La modernità non riduce lo spazio del sacro (Avvenire)

di Damiano Palano, del 31 Luglio 2015

Da Avvenire 31 Luglio

Negli ultimi trent’anni l’idea che lo Stato sia in “crisi” è diventata quasi un luogo comune. Gli annunci della sua morte imminente sono stati più volte smentiti ma è chiaro che la capacità dello Stato di “contenere” (e regolare) i processi sociali, culturali ed economici è sfidata su mille fronti diversi. Nel suo saggio L’ordine imperfetto. Modernizzazione, Stato, secolarizzazione, Luca Diotallevi affronta però la crisi dello Stato da una prospettiva originale, che invita a mettere in questione alcune categorie delle scienze sociali. Il libro costituisce il nuovo tassello di un’indagine avviata con i precedenti Un’alternativa alla laicità (2010) e La pretesa (2013), anch’essi editi da Rubbettino. Ma, come confessa l’autore, la nuova operazione si configura anche come un “mezzo passo indietro”: procede a ritroso per riconsiderare il rapporto tra Stato e religione.
Il punto di partenza è proprio il fallimento della pretesa statale di organizzare ogni sottosistema sociale. Diotallevi torna però alle origini della modernizzazione occidentale, con l’obiettivo di riconsiderare criticamente il processo di “secolarizzazione”. E mette in discussione la classica teoria della secolarizzazione, secondo cui la modernizzazione comporta necessariamente una riduzione del “sacro”. Ma punta soprattutto a mostrare come la stessa idea di religione adottata dalla sociologia sia il prodotto di una specifica dinamica di modernizzazione, plasmata dalla costruzione dello Stato moderno. A partire dal XIV secolo in Europa si avvia innanzitutto un processo di “disciplinarnento” del cristianesimo, in cui l’organizzazione e la centralizzazione istituzionale diventano strumenti per assicurare il credente sulla correttezza della propria fede e della propria interpretazione. In alcune aree il disciplinamento religioso conduce allo Stato confessionale, con cui si conferisce alle autorità politiche una competenza sui poteri ecclesiastici. Ma in seguito, con la Pace di Vestfalia del 1648, il potere politico si scioglie dal potere ecclesiastico, mentre le istituzioni ecclesiastiche – ormai solo religiose – diventano del tutto subalterne all’organizzazione dello Stato.
Il libro si concentra sul passato ma guarda al presente. Secondo l’autore la novità principale degli ultimi decenni non è infatti solo il “ritorno” della religione, ma soprattutto il fatto che questo processo mette in discussione la linea di separazione tra politica e religione fissata da una certa modernità. É invece solo accomiatandosi dalle categorie segnate dall’ingombrante presenza dello Stato che, per Diotallevi, diventa possibile decifrare le trasformazioni contemporanee. E indagare la complessa genesi di un nuovo assetto dentro la vita delle contemporanee “global cities”.

Di Damiano Palano

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