L’antitotalitarismo è alle corde (ItaliaOggi.it)

di Diego Gabutti, del 7 Ottobre 2023

Insidiato dai nazionalisti e dagli estremisti di sinistra

La copertina del libro

La copertina del libro

Mentre il totalitarismo, che sembrava essere svanito come un cattivo pensiero trent’anni fa, quando fu proclamata (per buone ma premature ragioni) la fine della storia, è tornato a occupare il centro della scena, la libertà in Occidente ha perso il suo appeal. Non è più «la cosa più importante, l’ultima cosa da salvare, l’estrema cittadella», come scriveva Geno Pampaloni recensendo 1984, appena tradotto, nel 1950. Eternamente sotto assedio, l’Occidente resiste da tremila anni, con alterne fortune, agli assalti del dispotismo asiatico, da cui ogni forma (anche moderna) di totalitarismo prende le mosse, e in cui affonda le sue radici.

Contemporaneamente, come nello scorso secolo e di nuovo oggi in forma più attenuata, l’Occidente deve difendersi dalle Weltanschauung totalitarie e dall’indifferenza per il lato horror delle cause illiberali che prosperano al suo interno come altrettanti rami storti della ragion politica: nel Novecento il comunismo e il nazifascismo, nel nuovo millennio il populismo, le «demokrature», Putin e Trump, il complottismo, il jihad, la cancel culture.

È una guerra culturale che cresce talvolta a guerra guerreggiata, come nella Spagna della guerra civile, quando il popolo spagnolo dovette guardarsi dal comunismo come dal fascismo, e come oggi in Ucraina, dove una potenza socialfascista mira ad annettersi una nazione tra gli applausi del fan club dei tiranni: i postfascisti e i postcomunisti occidentali (dove «post» ha sempre più l’aria d’una parola grossa).

Ai nemici del totalitarismo (gli anticomunisti e antifascisti che nel Novecento disponevano di partiti e giornali per dare battaglia ai jihadisti delle società tiranniche e ai loro Duci e Führer e Padri dei Popoli) Massimo Teodori dedica il suo ultimo libro, Antitotalitari d’Italia, edito da Rubbettino. Non è un racconto soltanto italiano: la libertà, nel primo e nel secondo dopoguerra, era un affare planetario, e chi si batteva per le società libere, o fuggiva dalle polizie politiche dei despoti al potere nelle nazioni politicamente più iellate, era parte d’un vasto fronte internazionale.

In fuga dalla Russia sovietica, dall’Italia mussoliniana, dalla Germania nazionalsocialista, i nemici delle dittature e dei khanati si spostavano verso la Francia non ancora occupata dall’esercito tedesco, verso l’Inghilterra e la Svizzera, verso gli Stati Uniti d’America. Era qui che trovavano rifugio anche i nostri fuorusciti liberali, libertari e «socialisti-liberali»: Don Sturzo (fondatore nel 1919 del Partito popolare) a Londra, Gaetano Salvemini a Harvard, i Fratelli Rosselli in Francia, Ignazio Silone (tra i fondatori nel 1921 del Pc d’Italia) a Ginevra, Nicola Chiaromonte a New York.
Come George Orwell e Arthur Koestler, che per primi illustrarono l’identità (non una semplice somiglianza, tanto meno formale) tra il fascismo e il comunismo, tra Hitler e Stalin, anche gli antiautoritari italiani furono testimoni dello stesso scandalo.

Da parte dei social-liberali, di Carlo Rosselli e di parte del Partito d’Azione, che avevano nel loro Dna la «rivoluzione liberale» di Piero Gobetti, più gramsciana e operaista che libertaria, c’era però un che d’ambiguità, che nemmeno l’esperienza della guerra civile spagnola – quando i comunisti massacrarono anarchici, trotskisti e socialisti variamente eretici – dissolse del tutto.

In Italia fu l’ambiguità dell’azionismo, insieme alla logica delle alleanze strette durante la guerra, a far sì che l’antifascismo (ammettendo «nelle sue file le tirannie che s’ammantavano di libertà», come scrisse Don Sturzo) non crescesse mai ad antitotalitarismo senza doppiezze. Dopo la débâcle elettorale del partito nel 1945 molti azionisti confluirono nelle liste comuniste e «socialcomuniste» (come si diceva allora, quando Pietro Nenni si guadagnò un Premio Stalin, che poi restituì, ma intanto se lo era meritato, e per un po’ lo ostentò in salotto).
C’erano, naturalmente, antitotalitari senza ubbie e retropensieri sovietizzanti anche in Italia. Per esempio Benedetto Croce, che tra gli antitotalitari senza doppiezze, fu il primo a recensire 1984, il romanzo-pamphlet di George Orwell, con un saggio al quale Massimo Teodori dedica un intero capitolo del suo libro.

