Tutte le colpe della crisi: il “j’accuse” di Paolo Savona (L'Unione Sarda)

di Matteo Mascia, del 16 Luglio 2015

Paolo Savona

J’accuse

Il dramma italiano di un'ennesima occasione perduta

Da L’Unione Sarda del 15 luglio

Arriva nelle librerie un pamphlet durissimo nei confronti della politica economica italiana ed europea. Nel suo “J’accuse-Il dramma italiano di un’ennesima occasione perduta” (Rubbettino) l’economista Paolo Savona elenca tutti gli errori commessi da chi ha pensato, e continua a pensare, che la ripresa possa arrivare con politiche a base di austerità. Una ricetta riproposta anche dalla Troika in Grecia. Colpe e responsabilità accompagnate da suggerimenti per tornare a crescere.
Professore, quali sono stati gli errori della politica economica italiana?
«La politica delle riforme portata avanti negli ultimi anni ha generato avanzi nella bilancia dei pagamenti, ossia risparmi non utilizzati che, data la gravità della disoccupazione, andrebbero riciclati attraverso investimenti privati e, se questi non dovessero manifestarsi, con investimenti pubblici in deficit. Sappiamo però che questo è reso oggi impraticabile dai vincoli fiscali comunitari».
Intercettare la ripresa potrebbe quindi essere molto semplice.
«Il vero problema italiano è quello di un’economia a due velocità. Non possiamo pensare di applicare la stessa politica per il Nord e per il Mezzogiorno. Sono realtà totalmente diverse e sempre più distanti. Una risposta potrebbe arrivare dall’edilizia così come avvenuto negli Usa e in Germania. Noi invece abbiamo preferito azzoppare il comparto con una tassazione del tutto irrazionale».
Il modello fiscale adottato è stato quindi recessivo?
«Queste tasse ci sono state imposte con il fine di risanare i conti pubblici. Invece sono servite solamente ad aumentare la spesa pubblica. Perfino Mario Monti ha finito per perpetuare questo cattivo uso delle tasse».
Quali terapie propone per invertire la tendenza?
«Innanzitutto l’attuale politica della Bce di acquisto di titoli del debito pubblico è scriteriata, perché i titoli da acquistare sarebbero dovuti essere quelli per realizzare il Piano Juncker, attivando 315 miliardi, che corrisponde quasi al risparmio inutilizzato a livello europeo. In periodo di crisi le opere pubbliche sono fondamentali. Sul fonte interno l’Italia dovrebbe pretendere da Bruxelles una deroga per arrivare a spendere sino a 40 miliardi: l’avanzo nella nostra bilancia dei pagamenti. Un vasto programma di investimenti pubblici da concentrare nelle aree depresse del Sud».
Non si rischia di far aumentare la spesa pubblica e andare contro i diktat della Commissione europea?
«La spesa pubblica non deve essere aumentata, deve essere rivista. Sappiamo che la politica italiana è bravissima a trovare sempre nuovi motivi per impegnare risorse. Nel mio libro spiego attraverso un grafico che anche durante il governo di Monti siamo stati capaci di far corrispondere l’aumento della pressione fiscale a quello della spesa pubblica. Continuare a spendere aumentando le tasse vuol dire favorire la deflazione».
Il suo saggio si conclude con quattro lettere aperte destinate ai protagonisti della crisi: Junoker, Draghi, Viso e Padoan. Le colpe più gravi?
«Al governatore della Bce Mario Draghi rimprovero di aver definito l’euro “irreversibile”. Una cosa senza senso visto che, essendo frutto di un trattato internazionale, è sempre revocabile. Non a caso, proprio in queste ore, abbiano notato che tanti Paesi dell’eurozona ritenevano possibile che la dracma tornasse a essere usata in Grecia. Anche Draghi, nel corso dei mesi, ha finito per rivedere questa sua posizione. Rimprovero poi a Draghi una serie di comportamenti incoerenti in materia di cambi e moneta. Venendo all’attuale ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, evidenzio il conformismo europeo delle strategie adottate dal governo Renzi. Politiche che stanno contribuendo ad affossare l’edilizia e, con essa, la crescita. Sarebbe poi fondamentale rivedere il ruolo della Banca d’Italia, un istituto oggi denazionalizzato che fa solamente gli interessi dell’Ue. Un atteggiamento deleterio per la nostra economia».

Di Matteo Mascia

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