Curiosità, passione, creatività e studio: i giovanissimi devono ripartire da qui per «Allenarsi per il futuro» (Repubblica degli stagisti)

di Marianna Lepore, del 25 Febbraio 2016

Stefano Cianciotta, Pietro Paganini

Allenarsi per il futuro

Idee e strumenti per il lavoro che verrà

Dalla Repubblica degli stagisti del 24 febbraio

Un bambino si allena da subito per imparare a gestire il futuro perché ogni giorno per lui è un apprendimento continuo. Eppure quella curiosità e quello stimolo che gli permettono di apprendere e capire a un certo punto scompare. È da questa constatazione che si sviluppa «Allenarsi per il futuro – Idee e strumenti per il lavoro che verrà», pubblicato dalla casa editrice Rubbettino e scritto a quattro mani da Stefano Cianciotta, editorialista e opinionista economico attualmente docente di comunicazione e crisi all’Università di Teramo, e Pietro Paganini, professore aggiunto in Business Administration alla John Cabot University.
«La scuola dovrebbe aiutare i ragazzi stimolandoli a una formazione continua: che non significa che ogni giorno devono imparare una poesia, ma che ogni giorno devono confrontarsi in modo critico con quello che gli sta intorno» spiega Stefano Cianciotta [nella foto a destra] alla Repubblica degli Stagisti. «Se pensiamo che gli anni più importanti della formazione un ragazzo non li passa con la sua famiglia ma a scuola, allora capiamo l’importanza che ha nella costruzione del suo pensiero».
Eppure la scuola intesa come palestra è diventata negli anni «un luogo dove si frenano le passioni e l’intuito dei giovani», intendendo per “scuola” tutto il sistema della formazione, compresa quella universitaria e post universitaria. «A nostro giudizio in questi ultimi 30 anni si è abbandonato quell’equilibrio tra preparazione umanistica e competenza scientifica che di fatto aiutava il sistema italiano ad emergere. E alla fine tutto il sistema della formazione ha fatto dei passi indietro molto evidenti. Una volta aiutava a elaborare un giudizio critico, ora non più. Ma dovrebbe tornare a farlo, abituare lo studente al problem solving, al lavoro di gruppo: elementi che preparerebbero a gestire le crisi che si verificano nel mondo del lavoro».
Cosa che oggi, secondo l’analisi dei due autori, non succede: anzi Cianciotta e Paganini arrivano a scrivere che la scuola «uccide l’inclinazione umana alla curiosità». Un metodo per porre fine a tutto questo potrebbe essere quello di puntare sull’aggiornamento e la formazione continua, ma quello che è più importante è far innovare quotidianamente lo studente in classe. «È una cosa che non si fa più. Oggi, 2016, il sistema della formazione in Italia si basa in prevalenza ancora su nozioni, che i giovani però recuperano su Youtube. Continuare a fare così significa creare le condizioni per cui il ragazzo torni dalla scuola molto svogliato». Mentre oggi un insegnante dovrebbe essere un motivatore e un leader, «per aiutare i ragazzi a capire davvero che cosa sta accadendo all’interno di questa società sempre più complessa».
Non si parla, però, solo di scuola nel libro, ma anche di formazione, un tema su cui in Italia da anni si dibatte, introducendola ad esempio come obbligatoria per gli iscritti agli ordini professionali. Ed è qui che Cianciotta sottolinea il controsenso: «Nel momento in cui la formazione diventa un adempimento burocratico, perde tutti i connotati di critica e logica che invece sono alla sua base. Una persona si forma per imparare, conoscere, confrontarsi. Mentre il sistema della scuola come quello della formazione degli insegnanti queste cose non le fa più. Come non lo fa la formazione continua per gli iscritti agli ordini professionali: sono iscritto a quello dei giornalisti e scorrendo l’elenco delle attività di formazione solo una lezione su dieci è interessante. Le altre sono spesso questioni legate alla burocrazia».
Questo però non significa che studiare, formarsi e specializzarsi non serva a nulla. Tutt’altro, su questo punto gli autori sono concordi: tanto da scrivere che le correnti di pensiero che suggeriscono di non formarsi ed entrare immediatamente nel mondo del lavoro «sono fesserie senza alcuna base scientifica» perché i «dati e i pochi esempi che vi raccontiamo ci stanno dicendo esattamente l’opposto». Studiare è necessario, anche per imparare a costruire e usare quelle macchine che parzialmente ci sostituiranno.
Proprio dall’esigenza di dare «un orientamento scolastico» nasce il libro. «Siamo entrambi insegnanti a contratto all’università, dove abbiamo portato la nostra attività privata. E dove ci siamo confrontati con studenti che arrivati al terzo-quarto anno non sapevano ancora cosa fare. Avevano fatto tre anni di università e di fatto non avevano realizzato nulla! Non è possibile. Come non è possibile che la mia facoltà abbia la stessa offerta formativa di vent’anni fa, quando io mi sono laureato. È evidente che il sistema della formazione così non funziona e può produrre solo dei disoccupati».