Nicola Chiaromonte, che al pari di Orwell aveva combattuto dalla parte dei repubblicani in Spagna, fu tra i testimoni diretti della furia comunista, speculare a quella franchista e nazifascista, contro ogni forma di libertà (Teodori dedica a un ritratto di Chiaromonte il lungo capitolo finale di Antiautoritari d’Italia).

Insieme a Ignazio Silone, ex funzionario del Pc italiano e dell’Internazionale comunista, Chiaromonte fondò e diresse Tempo presente, una rivista che faceva capo al Congress for Cultural Freedom, un’organizzazione anticomunista finanziata dalla Cia che dal 1950 era al centro di quella che Czesaw Miosz, poeta Premio Nobel nel 1980, definì una «cospirazione liberale assolutamente giustificata e necessaria».

In Italia si combatteva un’aperta e dichiarata battaglia liberale anche nelle pagine del settimanale Il Mondo diretto da Mario Pannunzio, al quale facevano capo autorevoli collaboratori, tra cui Gaetano Salvemini che in un articolo apparso sul Ponte, un’altra testata antitotalitaria, scrisse che come non riconosceva a se stesso alcuna «superiorità intellettuale e morale che mi dia sui miei simili diritto di vita e di morte, neppure ammetto che altri esercitino un simile diritto sopra di me in forza d’una superiorità che gli discenda dalle encicliche pontificie, o dalle encicliche moscovite, o da qualunque altra fonte».

Nel 1955, da queste premesse «intellettuali, morali» e politiche, nacque il partito radicale, di cui Teodori sarebbe stato negli anni settanta-ottanta uno dei militanti più attivi.

Ci furono, negli anni, varie incarnazioni del partito radicale, all’inizio costola del partito liberale, poi strumento e bandiera pirata delle battaglie referendarie, infine «specchio delle mie brame» di Marco Pannella, come denunciarono molti radicali della vecchia guardia, tra i quali Teodori. Ma a dispetto di tutte le sue metamorfosi, il partito radicale fu sempre un partito antitotalitario, attento ai diritti, nemico dei tiranni asiatici e delle loro infiltrazioni in Occidente attraverso giornali prezzolati e «agenti d’influenza» (come si legge nelle spy stories e com’è facile capire sfogliando le gazzette filoputiniane, la Verità, il Fatto quotidiano).

Anche il Partito socialista (ereditato nel 1976 da Bettino Craxi dopo decenni di vicinanza e talvolta di sudditanza al Pci) abbracciò la causa dell’antitotalitarismo, benché anche qui le ambiguità non mancassero: il palestinismo antisionista di Craxi, il suo uso spregiudicato degli ex di Lotta Continua e d’altri gruppuscoli operaisti d’estrema sinistra in funzione antiberlingueriana.

S’allontanava l’incubo degli anni di piombo, il secolo delle ideologie era agli sgoccioli, ma il fallout post-ideologico del Sessantotto (il welfarismo, il qualunquismo, il populismo, il complottismo) continuava a depositarsi aprendo una nuova stagione d’illiberalismo, anticamera di nuovi pericoli totalitari. Ed eccoci a oggi, qui dove siamo, col fiato dei sovranisti e dei post fascisti sul collo.

In Francia s’affermavano sia i populisti di destra col Rassemblement nationale di Marine Le Pen, sia i populisti di sinistra con La France Insoumise dell’ex-socialista Jean-Luc Melenchon.

In Germania il partito Alternative fur Deutchland echeggiava motivi filonazisti e così pure il Freiheitliche Partei (FPO) austriaco che aveva ben poco di liberale come pretendeva la sua sigla.

In Spagna il partito Vox raccoglieva a destra molti consensi e nei Paesi scandinavi i sovranisti e i nazionalisti si denominavano «partiti del progresso».

In alcuni Stati, già soggetti all’Unione Sovietica il populismo si tingeva di connotati illiberali e i relativi partiti arrivavano a conquistare le maggioranze di governo, come il Fidesz di Viktor Orbàn in Ungheria e Diritto e Giustizia di J.Kaczynsky in Polonia, mentre in Grecia si confrontavano Alba Dorata all’estrema destra e il gruppo Syriza di Alexis Tsipras della sinistra radicale».

Massimo Teodori, Antitotalitari d’Italia, Rubbettino 2023, pp. 122, 15,00 euro