I viaggi Padova-Palermo del calciatore picciotto, la visita di Foschi e il Calcio-scommesse (Corriere di Verona)

di Giovanni Viafora, del 27 Giugno 2012

Dal Corriere di Verona – 27 giugno 2012
PADOVA – Anno 1992, nell’Albanova, squadra di Casal di Principe, entra un nuovo dirigente: si chiama Francesco Schiavone, ma per tutti è Sandokan, il boss del clan dei Casalesi. La società annuncia la notizia Con sobrietà: «Finalmente un raggio di sole: il noto imprenditore Francesco Schiavone è entrato a far parte della dirigenza!» (Il punto esclamativo è nel testo).

Quasi vent’anni dopo, siamo nell’aprile 2010, ecco Antonio Lo Russo, figlio del boss camorrista Salvatore (O’ Capitone), fotografato mentre assiste da bordocampo, con tanto di pettorina fluorescente, al match di serie A tra Napoli e Parma. Un dato non sfugge agli inquirenti: nonostante al termine del primo tempo il Napoli sia in vantaggio nei punti scommessa di Scampia e Secondigliano all’intervallo schizzano alle stelle le puntate sulla vittoria del Parma. Accidentalmente, alla fine, sono proprio gli emiliani a vincere la partita (2-3).

Lunga e nerissima è l’epopea dell’infiltrazione delle mafie nel pallone. In Calcio criminale (Rubettino, 269 pagine, prefazione di Damiano Tommasi, in libreria da venerdì), Pierpaolo Romani, rodigino di nascita, ma Veronese di adozione, per anni consulente della Commissione parlamentare antimafia – oggi editorialista del Corriere di Verona e coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, l’associazione degli enti locali contro le mafie – ne fa per la prima volta una summa lucida e puntuale. Tragica, se si vuole.
L’inizio del percorso è un concetto sottolineato con allarme: «Le mafie – scrive Romani – hanno capito bene che il pallone è uno strumento fondamentale per acquisire e controllare il consenso sociale, per controllare il territorio, per riciclare il denaro sporco, per instaurare relazioni con il mondo che conta: quello della politica e degli affari». E per questo vi entrano a piedi uniti. Sono centinaia i casi citati dall’autore (tutti riferiti attraverso una vasta documentazione giudiziaria e pubblicistica): dagli investimenti di capitali nelle società calcistiche, all’infiltrazione dei boss nelle tifoserie; dalle pressioni dei boss per il «taroccamento» delle partite, fino alle minacce rivolte ai dirigenti. Per non parlare della questione scommesse: e qui ecco che si rievocano le ultime inchieste che hanno coinvolto anche il Chievo, in primis quella denominata «Golden Goal». Tra questi ce ne sono anche alcuni che riguardano più o meno direttamente anche il Veneto. il primo è quello che vede protagonisti Marcello Trapani e Giovanni Pecoraro, due «colletti bianchi» di Cosa Nostra, legati anche alla società Palermo Calcio (il primo era un procuratore, il secondo l’ex responsabile del settore tecnico giovanile dei rosanero).
Per i magistrati i due, che poi sono stati arrestati, erano «gli intermediari dei boss Lo Piccolo per la realizzazione di affari immobiliari, il più importante dei quali da realizzare a Chioggia, nel Veneziano, affare che avrebbe permesso al clan mafioso di riciclare otto milioni di euro». «Trapani e Pecoraro – racconta Romani – proprio a Padova incontrarono più volte un imprenditore locale, Claudio Toffanello, coinvolto nell’affare». Non solo. Per agevolare il progetto, «avevano immaginato di arruolare un giovane calciatore siciliano, Antonino Randazzo, figlio di un pregiudicato per reati di mafia, e di mandarlo a giocare nella squadra di calcio della Piovese, a Piove di Sacco (Padova), dove Toffanello aveva la sua società e un piede nella compagnia calcistica. il giocatore avrebbe dovuto fare il corriere tra il Veneto e la Sicilia in nome e per conto dei due mafiosi, coperto dal paravento calcistico» (il progetto è poi fallito, proprio per l’arresto dei Lo Piccolo).

Sono poi raccontate le vicende di un personaggio sportivo assai conosciuto in Veneto: Rino Foschi, fino a quest’anno direttore sportivo del Padova. Foschi – mai nemmeno lontanamente coinvolto in inchieste di mafia – viene citato in relazione al periodo in cui era direttore sportivo del Palermo di Maurizio Zamparini (2006). il dirigente nel Natale di quell’anno trovò nella sua casa di Cesena una testa mozzata di capretto: il messaggio intimidatorio dei Lo Piccolo, che erano interessati alla costruzione del nuovo stadio dei rosanero. Romani cita una deposizione agli inquirenti di Zamparini: «Foschi mi chiamò piangendo e mi disse che non voleva più tornare a Palermo». E poi aggiunge: «I magistrati della Dda di Palermo hanno scritto che dopo quell’intimidazione i rapporti con Foschi mutarono improvvisamente, chiaro indice che purtroppo la grave intimidazione mafiosa aveva colpito nel segno». Si riferisce, dunque, «di una visita che lo stesso Foschi avrebbe fatto in ospedale al boss Benedetto Capizzi, potente uomo di mafia della famiglia Villagrazia-Santa Maria del Gesù (arrestato nel 2008)». Visita che lo stesso Foschi non ha mai negato: «Voleva ringraziarmi del fatto che avevo dato qualche biglietto al figlio. lo ho sempre aiutato i poveri e i disperati».

Di Giovanni Viafora

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