Italia, un Paese diviso in cinque (Famiglia Cristiana (.it))

di Alberto Laggia, del 15 Settembre 2018

Cristiano Caltabiano, Alessandro Serini

Le cinque Italie al voto

Fratture sociali e territoriali, scenari politici

La ricerca dell’Iref, presentata al 51° incontro nazionale di Studi delle Acli a Trieste, rivela un Paese spaccato in cinque macro-regioni, tra aree di svuluppo e territori in declino. Come le dinamiche socio-economiche, le aspettative e le insicurezze hanno determinato le scelte elettorali.

Un’Italia divisa in cinque e non più in due: non c’è più solo il ricco Nord e il Sud depresso. Un Paese spaccato almeno in “cinque Italie”, cinque macro-regioni, diversissime per sviluppo economico, benessere, livello di welfare e di inclusione. Cinque territori “asimmetrici”, a cavallo tra prosperità e declino e forte gap generazionale. E che hanno votato alle ultime elezioni in modo altrettanto diversificato.

E’ questo il primo, evidente esito della ricerca presentata venerdì 14 in occasione del 51° Incontro Nazionale di Studi delle Acli, a Trieste, conclusosi oggi. Realizzato dall’Iref, lo studio (da cui sarà tratto un volume edito da Rubettino) analizza i flussi elettorali nel nostro Paese a partire, appunto,  da una divisione in 5 macro-regioni e tenendo in considerazione alcune variabili come il dinamismo imprenditoriale, la partecipazione associativa e il livello del welfare territoriale.

Nel Settentrione emergono tre aree con un profilo ben delineato. Anzitutto i Poli dinamici, ossia 9 province caratterizzate da una crescita asimmetrica: Milano, Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ravenna, Rimini e Roma. Quindi le Comunità prospere, nelle quali si riscontra un migliore equilibrio sociale e, perciò, un benessere diffuso. Si tratta di Valle d’Aosta, Belluno, Biella, Bolzano, Cuneo, Firenze, Forlì-Cesena, Padova, Siena, Trento, Treviso, Udine, Verona. Infine i Territori industriosi, un nutrito gruppo di province, disseminato a macchia di leopardo nelle regioni del Nord dove, tra luci e ombre, si oppone una strenua resistenza al progressivo declassamento del Paese. Scendendo verso Sud il panorama muta decisamente: fatto salvo il caso estremo di Roma (allineata per molti aspetti ai Poli dinamici), vi è una fascia di province centrali che, insieme alla Sardegna e ad alcune province meridionali, ricadono nel gruppo dei territori depressi (25 unità): è l’Italia che subisce un lento declino sociale. Tra le province Lecce, Ragusa, ma anche Latina, Rieti, Viterbo, Frosinone, Imperia e Massa Carrara. Infine il gruppo del Sud fragile: 23 province meridionali – tutte quelle calabresi, campane e la maggioranza di quelle siciliane e pugliesi – che, complice la recessione, versano in una condizione di profondo disagio.

   L’altra grande evidenza, paradossale solo a una prima analisi, è che a territori caratterizzati da un dinamismo economico e sociale non  corrisponde un pari dinamismo nelle tornate elettorali. In altre parole: laddove benessere e sviluppo economico sono consolidati s’è votato seguendo al’interno del tradizionale schema “centro-destra” o “centrosinistra”, favorendo i partiti del vecchio schema politico o di governo; nelle aree, invece, in cui è evidente il rischio del declino economico ha prevalso la volontà di cambiamento e una maggior dinamicità elettorale, premiando le ricette produttivistiche della Lega e le ricette assistenzialistiche del M5s che “danno forma –  si dice nella ricerca  dell’Ires – alle paure di questi elettori, la prima specialmente nel Nord industriale, il secondo diffusamente nel Meridione. Questa Italia si avvicina a un bipolarismo sostitutivo, dove i due partiti populisti suppliscono, ora l’uno ora l’altro, alla caduta del primato dei partiti del bipolarismo classico”. In altri termini, quest’ultimo, osserva Iref , “contiene la perdita dove c’è ricchezza economica, inclusione sociale e benessere, e a fronte di province benestanti in mano al centro-sinistra, vi sono province benestanti in mano al centro-destra. Laddove invece più alta è la presenza dei fuori-sistema o di coloro che rischiano di uscirne, le dinamiche politiche si fanno più competitive nella direzione del successo dei partiti che meglio hanno saputo interpretare il malessere popolare, ovvero M5s e Lega: gli uni brandendo il vessillo del reddito di cittadinanza e delle politiche di inclusione; gli altri il tema dell’immigrazione”.

Per tutti i partiti, vecchi  e nuovi, comunque, afferma infine lo studio delle Acli, sono finiti i tempi della cosiddetta “delega in bianco”: i risultati delle ultime “comunali”, come a Siracusa,  dove s’è registrato “il crollo del M5s e il ritorno a un forte astensionismo, sono un avvertimento per le nuove configurazioni politiche le nuove forze politiche al governo, a non sedersi in comode poltrone e limitarsi a gestire il consenso elettorale con strumenti fin troppo noti. Lealtà sì, ma con riserva”. 

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