Il Male Inutile, di Marco Lupis (ilmondoincantatodeilibri.altervista.org)

di Teresa Anania, del 12 Novembre 2018

Marco Lupis

Il male inutile

Dal Kosovo a Timor Est, dal Chiapas a Bali le testimonianze di un reporter di guerra

Scrivere un libro del genere non è semplice ma, ancor meno lo è leggerlo senza restarne profondamente segnati.  La prima cosa che mi sono chiesta ad un certo punto della lettura è stata “come fa una persona che vive quello che ha vissuto Lupis a non impazzire!?” , beh, la risposta è arrivata chiara ed esplicita alla fine del libro, quando ti rendi conto di quanto male possa fare “l’inutilità del male”.  Lupis,  fotoreporter e corrispondente Rai, oltre che inviato speciale di testate giornalistiche del calibro di Repubblica, Corriere della Sera, Panorama, l’Espresso etc., narra in maniera fluida e scorrevole avvenimenti mondiali più o meno recenti e più o meno conosciuti.  Testimonianze dirette di chi sul campo era presente e ha visto, sentito e toccato la morte di vittime innocenti, bersaglio di uomini (?) che in odor di supremazia si arrogano il diritto di fare il bello e il cattivo tempo con la vita altrui.

Tanti reportage da terre geograficamente lontane l’una dall’altra, ma tutte legate da un unico filo conduttore: la brutalità dell’essere umano, spesso, vittima in prima persona dell’ignoranza e del delirio di onnipotenza in virtù di un’egemonia stupida e senza senso. Lupis prende il lettore per mano e lo conduce sul campo, un capitolo dopo l’altro, una testimonianza  dopo l’altra.  Dal vicino Kosovo alla Cambogia, dall’Indonesia a Timor Est, dal Golpe nel Pacifico alla strage di Bali o ancora in Nepal, durante l’eccidio dei reali e poi, e poi, e poi…  Avvenimenti più o meno recenti ma anche più lontani nel tempo, come l’Unità 731 in Cina; tutti conosciamo le mostruosità perpetrate da Hitler e dai nazisti, ma in pochi conoscono gli esperimenti batteriologici  dei giapponesi in Cina durante il secondo conflitto mondiale.

E’ un libro fatto di tanti “orrori” di vita vissuta, di sofferenza, di dolore, di morte; di ciò che i Media non sempre raccontano o che comunque non fanno mai fino in fondo.  Lupis dà voce “ai dimenticati” e lo fa equilibrando egregiamente la penna del reporter con quella dell’ uomo, dosando il quantitativo di nozioni e utilizzando le parole giuste nella forma e nel numero. Ogni testimonianza ha un inizio, un corpo e una fine, non si ferma ad un mero trafiletto giornalistico ma non lo fa neanche diventare un inserto da quotidiano. Riesce a non annoiare chi legge, non fornisce dati e numeri, tabelle o statistiche, ma coinvolge in toto, attraendo interesse e attenzione, coinvolge emotivamente a 360° una pagina dopo l’altra, proiettando nella mente scene al pari di una pellicola cinematografica, fino a farti vedere il sangue e a sentirne l’odore acre e pungente insieme al freddo della morte.  Un saggio di guerra, duro, crudo, difficile, dal forte impatto emotivo, che mostra le mille sfaccettature del male nel senso lato del termine , che non lascia per nulla indifferenti e che ha bisogno di tempo per essere metabolizzato, accettato e digerito prima di poterne parlare.  Non è semplice narrare e leggere di infanzia negata, violentata e abusata in qualsiasi modo e privata di ogni diritto.  Di bambine e ragazzine rapite e rinchiuse nei bordelli della Cina, vittime di soprusi di ogni genere e decapitate al minimo cenno di opposizione al volere lussurioso di esseri immondi.  Lupis ha la capacità di far emergere il punto di vista femminile sulle brutture della guerra, fornendo la possibilità di parlare a coloro che non sono mai state tenute in considerazione o che ufficialmente non sono mai esistite.

E’ una vera e propria denuncia sociale in merito ad orrori taciuti o raccontati per troppo tempo in  maniera distorta e/o di comodo.  All’interno, una serie di fotografie, quale valore aggiunto ad un saggio che brilla di luce propria, mettono in evidenza lo stato d’animo del Lupis uomo nelle vesti del reporter; salta subito all’occhio l’assenza di serenità nell’espressione del viso, non vi è un accenno di sorriso neanche in quella del matrimonio o in cui è ritratto in situazioni di “relax” familiare in compagnia della moglie.   Una cornice che sembra fare da preludio a quella che sarebbe divenuta la sua guerra personale, quella contro i demoni di chi ha vissuto sul filo del rasoio, sospeso su una fune in un  precario equilibrio tra la vita e la morte. Situazioni estreme di violenze, stragi, attacchi terroristici, guerre e, come tutti i  giornalisti e i militari sottoposti a condizioni costanti di forte stress fisico, e psicologico, difficilmente si esce indenni da un malessere che ti si cuce addosso sulla pelle, nella mente e nell’anima e che corrisponde al nome di “Sindrome da Stress Post-Traumatico”.  Lupis ha combattuto la sua battaglia privata e la stesura di questo libro che ha reso testimonianza di un “male inutile”, lo ha aiutato ad esorcizzare un problema personale che resta tale finché non viene condiviso.   Unico disappunto, la presenza di qualche refuso ortografico e/o errore di battitura sfuggiti all’operazione di editing ma che nulla tolgono ad una lettura consigliata e da consigliare, affinché la memoria venga mantenuta viva anche, e soprattutto, su quelle stragi considerate minori e delle quali a volte non si ha contezza alcuna.

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