Dalla realtà alla favola (Il Quotidiano della Calabria)

di Franco Dionesalvi, del 6 Giugno 2012

Da Il Quotidiano della Calabria – 03 giugno 2012
Raoul M. de’ Angelis, giornalista, scrittore e pittore calabrese. Rubbettino lo ricorda con una raccolta di suoi racconti

Raoul Maria de’ Angelis è nato nel 1908 a Terranova da Sibari, ed è morto nel 1990. Giornalista e scrittore, ma anche pittore, fu inviato speciale del “Tempo”, del “Giornale d’Italia”, del “Resto del Carlino”. Fu un eclettico ed ebbe una vita movimentata, contrassegnata sentimentalmente dall’amore per Erika Loeb, una tedesca di famiglia ebraica, che conobbe nel 1937 in vacanza a Capri, e con la quale poi riparò per alcuni anni in Brasile per sottrarla alle persecuzioni naziste.
Di se stesso scrisse: «lo, orientale, nato da madre albanese e da padre greco, di quei coloni emigrati in Calabria 500 o 2000 anni fa, e italianissimo da generazioni e generazioni, sono incline per natura alla favola, al mito, ai ricordi bizantini’ alle visioni festose dei fiori che si umanizzano per diventare creature». Fra le sue opere: “La peste a Urana” (Mondadori, 1943); “Panche gialle, sangue negro” (Mondadori, 1945 ; “Una giornata di pazzia” (Astrea, 1945); “Il giocatore fortunato” (Vallecchi, 1953); “Apparizioni del sud” (SEI,1954).
Ora meritoriamente Rubbettino ripubblica quest’ultima opera, una raccolta di racconti ormai introvabile. E, ci si augura, questa nuova edizione funga da stimolo per un approfondimento e una riconsiderazione nei confronti di questo autore, che non ha fin qui ricevuto le attenzioni e la considerazione che merita. Lo rileva anche, nella sua appassionata introduzione, Vittorio Cappelli. Che, fra l’altro, scrive: «Si tratta di una raccolta di diciannove racconti d’ambientazione calabrese, che conferma ulteriormente una relazione coi luoghi natii che ha poco a che fare con i registri a quel tempo ormai dominanti del neorealismo. Ancora una volta la narrazione fluida di De Angelis, che ha abituato il lettore alla molteplicità spaziotemporale, trasfigura la realtà in favola. La natura e gli uomini sono investiti da quelle metamorfosi che misteriosamente impregnano la realtà di una luce rivelatrice, propria di una vita primigenia, ferma alle origini». Di lui già aveva scritto Francesco Flora: «Si è rivelato uno dei nostri narratori più fertili e arditi, e nella varietà dei suoi tempi ha serbato uno stile preciso e tuttavia immaginoso’ che sa essere (ed è merito maggiore) terra nativa ed Europa nel medesimo tratto». Dal libro riprendiamo e pubblichiamo due racconti. Il primo è “Storia di galline”. Notate il crescendo drammatico che riesce a porre; dalle descrizioni giocose e leggere delle prime righe’ sale prima nell’incedere dell’azione, e poi nell’emergere dei sogni e dei fantasmi. Con il gran finale teatrale, la tempesta e il protagonista che fugge inseguito da una “apparizione”. Eppure, si tratta di un furtarello da sventurati! Peraltro, l’ambientazione misera, sporca e perversa è ben evidente, e l’autore riesce proprio a raffigurarci il vagabondo nell’intento di consumare, lardoso e volgare, l’orrido enorme pasto. Ed anche il gioco di galli e di galline, con tanto di ambigua partecipazione umana, contribuisce a esprimere la truculenta marginalità del contesto. Già, i ladri di polli! Potrebbero apparire assai fuori moda, in tempi di così raffinato ladrocinio. Ma, a ben pensarci, e a debordare un po’ nella misera attualità, quelli che mercanteggiano di arbitri e di partite, e quelli che trattano di prostitute e giochi d’azzardo truccati proteggendosi dietro una loro sedicente regalità, non son forse ladri di polli? Cambia forse l’ambiente, il modo di vestire, il fondale. Ma il cattivo odore è lo stesso. E non vorremmo che anche loro scappassero inseguiti dagli spettri delle loro galline? Il secondo racconto, “Zingaresca”, pur richiamandosi a un contesto – e anche a vicende storico-sociali -proprio della nostra regione, non si risolve affatto nella sua caratterizzazione geografica, ma invece si schiude in temi e suggestioni universali. Gli zingari, o se volete i rom, con le loro tradizioni, la loro magia e i pregiudizi su di loro.

Ma anche il mistero, l’invisibile, l’indicibile. Il contrasto fra quello che appare e quello che è; e come i nostri preconcetti ci condizionano e ci impediscono di scorgere la verità vera. Storia di cavalli, pure. Di zoccoli e di calpestii. Ma anche di interrogazioni sul futuro, di letture della mano. Quella rivelazione su di noi che vorremmo sapere e insieme non sapere. Quello che sappiamo, che è chiaro nella nostra mente, ma che non vogliamo dirci. E anche una povera zingara con cui prendercela, su cui scaricare le nostre inadeguatezze, le nostre rabbie represse, le nostre paure. La nostra è terra di transumanze e di migrazioni, di popoli invasori e di nomadi che vanno e che vengono. Sta a noi bollarli come lo straniero, come il nemico da temere e da respingere; o accoglierli, lasciarci invadere, accettare che entrando nelle nostre terre, nelle nostre case, nelle nostre anime, ci donino quella linfa vitale che diversamente abbiamo perduto per sempre.

Di Franco Dionesalvi

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