Suggestioni da Camaldoli. Le confessioni di Barban per ritrovare Dio (Formiche.net)

di Ruben Razzante, del 8 Settembre 2014

Da Formiche.net

La felicità dell’anima è un traguardo inseguito da tanti, forse da tutti, attraverso i sentieri più variegati e frastagliati. Ma sono in pochi a raggiungerla e a conseguirla stabilmente, in una società che tende alla saturazione degli spazi di introspezione, di raccoglimento, di dialogo con Dio.
Forse una guida sulle rotte del silenzio, della preghiera, della passione per il bene comune può giovare in questo tentativo di riavvicinamento alla propria anima e di riscoperta della fede, anche da parte di chi da tempo le è distante. Suggerimenti concreti in questo senso possono arrivare dal dialogo intessuto da Alessandro Barban, monaco di Camaldoli, con il giornalista Gianni Di Santo. Ne è venuto fuori un volume di facile lettura, dal titolo “Il vento soffia dove vuole. Confessioni di un monaco” (Rubbettino edizioni), in cui il filo dell’esperienza diretta s’intreccia con quello delle domande primordiali che artigliano la coscienza e che riguardano la vita, la morte, l’Altrove.
I monasteri possono aiutare a praticare l’esercizio del silenzio, che è l’anticamera di parole sensate, di comunicazioni vere con l’Altro, di ascesi verso Dio. Tante persone, come sottolinea il monaco camaldolese, non sono più abituate a stare nel silenzio, dimensione che vivono quasi come un pozzo profondo con il rischio di annegarvi dentro. “E’ una specie di ‘malattia’ spirituale – scrive – Se l’uomo non sa assaporare il silenzio e la propria solitudine, se ha sempre bisogno di riempire la sua vita di cose, di rumori assordanti e vane parole, a un certo punto si troverà veramente vuoto e demotivato”.
La verità è che nel disorientamento dell’epoca che viviamo, si avverte la necessità di riprendere i contatti con la profondità della nostra anima. ” Il più delle volte – prosegue – siamo così preoccupati a curare il nostro volto e la nostra immagine esterna, che sembra l’unica realtà a qualificare il nostro rapporto con il mondo. Oggi teniamo molto al nostro volto somatico, e ai canoni dell’apparire. Ma c’è anche un altro volto, certamente più bello, più vero: è il volto dell’anima”.
Se il silenzio richiede tempo ma rigenera lo spirito e quindi va riscoperto, uno dei modi in cui il silenzio diventa parte integrante della nostra vita è la preghiera. “Non è l’unico -sottolinea Barban – ma essa si dà come processo intimo in cui la nostra coscienza si ritrova in ascolto interiore di Dio e di se stessa, prima di affidarsi alla grazia luminosa del Signore. La vera preghiera è un tutt’uno con la profondità dell’anima, la riflette, e non ha bisogno di molte parole, anzi ha più bisogno di silenzio”.
La lettura del volume di Barban e Di Santo ci sollecita alcune domande sul nostro modo di vivere e sentire la preghiera personale come desiderio di intimità relazionale e dialogante con Dio. A volte noi recitiamo le preghiere ma non preghiamo veramente, non riusciamo a rivolgerci a Dio come a un Abba, a fidarci del Padre. Per centrare questo traguardo dobbiamo scoprire di più lo Spirito Santo. “Troppo spesso – scrive il monaco camaldolese – ci sentiamo i protagonisti della nostra vita cristiana dall’impegno della preghiera alla realizzazione delle nostre opere buone, e non ci accorgiamo della nostra autoreferenzialità o peggio del nostro narcisismo”.
Soltanto lo Spirito Santo può scongiurare quei rischi perché è presenza di preghiera, umiltà, verità, luce. Ci guida, ci unifica, ci fa maturare. E fa molto bene anche alla nostra psiche. Barban lo definisce terapeutico e aggiunge: “Se riuscissimo a rimanere sempre in comunione con lo Spirito Santo, che inabita l’anima, allora diventeremmo più consapevoli della nostra stessa divinità in quanto è lo Spirito Santo che santifica la nostra persona con un processo trasformativo di santificazione”.
Ma la parte più stimolante del volume è senz’altro quella introduttiva, concentrata sulla tripartizione tra kairos, kronos e aion: il kronos, tempo cronologico, ci scivola addosso con i suoi ritmi e le sue poche preoccupazioni interiori, ci consuma e a volte ci distrugge; l’oltre, il kairos, il tempo propizio è il tempo nuovo che qualifica il kronos. Ma la Bibbia parla anche di un altro tempo: l’aion, il tempo/spazio aperto da Dio. Nella Bibbia “il kronos – si legge nel volume – si trova troppo sfidato dal kairos e non ce la fa ad accettarlo perché quest’ultimo giunge come irruzione, ed è l’aion, il tempo da/di Dio, che ricomprende entrambi”. Tutte suggestioni da raccogliere e proiettare nelle nostre vite, per rigerarchizzare priorità, orizzonti, valori, certezze.

Di Ruben Razzante

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