Chiesa e società: dare, senza riserve

del 15 Febbraio 2013

da Avvenire del 15 febbraio 2013

E chi non la vede? Chi può ignorare la diffidenza, anzi di più, «l’ira e il disprezzo» con cui troppi mass media, e quindi gli italiani che danno loro credito, guardano alla Chiesa cattolica? A volte, in rari casi, quando ad esempio la cronaca riporta le vicende tragiche e torbide di preti accusati di pedofilia, è «sacrosanta indignazione».

Ma quasi sempre «l’ondata ostile» è frutto di disinformazione. E allora informiamoci. Raccontiamo i fatti. Delineiamo i contorni della presenza sociale della Chiesa in Italia. E proviamo perfino impresa qua e là ardua ad attribuire un valore economico a questa presenza, e quanto quindi faccia risparmiare allo Stato. È ciò che fa Giuseppe Rusconi nella sua inchiesta L’impegno. Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno (Rubbettino). Lo scopo è appunto di «indagare sui contenuti, le forme, la misura del contributo reale che la Chiesa cattolica nelle sue varie espressioni offre alla società italiana. E così valutare quanto essa resti parte integrante e fondamentale della storia d’Italia».

Una storia di amicizia, amore, soccorso. E prima ancora di vicinanza e ascolto attento. Quando però Rusconi scrive «nelle sue varie forme», come chi conosce minimamente il mondo cattolico sa bene, si trova a fare i conti con una varietà esorbitante. Così opera delle scelte. Per ogni settore di presenza: una premessa, un esempio (tra gli innumerevoli, sperando nella clemenza degli esclusi), una conclusione (anche economica). Partenza con gli oratori, ossia la quotidianità di migliaia e migliaia di ragazzi e ragazze. Con i 95mila volontari del Csi e le loro 15 milioni di ore di lavoro gratuito e una prima valutazione economica: poiché per il Coni un’ora di lavoro volontario «vale» 11 euro, il «valore» del contributo del Csi per l’attività sportiva di base degli italiani ammonta a 165 milioni, 210 calcolando luce, acqua e gas, e i contributi delle altre associazioni oratoriane. Poi la carità parrocchiale, e altre stime: 10mila euro a parrocchia per un totale di 260 milioni di euro. E ancora le mense popolari, dar da mangiare agli affamati, che se non avessero queste mense toccherebbe ad altri occuparsi di loro: 449 le mense censite da Caritas e Fondazione Zancan, gestite un quarto per ciascuno da parrocchie, Caritas, congregazioni religiose e diocesi-associazioni. Personale: per il 94 per cento volontari. Poi il Banco alimentare, «ponte tra chi dà e chi riceve»: 60mila tonnellate di eccedenze, più la raccolta della Giornata nazionale (9.600 tonnellate raccoltcolte lo scorso 24 novembre) per un totale di 200 milioni di euro in cibo donato ogni anno; ma la somma di tutti gli enti e tutte le associazioni raggiunge i 650 milioni. Il libro di Rusconi procede secco, asciutto, preciso e senza retorica. Evita i toni di certa apologetica acidula che ha bisogno di prendersela con qualcuno e il suo errore per affermare la verità. È sempre «pro», mai «contro». Seguono i capitoli sui Fondi di solidarietà, a partire dal Fondo famiglia-lavoro voluto dal cardinale Tettamanzi nella sua Milano la notte di Natale del 2008, e rilanciato nella «seconda fase» dal cardinale Scola un anno fa. Analogo è il microcredito socio-assistenziale per le famiglie, cui aderivano, nel 2011, 137 diocesi. Ed ecco uno dei capitoli più spinosi, le scuole paritarie cattoliche: 9mila circa (di cui 6.610 dell’infanzia), i due terzi del totale delle paritarie, con 730mila allievi e 90mila dipendenti. In calo: nel 2011 ben 600 hanno dovuto chiudere. Calcolando quanto costa uno studente alla scuola statale, per la quale lo Stato investe 50 miliardi; e tenendo presenti i quasi 500 milioni di sovvenzioni alle scuole paritarie; ebbene, alla fine la stima è dell’Agesc il risparmio per lo Stato è di 4.500 milioni all’anno, esattamente quanto dovrebbe spendere in più se per assurdo, all’improvviso, le paritarie cattoliche sparissero. Il viaggio prosegue con la formazione professionale garantita da salesiani e salesiane, giuseppini del Murialdo, canossiane, rogazionisti e tantissimi altri; con gli ospedali cattolici in crisi anche per i crediti rilevanti nei confronti delle Regioni; con le comunità di recupero per tossicodipendenti, in due terzi dei casi riconducibili al mondo cattolico; la lotta all’usura, l’assistenza ai migranti, i beni culturali, il prestito della speranza… Ogni espressione della «fantasia della carità». E soprattutto il Progetto Policoro, voluto nel dicembre 1995 da monsignor Mario Operti, «nuova forma di solidarietà e condivisione sono parole sue che cerca di contrastare la disoccupazione, l’usura, lo sfruttamento minorile e il lavoro nero». Operti era convinto che per creare lavoro non esistono formule magiche, ma occorre «investire nell’intelligenza e nel cuore delle persone». Oggi le imprese sono più di 500, le diocesi coinvolte erano 22 all’inizio e sono diventate 115. Ricorda il successore di Operti all’Ufficio nazionale problemi sociali e lavoro, monsignor Angelo Casile: «Il disoccupato di ieri è, oggi, un cooperatore o un piccolo imprenditore, sposato, padre di famiglia con figli».

Quanto questa «trama di carità» potrà «valere»? Quanto farà «risparmiare» allo Stato? Rusconi calcola 11 miliardi di euro all’anno. Ma non è questo il dato più importante che emerge dall’inchiesta. Alla fine, c’è una Chiesa che «è vicina più di ogni altra istituzione a persone e situazioni: dunque riesce a vedere prima degli altri l’approssimarsi della tempesta», ossia i disagi nascosti, la povertà materiale, umana, spirituale montante. «La Chiesa incontra e dà una mano». A tutti, a vantaggio di tutti. E questo non ha prezzo. 

DI UMBERTO FOLENA

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