Un allarme inascoltato dal 1937 (Il Denaro.it)

di Giuseppe Pennisi, del 1 Settembre 2015

Da Il Denaro.it 31 Agosto

E’ apparsa la traduzione italiana di Stability Monetary Nationalism and International (Friedrich A. von Hayek, Vienna 1899-Friburgo 1992), prefazione di José Antonio de Aguirre, Rubbettino 2015, una raccolta di cinque lezioni fatta allo Institut des Hautes Etudes Internationales di Ginevra, istituto ancora oggi molto attivo. Le lezioni furono un’occasione per riflettere su nazionalismo monetario e stabilità internazionale. In effetti, il libro va trattato quasi come “dispense d’autore”: rappresenta il autorevoli scienziati sociali (non solo economista) dal secolo scorso; “dispense d’autore” di un teorico non di un economista impegnato su problemi “pratici”. Nella convinzione che dalla teoria sorgono gli insegnamenti per la pratica, e, quindi, per la politica economica. Tuttavia il messaggio è chiaro: avversione per un sistema di cambi fluttuanti (risultanti da “nazionalismo monetario”) in quanto fonte di perturbazioni molto gravi per il sistema finanziario ed economico internazionale; avvertimento che il “nazionalismo monetario” e le monete nazionali non possono isolare un Paese da tensioni provenienti da altri Paesi o dal resto del mondo (nel 1937 il termine “globalizzazione” non era in circolazione); certezza che non esiste una base razionale per regolare la quantità di una moneta o di un’area monetaria che sia parte di un sistema economico più ampio. È un messaggio molto eloquente per dipanare i guai dell’eurozona. In altri termini, il messaggio che si trae da Nazionalismo Monetario e Stabilità Internazionale è che se si fosse ascoltato Hayek il Trattato di Maastricht non sarebbe stato redatto. Si sarebbe rimasti, forse, all’accordo europeo dei cambi (Sistema monetario europeo, Sme) che limitava le fluttuazioni e rendeva collegiale il processo decisionale sui cambi, ma non costruiva un sistema complicato di regole, peraltro poco osservato e aggiornato con accordi intergovernativi ad hoc che lo fanno assomigliare al vestito di Arlecchino.

Di Giuseppe Pennisi

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