“Storia dei valdesi in Calabria” di Vincenzo Tedesco

di Francesco Bevilacqua, del 30 Aprile 2015

Vincenzo Tedesco

Storia dei valdesi in Calabria

Tra basso medioevo e prima età moderna

Da ilLametino del 30 aprile

La terza e ultima minoranza etnica in Calabria di cui ci occuperemo (in questa rubrica ci siamo già occupati dei Grecanici e degli Albanesi di Calabria) è quella dei Valdesi di lingua occitana. Lo facciamo con il recentissimo libro di Vincenzo Tedesco (Palmi 1990), dal titolo “Storia dei valdesi in Calabria”, edito da Rubbettino nel 2015. Segnalo anche, sull’argomento, il libro di Enzo Stancati “Gli ultramontani” riedito nel 2008 da Pellegrini.
Quella dei Valdesi è una storia del tutto singolare che si collega ai grandi movimenti rinnovatori che si diffusero in Europa tra il 1000 ed 1100 per ricondurre il Cristianesimo ai valori evangelici delle origini e che provocarono violentissime persecuzioni da parte della Chiesa di Roma. Della originaria comunità valdese in Calabria, resta oggi solo la piccola isola etnico-linguistica di Guardia Piemontese, nell’alto Tirreno cosentino, un paese abbarbicato ai fianchi occidentali della Catena Costiera, dorsale montuosa che corre per una settantina di chilometri parallela alla costa tirrenica cosentina. La storia dei Valdesi getta una luce sinistra su uno dei periodi più bui della storia d’Europa e vale da monito contro tutti gli integralismi religiosi e le assurde violenze ad essi legate.
In Francia, nel 1173, Valdesio o Valdés (detto poi Pietro Valdo), ricco mercante di Lione, si convertì alla povertà, distribuì ai poveri le sue ricchezze, tradusse in volgare la Bibbia (purtroppo andata distrutta), e cominciò a predicare di paese in paese. Dopo una serie di trattative con le autorità ecclesiastiche intervenne la condanna per eresia nel Concilio di Verona del 1184, nella quale vennero accomunati ad altri movimenti ereticali anche più diffusi e famosi come quello dei Catari. La condanna definitiva venne ribadita dal IV Concilio Lateranense del 1215. Valdo morì tra il 1205 ed il 1207. Ma la sua dottrina sopravvisse ben oltre lui. A differenza di quella dei Catari, o Albigesi, così detti dalla città di Albi, nella Lingauadoca (langue d’oc), ricca regione tra il Rodano ed i Pirenei, nell’attuale Francia del Sud. I Catari erano fautori di un’antica teologia dualista secondo la quale ci sono due divinità, una buona, il cui regno è puro spirito, e una cattiva, che domina il mondo materiale. Tutto ciò che era materiale, dunque, secondo i Catari, era intrinsecamente malvagio e la salvezza stava nell’emanciparsi dalla carne. I Valdesi erano anch’essi concentrati nelle terre della Linguadoca, benché non aderissero alla teologia dualista. I Catari furono in gran parte sterminati con una grande e lunga crociata interna voluta da Innocenzo III, a partire dal 1208, alla fine della quale, dopo massacri inenarrabili, la Linguadoca, culla dell’eresia albigese (ma popolata anche di cattolici e di Valdesi), venne annessa alla Francia. Ne subirono le conseguenze anche i Valdesi, che furono costretti a fuggire in aree marginali dell’Europa, tra cui alcune valli del Piemonte e della Lombardia e vennero detti “ultramontani”, perché provenienti da al di là delle Alpi. Si creò così, l’Occitania, una regione linguistica a cavallo fra Francia e Italia nord-occidentale, erede della langue d’oc, una lingua provenzale usata dai cantori dell’epoca. Anche i valdesi vennero perseguiti dalla Chiesa come eretici. Dall’Occitania partirono, così, ondate migratorie per altri luoghi. Una di queste interessò proprio la Calabria.
Qualcuno fa risalire la prima discesa di Valdesi in Calabria già sotto Federico II e comunque sotto gli Svevi. I Valdesi raggiunsero comunque San Sisto, Guardia Piemontese, Montalto Uffugo, San Vincenzo la Costa. Qui, anche per concessione dei locali feudatari, i Valdesi colonizzarono terre incolte e, forti della loro tradizione contadina e pastorale, formarono comunità laboriose e fortemente identitarie. Conservando usi, costumi, lingua e consuetudini religiose, benché mai ostentate per evitare la reazione della Chiesa Cattolica.
