Sfidiamo la ‘ndrangheta ogni giorno per regalare al Paese un futuro diverso

di Angela Iantosca, del 22 Maggio 2013

Da F – 22 maggio 2013

Angela, ex deputata a cui vogliono togliere la scorta, Deborah a cui hanno ucciso il padre e Carmela, sindaco sotto assedio. Sempre più donne cercano di rompere un sistema criminale inventato dagli uomini. Ecco le loro battaglie
C’è un’altra Calabria nascosta tra le pieghe della ‘ndrangheta. È quella delle donne che hanno deciso di lottare per rompere un sistema di alleanze omertose: le ho conosciute viaggiando in lungo e in largo in quella regione per scrivere il mio libro-inchiesta Onora la madre. Storie di ‘ndrangheta al femminile (Rubbettino). Le ribelli sono poche, certo, rispetto alle innumerevoli donne interne al sistema. Ma negli ultimi anni hanno fatto moltissimo.

E, nonostante le minacce, continuano a combattere. Ve ne presento tre.


Un appello tv alle mogli dei boss

Angela Napoli è nata in Piemonte, ma è originaria di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, il primo comune d’Italia a essere sciolto per infiltrazione mafiosa. Il suo primo impegno sono stati i ragazzi: Angela, infatti, è stata professoressa di matematica e fisica nonché preside per 33 anni. Ha visto crescere generazioni di adolescenti e ha cercato di insegnare loro il senso profondo della parola legalità. Qualcuno l’ha minacciata, dicendole che le avrebbe tagliato le ruote della macchina all’uscita della scuola, ma la verità è che la stragrande maggioranza dei ragazzi con i quali ha avuto a che fare è uguale a tutti i coetanei italiani. Poi è arrivata la politica che l’ha vista deputata per cinque legislature e componente della Commissione parlamentare antimafia. Considerata una tra le più operose a Montecitorio, ha fatto diventare legge numerose delle sue proposte contro le associazioni di stampo mafioso e sulla trasparenza. Ma la sua è anche una lotta all’interno delle coscienze: «Ho sollecitato durante la trasmissione Chi l’ha visto? le donne di Platì a interrogarsi sulla provenienza dei loro lussi, nonostante un’economia esterna nulla. Ma loro si sono riunite nella Sala comunale del paese e mi hanno minacciata». E non è stata certo l’unica volta: nel 2010 è stato rivelato un piano per eliminarla e da allora vive sotto scorta. Il governo Letta ha deciso proprio in queste ore di toglierle la protezione e immediatamente quattro associazioni hanno scritto al prefetto di Reggio Calabria contro questa decisione. Oggi Angela è a capo di Risveglio ideale, un’ associazione vicina ai cittadini e alle famiglie di vittime di mafia. Continua a lottare contro il crimine, per salvare una terra «costituita in maggioranza da persone oneste che avrebbero voglia di lavorare”.

 

Orfana per la violenza delle cosche

Deborah Cartisano voleva essere una ragazza normale. Con una vita normale. Ma è nata a Bovalino, nella Locride, ed è cresciuta vicino a quella montagna silenziosa che tutti conosciamo per colpa dei sequestri di persona. Un giorno papà Alfonso detto Lollò, fotografo, le racconta che qualcuno ha tentato di chiedere loro il pizzo, ma che lui ha detto no, andando alla polizia. Deborah ancora non comprende, eppure è quel “no” di suo padre a insegnarle la strada. I Cartisano sono una famiglia per bene, hanno un legame profondo con la Calabria, con l’Aspromonte e Pietra Cappa, un monolite che Lollò ama fotografare. Ma il 22 luglio del 1993 tutto cambia. I coniugi Cartisano stanno tornando a casa, Lollò scende per aprire il cancello quando sbucano degli uomini che lo costringono a risalire in macchina e a guidare fino in aperta campagna. Poi legano la moglie, Mimma, la tramortiscono e spariscono nel nulla. Dal giorno dopo cominciano le ricerche e le trattative: è il Natale del 1993 quando la famiglia paga 200 milioni di lire: il paese è deserto. Non c’è neanche un gatto. Perché tutti sanno ciò che deve accadere. Ma il padre non torna a casa. Da quel momento comincia l’attesa, che Deborah trasforma in azione: coinvolge i giovani del paese, scende in piazza e mobilita le coscienze, perché è certa che se la ‘ndrangheta è arrivata fino a quel punto è perché loro glielo hanno permesso. Dieci anni dopo arriva a casa una lettera anonima: è l’ex carceriere di Lollò che dice di cercare il perdono. Per questo indica il posto dove è stato sepolto: ai piedi di Pietra Cappa. La sua amata pietra, la sua ultima casa.


Da farmacista a sindaco sotto scorta

Maria Carmela Lanzetta: per lei la legalità è naturale come guardare il mare. È l’unico valore che permette di essere davvero liberi. Era timida Maria. Ma poi, nel 2006, ha deciso di fare qualcosa di concreto, oltre a occuparsi della farmacia di famiglia. Si è candidata sindaco di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria, e ha vinto. Ha bissato nel 2011. Ma la notte del 25 giugno la sua farmacia è stata bruciata. Tre giorni dopo le donne del paese con strofinacci, acqua e detersivo, si sono messe a disposizione per aiutarla. «Non potrò pagarvi», ha obiettato Lanzetta. «Ci avete già pagato con il vostro impegno», hanno risposto in coro le donne. Le minacce però non si sono fermate: nel marzo del 2012, una mano ha sparato tre colpi di pistola contro la sua auto. E quando la sua storia è diventata nota a tutta Italia attraverso la pubblicazione del libro di Goffredo Buccini, L’Italia quaggiù, sulle pagine di Facebook dell’editore Laterza è stato postato un volantino firmato Occupy Monasterace che suggeriva di boicottare il libro. «Nonostante la solidarietà di tante persone mi sento sola: sono affiancata da pochissimi dipendenti che stanno ancora peggio di me. Ma andiamo avanti. Ci ispiriamo ai nostri maestri, alla cultura, al senso critico e allo spirito di osservazione».

Di Angela Iantosca

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