All’incontro tra i due autori si è poi aggiunta la partecipazione al progetto di orientamento scolastico Allenarsi per il Futuro, creato nel 2014 dalla multinazionale Bosch, cui poi si è aggiunta l’agenzia per il lavoro Randstad, con l’obiettivo di favorire un nuovo approccio culturale al passaggio scuola – lavoro, che ha dato «la voglia di terminare il testo nel più breve tempo possibile». Il progetto promuove alcune iniziative che cercano di orientare i giovani attraverso la formazione pratica e i tirocini in azienda. Ma soprattutto attraverso gli incontri con sportivi di vario genere che mostrano come «dietro alle storie di successo non c’è il caso ma tanto, tanto sacrificio, che deve essere rinnovato quotidianamente sia che ci si alleni per imporsi alle Olimpiadi o nella vita professionale di ogni giorno». Nel primo anno di attività il progetto ha raggiunto 100 scuole e 10mila studenti, attivando 250 tirocini formativi. Numeri che mira a replicare anche per il 2016.
Un nuovo percorso, dunque, nel rapporto tra mondo della scuola e delle aziende, quello raccontato sia dal progetto di orientamento sia dal libro. Perché il sistema della formazione andrebbe riformato, anche se sono state proprio le riforme degli ultimi anni che non sono riuscite ad affrontare o risolvere i problemi. «Quello che leggiamo quotidianamente sui giornali conferma che la riforma Berlinguer è stata un grandissimo fallimento» dice convinto Cianciotta alla Repubblica degli Stagisti. «Doveva elevare il numero di laureati in Italia per equipararli a quelli europei, privilegiando la quantità a scapito della qualità. Il mercato però ha bocciato la triennale, perché nessuno prende un ingegnere o avvocato triennale, così i cinque anni diventano nel biennio una replica dei tre anni precedenti. Il sistema si è appiattito verso il basso e anche il sistema della scuola primaria, oggettivamente da sempre all’avanguardia, comincia ad avere questo tipo di deficit».
Anche l’opinione sulla “Buona scuola” non è positiva. «Apprezziamo lo sforzo riformatore, l’impegno al cambiamento», scrivono gli autori, però «è un pacchetto di norme poco coraggiose. Ma forse se ne comprende il perché, viste le reazioni spropositate e conservatrici dei sindacati e del personale scolastico».
Il vero problema di tutte le riforme, non solo dell’ultima «ma anche della Gelmini e di Berlinguer», è di aver sbagliato target, focalizzando sugli insegnanti e non sugli studenti. «Già questo fa capire che da oltre 40 anni le riforme della scuola venivano svolte in funzione di una corporazione», spiega Cianciotta. «Anche sulla Buona scuola, a un certo punto il dibattito si è concentrato sul comportamento del preside nei confronti dei docenti e sulla possibilità che qualcuno venisse spostato di 300 km. Non si è parlato abbastanza di qualità dell’insegnamento e di rivisitazione dei piani dell’offerta formativa. Mentre il tema su cui ci si dovrebbe focalizzare è cosa andiamo a produrre all’interno di quello spazio e cosa i fruitori di quella università o scuola si aspettano. Nessuno ha interrogato gli studenti».
Eppure per migliorare la scuola si potrebbe cercare di applicare, come gli autori suggeriscono nel libro, anche la teoria dell’economista Hanushek, ovvero licenziare periodicamente il 10% peggiore degli insegnanti per sostituirlo con un gruppo di colleghi migliori. «L’hanno fatto Blair e in parte Obama, quindi i principali paesi del mondo occidentale hanno utilizzato questo espediente» spiega Cianciotta «e secondo noi si potrebbe fare. In Italia però non si riesce nemmeno a licenziare un impiegato pubblico che palesemente timbra per quattro colleghi, si apre solo un procedimento che non prevede l’espulsione automatica… Su queste premesse, è ovvio che sia molto complicato creare dei sistemi di valutazione».
Forse licenziando una piccola percentuale di docenti, introducendo una retribuzione migliore «perché oggettivamente gli insegnanti italiani sono pagati molto male», e dando di nuovo ai professori la possibilità di applicare la logica e la creatività, si potrebbe cambiare qualcosa. Il sistema ha «equiparato l’insegnante a un impiegato del catasto. Ma dall’altra parte non ci sono carte, ci sono persone che chiedono di ricevere stimoli per costruirsi un percorso umano, sociale e professionale. Proprio in questo periodo di crisi economica l’investimento sulla qualità della formazione avrebbe garantito al nostro Paese quantomeno un cambio di paradigma».
Il messaggio finale diretto ai giovani è che «in questo momento storico un futuro devono inventarselo», spiega Cianciotta. Tra 10-15 anni l’Italia cosa sarà: un paese industriale o che punta sulle energie rinnovabili? «Non si sa e questa mancanza di visione crea un tale livello di confusione per cui gli investimenti stranieri latitano e ai giovani non si riesce a dare un orientamento». Per questo motivo i giovani dovrebbero cominciare fin da subito ad «allenarsi per il futuro» e ad usare come parole chiave per la propria formazione passione e creatività. Parole che tornano più volte nel testo e che Stefano Cianciotta definisce i «termini che qualificano la mia attività». Gli stessi termini con cui la scuola dovrebbe far confrontare i giovani ogni giorno, «a prescindere se farai il fisico nucleare o il calciatore o l’impiegato pubblico: tutto è dignitoso. Non abbiamo bisogno che tutti siano dei super scienziati, ma di persone che prima a scuola e poi nell’attività professionale mantengano alto il livello di passione, creatività e curiosità. Proprio quello che la scuola, purtroppo, non fa».

di Marianna Lepore

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