Beppe impari la lezione del Duce: il Parlamento soffoca la rivoluzione (Il Giornale)

di Luigi Mascheroni, del 28 Febbraio 2014

Da Il Giornale del 28 febbraio

Si potrebbero citare tanti articoli, tanti discorsi. Ad esempio: in un editoriale su La lotta di classe, del marzo 1912, il compagno Benito Mussolini rib adiva «l’antitesi irriducibile fra democrazia e socialismo». Era giunto il momento, urlava, di «liberarci una buona volta e per sempre dai tafani democratici». Fuori i «parassiti» dal partito socialista, scriveva. «Siamo un po chino meno ma molto, molto più coesi e forti», ha detto l’altroieri Beppe Grillo proponendo agli iscritti del suo Movimento l’espulsione dei senatori «dissidenti». Giocare con le citazioni, forzare i corsi e ricorsi storici, azzardare paragoni tra momenti cruciali del nostro passato può essere poco accademico, e forse scivoloso, ma avolte risulta illuminante.
Se si scambiasse il Partito socialista con il Movimento 5 Stelle, e i socialisti «tafani » con i grillini «dissidenti», diventa facile scorgere le analogie tra il Musso lini delle origini, leader del socialismo rivoluzionario, e il Grillo di oggi, guru di una rivoluzionaria «associazione di cittadini». Per il giovane Mussolini, non ancora fascista, l’unico obiettivo politico, l’unica cosa che contava davvero, era la rivoluzione, mentre la democrazia e il Parlamento rappresentavano semmai gli ostacoli. Negli anni tra il 1905 e il 1914, il futuro Duce attaccava, dentro il partito, i «riformisti» che volevano usare la democrazia come mezzo per la rivoluzio ne. Li liquidava come «socialisti da tagliatelle». Erano quelli che – nell’idea di politica che ha maturato Grillo – «fanno gli inciuci», si scambiano i «pizzini»… Mussolini non fu mai un democratico, bensì un socialista intransigente. Beppe Grillo, che all’inizio (forse) nelle istituzioni ci credeva, avendo mandato i suoi aRoma, ora della democrazia si fida poco. Ha capito, dopo, quello che Mussolini intuì subito. Po chi giorni fa, davanti a Matteo Renzi, in streaming, ha affermato il proprio «non essere democratico».
Mussolini pensava, come pensa oggi Grillo (e come prima di loro pensava Lenin) che la rivoluzione sia inattuabile nel momento in cui passa attraverso il Parlamento. Si potrebbero leggere tanti libri, tanti manuali. Ad esempio, ultimo in ordine di tempo, Il compagno Mussolini (Rubettino) di Nicolas Farrell, giornalista inglese che un anno fa (!) sul foglio conservatore britannico The Spectator pubblicò l’articolo dal titolo Beppe Grillo: Italy’s new Mussolini.È un libro dedicato alle origini politiche di Mussolini. E leggendo si capisce come l’ analogia più rilevante tra i due leader non sia tanto la straordinaria, animalesca, capacità di conquistare la piazza e ipnotizzare la folla. Ma semmai, la convinzione – identica nel «compagno» Benito e nel «cittadino» Beppe – che la rivoluzione non si può fare in P arlamento, o tramite il Parlamento, ma solo fuori dal Parlamento.
Per entrambi, il principale nemico sono i riformisti che si (ri) trovano in casa: nel 1912 per Mussolini erano i capi del Partito socialista a Milano e i parlamentari a Roma; per Grillo sono i «moderati» e i parlamentari che spingono per un dialogo con gli altri partiti. I nemici sono coloro peri quali la democrazia parlamentare deve «far nascere» la rivoluzione. Mentre per il giornalista romagnolo e per il comico genovese la democrazia parlamentare ha il ruolo opposto, quello di «abortirla».
Ecco perché sono entrambi convinti che solo il partito/movimento possa «cambiare le cose», ma non i parlamentari (e neppure i sindacati). Così come sono entrambi convinti che il vero e unico campo di battaglia sia la piazza, non il Parlamento. Per entrambi – per inciso – «un’aula sorda e grigia». Mussolini aveva capito tutto già prima di diventare fascista.
Grillo ci è arrivato dopo, e così è diventato fascista anche lui. Non si può realizzare il socialismo tramite un Parlamento – scrive un giovane Benito Mussolini – figuriamoci in quello italiano, il «più analfabeta, più infingardo, più corrotto del mondo», neanche se in quel Parlamento i socialisti, ormai diventati «avvocatucci di piccole clientele», avessero la maggioranza dei seggi. Il Partito socialista, secondo Mussolini, «si è ubriacato di elettoralismo». Allo stesso modo il Movimento 5 Stelle, secondo Grillo, si è indebolito entrando nei palazzi romani. Ci sono «compagni» o «cittadini» che non sono più «duri e puri». La soluzione, in entrambi i casi, è l’epurazione. «Espulsione! […] Può essere un’operazione dolorosa per chi la provoca e per chi la subisce, ma e dolore che purifica e libera», scriveva Mussolini su La lotta di classe.
«Siamo un pochino meno ma molto, molto più coesi e forti», ha scritto l’altro ieri Grillo sul suo blog.

Di Luigi Mascheroni

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