Sull’Italia in trincea, la versione di Benito (La Gazzetta del Mezzogiorno)

di Nico Perrone, del 18 Febbraio 2016

Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 18 febbraio

Monumentali libricini, si potrebbe dire di entrambe queste opere, dotate di introduzioni e apparati di note davvero imponenti. Parliamo di: Benito Mussolini, Giornale di guerra. 1915-1917, introduzione e cura di Alessandro Campi (Rubbettino ed., pp. CXVI-220, con illustrazioni, euro 16,00) e di Benito Mussolini, Il mio diario di guerra (1915-1917), a cura di Mario Isnenghi (Il Mulino ed., pp. 226, con 10 tavole f.t., euro 18,00).
L’enfasi del professore talvolta è solenne da parte di Alessandro Campi, peraltro curatore assai scrupoloso e generoso di dati che altrimenti sarebbe difficile reperire, ma per il lettore viene un po’ smorzata dalla contemporanea pubblicazione dell’edizione curata da Mario Isnenghi, un altro maestro. Campi scrive: «della corrispondenza bellica di Mussolini, nonostante l’occasione propizia, nessun editore di grido si è fatto carico». Ed ecco invece il «grido» concomitante dell’edizione Isnenghi: tutt’e due recano il «finito di stampare» del gennaio 2016. Si sa che, in fatto di libri, è sempre meglio averne uno di più che non averne nessuno.
I curatori lasciano intendere il problema della genuinità del diario, nel senso di potere esser certi che siano memorie di Benito Mussolini (1883-1945) testimonianti l’immediatezza delle osservazioni, o se invece non siano un rifacimento successivo dell’autore medesimo. Ma è un problema che, a parte lo scrupolo dei nostri curatori, potrebbe porsi per qualsiasi diario pubblicato successivamente ai fatti. Ogni diarista costruisce una propria «verità». D’altronde, gli storici sanno con quanta cautela vadano maneggiate queste pubblicazioni.
A parte il condiscendere politicamente col nostro autore, oppure di essere suoi fieri oppositori, è innegabile il valore di testimonianza di queste pagine di Mussolini: sono ricordi che valgono proprio per la rappresentazione che l’autore ha voluto dare dei fatti. La lettura andrebbe fatta mettendo però da parte ogni pregiudiziale politica. Un primo problema riguarda lo stato d’animo dell’autore durante la guerra. Mussolini mostrava di credere fermamente in quello che faceva. D’altronde, alla guerra aveva chiesto di arruolarsi volontario (Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Einaudi, 1965, pp. 321 s.), ma la sua domanda era stata respinta. Partirà nel 1915, col richiamo della sua classe alle armi. Tutte quelle annotazioni di Mussolini avevano avuto la prima edizione nelle pagine de «Il popolo d’Italia», il quotidiano da lui fondato e diretto, a Milano, che si pubblicò dal 15 novembre 1914.
Gli anacoluti di Isnenghi s’inseguono, mettendo talvolta il lettore alla prova. Dopo avere intitolato un capitolo «Il popolo d’Italia / L’Italia del popolo», egli scrive che il giornale di Mussolini «arieggia a una testata di Mazzini: non “L’Italia del popolo”, ma “Il popolo d’Italia”, inversione non lieve». Mazzini però utilizzò entrambe quelle testate: «L’Italia del popolo» (dal 21 febbraio 1857) e «Il popolo d’Italia» (dal 18 ottobre 1860). Bisogna dire che qualche dubbio può venire nell’affrontare una scrittura ricca e appassionata come quella di Isnenghi: il suo libro si caratterizza proprio per la passione antifascista, utile antidoto in tempi di allarmanti ricadute. Il libro di Campi si caratterizza per la cura scrupolosa e la ricchezza dell’apparato. Le note a pie’ di pagina sono qui assai generose e accurate, nel descrivere le situazioni e perfino nell’identificare tutti i combattenti. La prefazione travalica ampiamente l’estensione del testo di Mussolini. Quelle di Isnenghi sono invece, anche nella forma, pagine in buona parte con un taglio di critica letteraria. Le une e le altre – senza voler coinvolgere con questa osservazione le posizioni politico-ideologiche dei rispettivi autori – oggettivamente costituiscono un postumo regalo alla memoria del Duce.
Entrambi i curatori si pongono il problema del reperimento delle pagine manoscritte da Mussolini, verosimilmente finite in qualche pattumiera, ammesso che mai siano esistite come tali e che la loro pubblicazione non fossero state invece confezionate per «Il popolo d’Italia», sulla base di qualche appunto frammentario del tempo di guerra.
Il testo di Mussolini sembra essere costruito con una tecnica narrativa che asseconda il gusto del tempo, e con evidenti intenti politici: «notte di luna, sereno» – egli scrive sotto la data del 22 febbraio 1916, dopo un’interruzione del diario che durava dalla metà del novembre precedente. E soggiunge «ma freddissima… dai quindici ai venti gradi sotto zero». Il comando rimedia, «alle quattro e a mezzanotte», con «caffè e latte», perché «la distribuzione dei viveri è regolare e abbondante». Ma subito dopo, «notte di guardia alla trincea. Dodici ore sotto a una implacabile bufera di neve».
Il diarista non si lascia andare: i soldati corrono subito a difendersi da un «attacco simulato». Vita assai dura, coi compagni che cadono sotto le pallottole. Mussolini riceve i galloni di caporale, con motivazione «per l’attività sua esemplare, l’alto spirito bersaglieresco»: siamo al 29 febbraio 1916.11 31 agosto lo fanno caporalmaggiore, ma non l’annota nel diario. La vita scorre, sulle montagne della Carnia le truppe sono «sulla difensiva». «Giunge… il rombo ininterrotto del cannone»: Mussolini annota anche tante parole delle canzoni che cantavano i soldati.
«Il morale», egli scrive, «è il maggiore o minor senso di responsabilità, il maggiore o minore impulso al compimento del proprio dovere, il maggiore o minore spirito di aggressività che un soldato possiede». Se l’avesse scritto allora quel diario, o se avesse raccolto riflessioni successive con intento politico, è impossibile dirlo. Certo è che in quelle pagine si delinea un pensiero che sarà quello del Duce. Il diario si conclude il 23 febbraio 1917, con Mussolini ferito e ricoverato all’ospedale, dove «sono rimasti i medici, il cappellano, gli infermieri. Di feriti, soltanto io».

di Nico Perrone

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