare passo. Occorre, tuttavia, avere prima una diagnosi corretta e poi una terapia, che lo sia altrettanto. La diagnosi prevalente oggi in Europa è che occorre “fare le riforme”, guarda caso cominciando dal risanamento dei deficit pubblici e finendo al mercato del lavoro. Del resto, cosa che mi pare di gran lunga più grave, dalle leggi sbagliate alle burocrazie fameliche, non si parla. Quella in corso in Europa è una svolta di destra che porta, paradossalmente, all’ascesa di forze di sinistra che hanno dimostrato di non avere una diagnosi valida per uscire dalla crisi occupazionale. L’errore dell’Italia è stato quello di non aver curato un rapporto più stretto con i francesi, un tentativo che avevo provato a esperire, come prova un documento del dicembre del 1993 di Palazzo Chigi dove vengono indicate le modalità.

Quali sarebbero stati i vantaggi di questa strategia?

Stabilire un asse politico, non dico in funzione antitedesca, ma per bilanciare il peso della Germania sarebbe stato determinante, come si sta vedendo in questa fase. L’errore è attribuibile a Sarkozy; ma Monti lo ha assecondato. Il trio “Me-Sa-Mo” che avrebbe dovuto riformare l’Unione è entrato in crisi, anche perché Monti sta per affrontare il clima paralizzante delle elezioni politiche, ed è probabile che la Merkel, come fa pensare l’esito delle elezioni amministrative del Nord Reno-Westfalia, non venga rieletta. Solo l’unione politica e una strategia europea che includa la politica fiscale potrebbero garantire l’uscita dalla crisi.

Il quotidiano spagnolo “El Pais” ha parlato di un “nuovo piano Mashall” per ottenere un gettito di 200 miliardi. Si tratta di una provocazione?

Non credo che “El Pais” volesse solo provocare. Lo ribadisco in base all’analisi che abbiamo fatto nell’intervista: la proposta è realistica, ma richiede che i nuovi leader, a partire dal neoeletto Hollande, lo vogliano. Credo che la Bce sia dalla stessa parte di “El Pais”.

Qualche settimana fa lei ha lanciato una proposta sostenendo la necessità di un’operazione speciale sul debito. Può spiegare di che cosa si tratta?

In estrema sintesi: invece di comprare titoli di Stato con i fondi messi a disposizione dalla Bce, le banche e gli investitori lungimiranti devono creare una società con capitale da 100 miliardi di euro a fronte del quale emettere 300 miliardi di proprie obbligazioni. I 400 miliardi così ottenuti acquisendo patrimonio pubblico, vengono versati allo Stato per rimborsare parte del debito statale. Il risparmio, calcolabile in circa 20 miliardi di oneri finanziari, andrebbe utilizzato per evitare di tassare le prime case e detassare i salari. Per completare l’operazione, la nuova società dovrebbe subito avviare una due diligence sul valore degli immobili e un piano di valorizzazione del patrimonio. I vantaggi di un’iniziativa del genere risiedono nel fatto che non risulterebbero più necessarie imposizioni fiscali; inoltre si riuscirebbe a imprimere una spinta alla domanda di oltre 1 punto percentuale. Senza dimenticare che il rendimento del patrimonio pubblico correttamente gestito consentirà di pagare gli interessi sulle obbligazioni emesse dalla società.

Lei ha dichiarato che siamo di fronte a una “austerità distruttiva”. Per invertire il trend di deflazione è lo Stato o il mercato a dover intervenire?

Il termine inventato dal “New York Times” si contrappone alla “distruzione creatrice” che von Hayek ha indicato come il punto di forza dell’economia di mercato, dove le imprese indebitate falliscono. La mia proposta di cessione del patrimonio intende interrompere questa tendenza dell’Unione Europea che l’Italia ha accettato. L’accordo noto come fiscal compact ha questo grave difetto: pratica un’austerità distruttrice.

“Bisogna andare al voto, aprile sarebbe troppo tardi”, ha dichiarato ultimamente. È rimasto di questo parere anche dopo le recenti elezioni?

Il vincolo esterno europeo è stato individuato dal mio maestro Guido Carli come un atto di sfiducia nella capacità degli italiani di sapersi governare. Non ho mai condiviso, né condivido questa valutazione. Gli italiani sono migliori di come li descrivono all’estero e, non di rado, in Italia. L’unico modo per responsabilizzare gli italiani è farli votare, spiegando loro che ciascuno ha il governo che si merita. Guai a pensare all’uomo della provvidenza o al malfunzionamento della democrazia!

Di Massimiliano Cannata

 

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