Rubbettino Editore. Oltre quarant’anni di idee libere

del 9 Ottobre 2013

rubettino1Pensare i/n libri, L’editoria e le letture di Rebecca Libri  intervista Florindo Rubbettino

Punto di riferimento imprescindibile per quanti a vario titolo si occupano di economia, politica e scienze sociali, ha scelto la banca dati di Rebeccalibri come veicolo culturale-commerciale per i propri libri di interesse religioso. L’aspetto più importante – e quasi obbligato – quando si incontra un editore, è collocarne il catalogo: linea editoriale, pubblico di riferimento, esperienze passate e ipotesi per l’immediato futuro.

Come presenterebbe, per linee essenziali, la Vostra mission e la Vostra esperienza editoriale ai lettori di «Pensare i/n Libri»?

La Casa Editrice Rubbettino nasce nel 1972 a Soveria Mannelli, in Calabria, grazie all’impegno e alla caparbietà di Rosario Rubbettino. Il primo nucleo aziendale era costituito inizialmente da una tipografia e da una piccola casa editrice. Negli anni immediatamente successivi alla start-up la stamperia si è trasformata in una moderna azienda tipografica che offre oggi servizi di stampa a molte altre case editrici italiane, mentre la produzione editoriale è diventata sempre più intensa e qualificata fino a riuscire a imporsi come punto di riferimento imprescindibile per quanti a vario titolo si occupano di economia, politica e scienze sociali.
Oggi la Casa Editrice si presenta come un grande network capace di unire studiosi, docenti universitari, fondazioni, enti, politici, tutti accomunati dal desiderio di approfondire e divulgare i temi e le policy del liberalismo all’interno del mondo politico, dell’accademia e della società. L’impegno della Rubbettino è diventato così quello di dar voce a classici e autori lontani dal grande circuito, testi che riabilitano la libertà e il mercato, che riportano alla luce patrimoni della cultura a lungo dimenticati, che ribadiscono come la vera storia sia sempre revisionistica. Quello che l’editoria italiana – non di rado quella più «potente» e «influente» – ha proibito nei decenni passati è esattamente la disputa tra idee che solo può arricchire la vita morale e intellettuale di un popolo. E lo ha fatto ignorando i grandi pensatori liberali. Coprire dunque un vuoto culturale che ha per lungo tempo nascosto a intere generazioni i più preziosi contributi degli studiosi che più hanno gettato luce sulle dinamiche della società aperta, sull’economia di mercato, sullo spirito innovativo dell’imprenditore, sui principi della cooperazione inintenzionale che si ha in una società libera e su ciò che rende tale società superiore a ogni esperimento interventistico e pianificatore, è l’obiettivo con cui è nata e va avanti la Casa Editrice.

Quali sono le vostre collane “storiche” e quali le future?

Esistono collane più generaliste, come i “Saggi” e i “Problemi aperti”, che affrontano i grandi temi del nostro tempo, l’una in ottica più scientifica e analitica, l’altra in chiave più divulgativa e interpretativa. Allo stesso modo, questa diversificazione vale anche per le singole discipline: ad esempio per la storia, dove accanto a collane universitarie quali “Storia politica” e “Storia e storiografia”, vi sono le “Storie”, rivolte al grande pubblico col compito di far luce su episodi o personaggi controversi o semplicemente poco noti. Su un piano più ampio, ma con le stesse caratteristiche di qualità, vanno considerati i contributi raccolti nelle collane “Universale” e
“Le Bighe”. Inoltre, le contaminazioni tra cinema e letteratura, e le tendenze più avanzate della stessa narrativa trovano poi ospitalità nelle collane “Cinema” e “Velvet”. Infine, su tutte vorrei particolarmente evidenziare il ruolo che l’economia e la riflessione sulla metodologia delle scienze sociali hanno occupato sin dai primi anni di attività all’interno del catalogo, grazie anche alla collaborazione di un gruppo di intellettuali italiani del calibro di Dario Antiseri, Lorenzo Infantino, Massimo Baldini e Sergio Ricossa. Sotto la loro direzione viene inaugurata la celebre collana “Biblioteca austriaca” che ha proposto in lingua italiana, spesso per la prima volta, i classici del pensiero austriaco liberale, consentendo al contempo alla Casa Editrice di acquisire sempre maggiore credito. Come spin-off di questa feconda intuizione non posso non menzionare la “Piccola biblioteca del pensiero occidentale” e “Il liberalismo delle regole”, collana dedicata a quell’economia sociale di mercato tanto citata quanto poco approfondita, in tutte le sue implicazioni, nel nostro Paese.

