Quarant’anni: la storia di un modello (frenato) da rilanciare (L'Unità)

del 7 Marzo 2016

Vincenzo Tassinari, Dario Guidi

Noi, le Coop rosse, tra supermercati e riforme mancate

E della distribuzione moderna in un paese senza riforme

Da L’Unità del 5 marzo

In un momento difficile raccontare la storia delle Coop rosse in modo lucido e preciso è prima di tutto un merito storico. Un merito che va subito dato a Vincenzo Tassinari. Lo storico presidente di Coop Italia (fino al 2013), la più grande cooperativa rossa del Paese, un gigante da 12 miliardi di fatturato e 55mila dipendenti, leader nella grande distribuzione in Italia. Insieme a Dario Guidi, Tassinari racconta oltre 50 anni di cooperazione in Italia. Nato nel 1949 ne è stato parte integrante per buoni 40, partendo dall’ormai lontano 1975 quando da neolaureato entrò alla Camst, la storicamensa bolognese fondata nel dopoguerra dal partigiano Gustavo Trombetti, compagno di cella di Antonio Gramsci sotto il fascismo. Se nell’immaginario collettivo contemporaneo le “coop rosse” vengono considerate favorite dal sistema politico, Tassinari dimostra fatto dopo fatto che in realtà la politica – specie quella nazionale – è sempre stata avversa. L’articolo 45 della Costituzione (“La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento coni mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”) è rimasto sostanzialmente lettera morta. Anzi, le leggi sono quasi sempre state di intralcio per le cooperative, ancor di più per quelle rosse, quelle emiliane e toscane, espressione del Pci. Dalla legge del 1971 sulla programmazione del settore commercio passando per la legge contro le vendite sotto costo del 1998 (governo di centrosinistra) per arrivare al blocco delle liberalizzazioni sulle parafarmacie per finire con la chiusura decretata dall’Antitrust della Centrale italiana (la centrale di acquisto prodotti capeggiata da Coop) nel 2014, Tassinari dimostra come «il ritardo della distribuzione moderna sia causato in larga parte dalle scelte e dall’impostazione che il mondo politico e il parlamento hanno sostenuto»: dunque «alla cooperazione nessuno ha regalato niente».
Dal primo spaccio alimentare di Torino nel 1854, come in tutta Europa, la cooperativa di consumi di oggi è figlia di un altro ex partigiano, il toscano (in un’alternanza con gli emiliani che continua a tutt’oggi) Mario Cesari che nel dopoguerra un 3mila cooperative in un percorso progressivo di unificazione che oggi è arrivato a quota 9 con 1.454 punti vendita che puntano «sulla convenienza e la difesa del potere d’acquisto delle famiglie» unito alla «capacità di unire alla convenienza garanzie sulla qualità e la salubrità dei prodotti», come conferma ad esempio la certificazione delle materie prime che Coop Italia garantisce sui suoi prodotti dal 2013. Il primo iperCoop è quello di Bonola, vicino a Milano nel 1980. E da lì parte un’altra storia. Da qualcuno giudicata un gigantismo negativo. Passando per lo slogan “La Coop sei tu, chi può darti di più”, per gli spot di Woody Allen o con Peter Falk, Tassinari ha portato Coop Italia a diventare leader in Italia. Nel 1995 andò vicinissimo all’acquisto di Standa di Berlusconi («avevo un assegno da 640 miliardi di lire garantito da 5 cooperative di consumatori e 3 società del mondo Conad»), ma poi tutto saltò: «C’è chi dice che fu solo una questione politica», dimostrando assieme alle mancati acquisizioni di Rinascente dagli Agnelli, che «la distribuzione moderna è una Cenerentola della nostra economia», «non la portaerei che diceva Mitterand», perché «non si è malfatto prevalere l’interesse generale né favorito lo sviluppo economico del paese». E si arriva poi alla guerra con quel Bernardo Caprotti di Esselunga, costola del primo supermercato aperto in Italia da Rockfeller nel 1957 Una guerra che con il famoso libro “Falce e carrello” in cui Caprotti attaccava le Coop è finita in tribunale. Tassinari evita polemiche e ricorda semplicemente «la condanna definitiva per concorrenza sleale» che ebbe Esselunga contro Coop Liguria. Oggi Coop è alleata di Oscar Farinetti di Eataly nel progetto Fico, Fabbrica italiana contadina che sta sorgendo a Bologna e punta ad essere «un attore del mercato».
La critica che molti fanno deriva dal caso Unipol, quando Tassinari appoggiò Consorte nella scalata alla banca Bnl. La finanziarizzazione delle coop testimoniata anche dai recenti fallimenti di alcune cooperative che raccoglievano risparmi nel Nord Est. La risposta di Tassinari è complessa: sul fronte degli scandali si ribadisce come «questa è una storiadi uomini perbene, nella quale non ci sono stock option, né arricchimenti personali rispettando le regole che ci siamo dati; gli episodi negativi che ci sono stati non possono cancellare questa realtà». Sul punto toccato nella prefazione anche dal parlamentare Pd Yoram Gutgeld («il sistema della cooperazione deve evitare chi si diffonda la percezione che il meccanismo cooperativo serva prima di tutto per ottenere agevolazioni fiscali») o delle paghe orarie scandalose (pochi atto) date da alcune cooperative sociali ali propri soci-dipendenti e sulle critiche alla poca partecipazione e ad una sostanziale cesura del modello cooperativo recente col mutualismo partecipativo delle origini Tassinari risponde riproponendo un modello di governance «duale, nel quale c’è un consiglio di, gestione che deve far funzionare al meglio l’impresa e applicare gli indirizzi definiti dalla proprietà attraverso il consiglio d’indirizzo e sorveglianza, che potrebbe anche avere al suo interno i rappresentanti dei lavoratori e dei soci». Il dibattito è aperto. Ma è necessario. Per non rischiare di mandare a mare una storia gloriosa. Ripartendo però dalle radici e da valori («il potere democratico esercitato dai soci») che forse il tempo sta arrugginendo.

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