Un vivido affresco del Sud sul filo della memoria (Calabria on web)

di Filippo Rosace, del 16 Ottobre 2013

Da Calabria on web del 16 ottobre 2013
 
In questo romanzo (o racconto lungo, come preferisce definirlo Annarosa Macrì), Da che parte sta il mare (Rubbettino, pp. 200, Euro 12,00), si narra un pezzo di storia dell’Italia, del sud Italia in particolare. Ma non è la storia con la s maiuscola, quella che finisce sui testi ufficiali, quella con protagonisti i grandi uomini, a volte gli eroi. E’ un pezzo di quella storia fatta da gente comune, uomini e donne della “porta accanto”. Un pezzo di quella storia che quasi mai finisce nero su bianco nei libri, specie se è fatta di sofferenze, povertà, difficoltà. Questi spaccati di storia spesso non finiscono neanche nei racconti familiari; si preferisce dimenticarli, o fare finta di averli dimenticati. Ed è questo il primo grande valore del libro. Racconta una parte della storia di questo Paese partendo dal basso, da un punto di vista qualsiasi. Ma ogni vicenda umana è in sé straordinaria, e la parte più consistente della storia del mondo è fatta proprio dalla somma di tutte le vicende umane, comuni e straordinarie, unite insieme. E così in quest’opera trova corpo una vicenda preziosa perché parte di quel grande magma costantemente in divenire che raramente trova consistenza tra le pagine di un libro. Sembra averlo capito bene Annarosa Macrì, che racconta una vicenda di chiara matrice autobiografica senza preoccuparsi di dovere o volere nascondere nulla. O forse lo capisce durante la stesura del testo, man mano che le pagine si riempiono. E così ciò che ha tutta l’aria di partire da un intimo sentimento filiale, dall’amore e l’ammirazione di una piccola figlia per il padre, inizia a prendere forma in una maniera più organica, più strutturata, spostando la dimensione letteraria del testo dall’intimistico all’antropologico, con un lavoro che diventa sentimento e memoria di un’intera comunità. Quel sud del Paese che nelle sue mille contraddizioni e risorse trova la forza per ripartire da una condizione a dir poco difficile. E lo fa con grande orgoglio, coraggio, sofferenza, forse imprudenza. Ma lo fa, nell’unico modo in cui è capace di farlo. Probabilmente questa evoluzione del testo in itinere è la causa del lungo periodo di gestazione. E succede per i libri come per i figli: una volta gettato il seme, esso inizia a vivere di una vita sua, autonoma da chi lo ha “generato”, e diventa qualcosa che a nessuno è più possibile prevedere cosa sarà. Con una scrittura snella, lineare, che tende più al significato che al significante, Annarosa Macrì, alla sua prima uscita letteraria, stende un romanzo tutto “di pasta di casa”; la casa di quelle moltissime persone che nel sud, nelle sue tradizioni, nei suoi valori, nelle sue contraddizioni, nelle sue difficoltà, hanno trovato il terreno fertile della propria formazione umana e professionale, e che oggi, non vergognandosi di ciò che sono state, si approcciano con naturale ottimismo al prossimo futuro e ai cambiamenti che porterà con sé.

Di Filippo Rosace

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