Quando venne inaugurata la vostra collana “Biblioteca austriaca” i grandi pensatori della scuola liberale erano sostanzialmente ignorati dalla cultura accademica italiana, prevalentemente neoclassica e keynesiana. Oggi che von Hayek e Mises sono diventati i punti di riferimento riconosciuti del pensiero e della pratica c.d. neoliberista, la vostra Casa Editrice ha acquisito in Italia grande credito per aver coperto questo vuoto culturale. Nel dibattito attuale quale pensate che potrà essere il vostro futuro ruolo di diffusione culturale?

Anzitutto mi preme dire che quando si parla di giganti del pensiero come Hayek e Mises è forse riduttivo considerarli solo all’interno di una precisa tradizione culturale. È per questo che con le nostre collane e con i nostri autori, italiani e stranieri, cerchiamo di offrire un servizio all’intera comunità culturale, che vive naturalmente di scambi, dialoghi e anche di feconde contrapposizioni. Il fatto di essere editori indipendenti ci dà in questo una grande libertà ed è la stessa libertà il primo valore che umilmente tentiamo di proporre alle coscienze dei nostri lettori. Questo è possibile anche perché tra la storia imprenditoriale della Rubbettino e quella dei libri che ha prodotto si è venuto a creare un rapporto simbiotico. La vicenda della Rubbettino, infatti, è anche la traduzione concreta dei principi che i volumi di Mises, Hayek, Popper – soltanto per citare alcuni autori del catalogo – hanno divulgato e promosso. Principi che tutti gli imprenditori conoscono bene, ma che nella società non hanno molta popolarità, forse proprio a causa delle vicende editoriali del nostro Paese.

Qual è il rapporto tra la produzione editoriale strettamente legata alle finalità di ricerca e didattica universitaria e quella destinata al più ampio pubblico dell’editoria di cultura?

Deve essere necessariamente un rapporto di osmosi, se vuole giovare ai lettori. Non a caso molti dei nostri autori scrivono contributi sia per collane più accademiche sia per collane di alta divulgazione. Detto questo è normale che un discrimine importante lo dà il meccanismo del mercato, che altro non è che il giudizio degli stessi lettori. L’augurio è che anche grazie alle istituzioni (in passato non precisamente attive in questo) si possa arrivare a comprendere che è necessario, per tutti, avere una formazione di base sulle grandi (e piccole) questioni della vita pubblica, attraverso lo sforzo di acquisire, anche attraverso le teorizzazioni accademiche non sempre di agevole lettura, gli strumenti in grado di interpretare i mutamenti della società.

Oltre al livello scientifico c’è un’attenzione da parte Vostra anche alla divulgazione? E se c’è, in che modo è possibile, secondo Lei, coniugarla con la serietà scientifica? Quali errori non bisognerebbe commettere?

Come dicevo, la divulgazione è la chiave per entrare nel pubblico dei non specialisti, da un lato per soddisfarne l’esigenza informativa dall’altro per stimolarne la curiosità ad approfondire (ne è un esempio la collana “Zona Franca”). In quest’ottica non vanno tanto temuti gli errori o i fraintendimenti, quanto la pigrizia intellettuale: da parte nostra, nel non credere che determinati contenuti possano essere fruiti da un pubblico più vasto di quello a cui sono naturalmente destinati; da parte di chi legge, nell’abbandonare una traccia culturale solo perché presentata… con le note a pie’ di pagina!

