La strage nella Certosa (Corriere Fiorentino)

di Chiara Dino, del 17 Febbraio 2014

da Corriere Fiorentino (Corriere della Sera) del 15 febbraio

La vicenda è passata in sordina. Vuoi per volontà di riserbo, vuoi per diatribe storiografiche, vuoi per l’imbarazzo della Chiesa. Così raccontarla ora la storia dei 12 monaci certosini di Farneta, uccisi dai nazisti tra il 7 e il io settembre del ’44 per aver ospitato e nascosto orfani, ebrei e partigiani, rappresenta una scelta politica. Lo fa intendere Luigi Accattoli, invitando la Chiesa di Roma a rendere omaggio a quelle vittime della seconda guerra mondiale dimenticate in Vaticano. E lo fa spiegando le ragioni del suo ultimo libro, che esce per i tipi di Rubbettino col titolo La strage di Farneta. Storia sconosciuta di dodici certosini fucilati dai tedeschi nel 1944. Sconosciuta pure in Toscana malgrado il bel monastero certosino dove si è svolta l’incursione nazista, sia qui a due passi, in una frazione di Lucca, forte di una tradizione secolare e dei suoi bei chiostri inaccessibili agli occhi di estranei. Alla sua porta sta scritto La Certosa non si può visitare e anche per Accattoli, che per studiare le fonti cui è ispirato il suo libro, ha chiesto uno speciale permesso, l’alone di mistero resta la cifra di questo luogo fermo nel tempo, per i riti e per le ferree regole della clausura. «Sono stato
ospitato dai monaci per tre giorni. La loro riservatezza era pari alla forza della loro partecipazione ai momenti comuni. Una delle
emozioni più forti l’ho provata quando ho partecipato al mattutino, la preghiera di mezzanotte, immutata da secoli».
Riti a parte i tre giorni sono serviti allo studioso e giornalista del Corriere della Sera, per raccogliere la documentazione necessaria
a raccontare la storia di Martino Binz, priore della comunità nel 1940, Bernardo Montes de Oca, ex vescovo di Valencia e ai tempi
della strage solo novizio tra i certosini, Gabriele Maria Costa, procuratore del monastero, Pio Egger, maestro dei novizi, Giorgio
Maritano, Michele Nota, Adriano Clerc, Adriano Compagnon, Raffaele Cantero, Bruno D’Amico, Alberto Rosbach, fratelli laici di varia provenienza e Benedetto Lapuente, sacerdote spagnolo. E non stupisca questa teoria di nomi. Perché uno dei pregi di questo volumetto di tenore divulgativo, è stato quello di restituire identità ai 12 morti sebbene una delle regole dei certosini prescriva per loro sepoltura senza bara e senza nome. Direttamente nella nuda terra e nell’anonimato. «Di loro in verità si erano occupati tra gli altri i due storici Gianluca Fulvetti e Antonio Laganà – spiega Accattoli – ma quei lavori vertevano sulla ricostruzione dei tre
processi alle Ss responsabili della strage, processi tenutisi a Firenze nel 1947 e a La Spezia, nel 1948 e nel 2oo4. Ma mai prima d’ora era stata pubblicata la memoria di quei fatti ricostruiti dai monaci testimoni e superstiti di questa tragedia».
Quella memoria, che è stata per 70 anni custodita negli archivi della Certosa e che rappresenta l’appendice del libro di Accattoli
si fonda principalmente sugli appunti di Astorre Baglioni, sopravvissuto al rastrellamento, già monaco della Certosa col nome di
Agostino Maria Vasta e poi uscito da questa, con dispensa ecclesiastica, nel 1968. Ed è stata redatta nel 1999, quando in vista del Giubileo del 2000 la chiesa di Giovanni Paolo II chiese a tutte le istituzioni cattoliche di dare conto dei suoi martiri. «La relazione è sicuramente arrivata alla Cei, ma da quel momento in poi se ne è persa traccia, non è chiaro neanche se sia stata letta – dice l’autore – Certo è che mentre questi martiri sono stati commemorati dai laici (nel 1985 dall’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi,
nel 2oo1, con una medaglia d’oro al merito civile a tutta la comunità e, indietro nel tempo, nel 1951, con una medaglia al valore militare a padre Costa, una delle dodici vittime). Ma dalla Chiesa di Roma c’è stata solo indifferenza». Perché? Cosa ha spinto il Vaticano a dimenticare? Per capire la questione bisogna tornare a quegli anni. Il fulcro della diatriba e l’imbarazzo della Chiesa nascono dall’interpretazione dei fatti e vertono soprattutto sulla figura di padre Gabriele Maria Costa. La questio è la seguente: fu il monaco solo protagonista di un atto di carità o un partigiano, affiliato alla Resistenza? Nel primo caso la sua figura di martire sarebbe facilmente giustificabile, nel secondo no. «Ora – spiega Accattoli – la verità presumibilmente sta al centro. Padre Costa fu certamente informato dei movimenti dei partigiani ma non fu attore protagonista di quel movimento. Il suo agire, come quello degli altri, la sua scelta di coprire ebrei e ricercati, fu dettata dalla carità». A rendere più imbarazzante la gestione della vicenda, per la Chiesa, fu
il conferimento a padre Costa, nel ’51, di quella medaglia al valore militare, segno secondo Accattoli, «di un’appropriazione indebita da parte dei comunisti di una figura mossa da ragioni religiose e di fede». Sia come sia, visto che i tempi della Guerra Fredda sono
oggetto di libri di storia sarebbe tempo, secondo l’autore, di rendere il giusto omaggio a quanti morirono per salvare i perseguitati
dal nazifascismo. «Ed è per dare consistenza a questo appello, rivolto alla Chiesa – conclude Accattoli – che ho scritto il libro sulla strage di Farneta».

di Chiara Dino

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