Si giunse così al grande, epocale conflitto della riforma luterana. Lutero (1483/1546), sostenuto da gran parte della nobiltà tedesca, condusse il suo veemente affondo contro la Chiesa romana, uscendone, alla fine, vincitore. Si può dire che la riforma cominciò intorno al 1517. La Chiesa reagì con il lungo e contrastato Concilio di Trento che durò dal 1545 al 1563, dal quale emerse quella che comunemente viene chiamata controriforma. Venne il tempo per il declino dell’eresia valdese in Calabria.
Ciò che fece scattare la reazione della Chiesa e dell’Inquisizione fu probabilmente il susseguirsi di missioni in Calabria di predicatori (i “barbi”) che incitavano le popolazioni valdesi a praticare apertamente i loro culti.
Nel 1558 monaci domenicani furono inviati in Calabria per indagare sullo stato delle eresie e per riferire al supremo inquisitore cardinal Michele Ghislieri. Più o meno nello stesso periodo iniziò la sua predicazione nella zona dei Valdesi, Gian Luigi Pascale, entrando in aperto contrasto con il feudatario entro la cui giurisdizione ricadeva Guardia Piemontese (allora La Guardia), il cavaliere Salvatore Spinelli (il regno, ricordiamo, era tenuto dalla monarchia Spagnola). Tra i Valdesi vi era divisione. Da un lato c’erano i più ricchi e agiati che temevano di perdere i loro privilegi e propendevano per un accomodamento con le autorità religiose locali, rifiutando gli incitamenti di Pascale. Dall’altro vi era il popolo minuto, che, viceversa, era propenso a rendere pubblico il culto. Lo Spinelli, benché inizialmente desideroso di comporre bonariamente la vicenda, non riuscendo ad allontanare il Pascale, convocato a Napoli per rendere conto di quanto stava accadendo, e temendo ritorsioni (già accadute ad altri feudatari riottosi) si decise a chiedere l’appoggio del braccio secolare della Chiesa per reprimere l’eresia montante. Il Ghislieri si convinse che non bastava arrestare o condannare i più facinorosi, ma che l’eresia doveva essere estirpata capillarmente. Nel 1560 il Pascale venne condannato e giustiziato a Roma. Ghislieri rivolse quindi le sue attenzioni alla comunità Valdese. Vennero inviate in Calabria truppe vicereali accompagnate da prelati del Sant’Uffizio. Si mise in atto una repressione dura con arresti, distruzione di abitazioni, imposizioni e minacce. Gli abitanti di San Sisto si dettero alla macchia e resistettero con le armi. Fu inviato dal Vicerè un vero e proprio esercito per sedare la guerriglia. San Sisto venne raso al suolo. I fuggiaschi furono giustiziati crudelmente. Guardia, invece, fu presa con l’inganno dallo Spinelli. Era il giugno del 1561. La porta principale sotto cui iniziò la strage fu detta da allora “Porta del Sangue”. Nei resoconti dell’epoca sono descritte minuziosamente le sevizie cui furono sottoposti i Valdesi: stupri, torture, squartamenti, roghi, esposizioni di pezzi di cadaveri. Nel libro di Tedesco spicca, in particolare, il testo di una lettera che due padri gesuiti, Lucio Croce e Giovanni Xavier, scrissero nell’immediatezza. Eccone qualche stralcio: “Oggi a buon’ora si è ricominciato a far l’orrenda iustitia di questi luterani, che solo il pensarvi è spaventevole. […] erano tutti serrati in una casa, e veniva il boia e li pigliava a uno a uno […], poi lo menava in un luogo spazioso […] e lo faceva inginocchiare, e con un coltello gli tagliava la gola, e lo lasciava così […] e col coltello insanguinato ritornava a pigliar l’altro, e faceva il simile. […] e tutti si squarteranno e si metteranno di mano in mano per tutta la strada che fa il procaccio fino ai confini della Calabria. “Colpisce, di questa lettera, il sistema: il coltellaccio, lo sgozzamento pubblico delle vittime, lo squartamento dei corpi e l’esposizione lungo la strada delle membra dei malcapitati. E mi è subito venuto in mente lo spettacolo mediatico che hanno messo in piedi negli ultimi tempi alcuni gruppi di integralisti islamici. Che è esattamente – e forse non casualmente – uguale a quello che, cinque secoli prima facevamo, come cattolici, agli stessi nostri fratelli cristiani considerati eretici. Ne traggo l’amara conclusione che l’indignazione per le nefandezze altrui dovrebbe essere sempre accompagnata dall’indignazione per le nostre nefandezze.

di Francesco Bevilacqua

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