Un editore vende un prodotto: esiste una definizione di “prodotto culturale” nella quale vi riconoscete di più? Che cosa intendete proporre soprattutto al nuovo pubblico?

Farei molta attenzione a parlare di “nuovo pubblico”, se ci riferiamo solo al pubblico “cosiddetto” giovanile. Ogni proposta culturale che si rispetti deve essere e deve apparire come “intergenerazionale”, in grado cioè di coniugare quelle sensibilità e aperture che sono proprie di ogni età con l’obbligo morale di non “fare sconti” sulla qualità delle proposte. La qualità è appunto la cifra dei prodotti culturali in cui ci riconosciamo e cui dedichiamo da sempre la nostra attenzione.

Cosa significa fare editoria in Calabria, una delle regioni con gli indici di lettura più bassi in Italia?

Vista la situazione generale del Paese in merito alla propensione alla lettura, purtroppo c’è poco da fare classifiche. Il valore aggiunto di risiedere in Calabria potrà allora essere quello di proporre una nuova prospettiva di meridionalismo che conosce il territorio e non prende come alibi i suoi vincoli, ma cerca piuttosto di esaltarne le specificità come un’opportunità epocale che sarebbe un delitto non sfruttare.

Quante novità pubblicate l’anno?

Circa 200 titoli, in crescita continua nonostante le difficoltà affrontate dal mercato negli ultimi anni.

Quali sono i vantaggi e le difficoltà dell’essere un editore indipendente?

Il grande vantaggio dell’indipendenza è la consapevolezza della propria identità e la libertà di poterla proporre come un patrimonio da custodire e da incrementare con il contributo attivo di autori e lettori. Certo, questo rimane una libertà relativa in presenza dei grandi monopoli ideologici che controllano tutta la filiera produttiva, distributiva e promozionale. Ma da qualche parte bisognerà pure cominciare a metterla in discussione, proprio nella sua pretesa di ridurre la cultura a un mero rapporto di forze.

Ultimamente si parla spesso e volentieri di editoria digitale: qual è la vostra posizione di fronte alle “nuove tecnologie”, considerando che avete anche un’attività parallela di produzione tipografica?

Pur coltivando un’attenzione artigianale alla “forma libro” tradizionale, siamo tutt’altro che passatisti. Lo sforzo maggiore di questi ultimi anni l’abbiamo dedicato a progettare e avviare una divisione digitale di Rubbettino, cui abbiamo investito importanti risorse umane e intellettuali. L’obiettivo non è tanto quello di occupare nuove fette di mercato, quasi fosse una corsa all’oro in un territorio poco esplorato, quanto quello di raggiungere e formare un pubblico molto eterogeneo e ancora non pienamente conscio delle possibilità di approfondimento culturale insite nelle nuove tecnologie.

Per un osservatore esterno vi è quasi sempre la tendenza a soffermarsi sulle affinità anziché sulle differenze, e quindi immaginare il pubblico dell’editoria religiosa come omogeneo. Quale è la sua opinione in proposito?

Anche sulla scorta di recenti indagini sociologiche, notiamo (invero senza sorpresa) che il pubblico, in generale, è sempre più interessato all’esperienza religiosa come chiave interpretativa della realtà. Di qui l’intuizione di proporre le collane “Catholica” e “Novae Terrae”, con contributi prestigiosi di autori di fama internazionale. Ma lo sguardo religioso attraversa, in un modo o nell’altro, tutta la nostra offerta culturale in quanto caratteristica di quell’umanesimo di cui come italiani siamo portatori sani, attivi e consapevoli. Qui trovano spazio sia la presunta omogeneità, sia un auspicabile pluralismo. Per parafrasare il nome di una nostra collana, riteniamo che “spiritualità e promozione umana” camminino in parallelo, nel grande sforzo di edificare quella “rocca” di cui parlava T.S. Eliot, un cuore duro di valori e principi cui affidare le nostre esistenze personali e il destino della nostra civiltà.

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