Rinacque a Sud la luce dell’Europa spenta (La Gazzetta del Mezzogiorno)

di Mario Regina, del 30 Giugno 2014

da La Gazzetta del Mezzogiorno del 28 Giugno

«Vengo per chiedere scusa», è il motto che ha accompagnato il recente viaggio in Calabria di papa Francesco. Un atto che il Papa ha ritenuto doveroso a seguito delle reazioni dei fedeli alla sua richiesta di avere mons. Galantino, loro vescovo, a Roma per qualche anno alla segreteria della CEI. Viene spontaneo chiedersi: quante volte avrebbero dovuto chiedere scusa i nostri governanti per le diverse omissioni nei confronti della Calabria? È una storia assai lunga di cui spesso testimoniano le cronache di viaggiatori che nel passato hanno voluto visitare la Calabria: tra questi i viaggiatori tedeschi che già dalla seconda metà del Settecento con dettagliate cronache informavano i lettori europei delle condizioni della nostra penisola, contribuendo, se non a rimuovere, almeno in qualche caso a ridimensionare gli stereotipi negativi sulla gens italica o a chiarire quella sorta di odi et amo tra Italia e Germania oggi assai attuale, seppure in chiave di politica economica. Opportuna dunque l’iniziativa del germanista Teodoro Scamardi che, dopo aver analizzato per anni i contributi di diversi viaggiatori dalla fine del Settecento in poi focalizzando l’interesse su quelli relativi alla Puglia in una prima fase ed alla Calabria successivamente, ha proposto di recente nella collana «Viaggio in Calabria» diretta da Vittorio Cappelli per l’editrice Rubbettino l’agile e particolare resoconto di viaggio di Friedrich Werner van Oestéren pubblicato a Lipsia nel 1909 dal titolo di per sé provocatorio Povera Calabria (pp. 185, euro 7,90 ). Il volumetto racconta l’esperienza di viaggio fatta nel 1908 da van Oesteren, intellettuale tedesco nato a Berlino nel 1874, ma viennese d’adozione essendosi trasferito in Austria a soli tre anni. Decisivo, questo particolare, dal momento che consente di riconoscere dai modi in cui van Oesteren legge il panorama geografico ed antropologico, quelle radici culturali tipiche della Vienna fin de siècle. Tale matrice riappare particolatamente in diversi momenti della cronaca che si apre con una dedica allo scrittore svizzero-tedesco Joseph Viktor Widmann, ispiratore della sua iniziativa. Quando infatti nel maggio del 1908 scende da Venezia – via Bari – e da Taranto prosegue con «l’unico treno» possibile via Metaponto per Catanzaro, van Oesteren porta con sé una buona dose di avvertimenti, collezionati nelle diverse tappe, relativi ai pericoli più diversi: dal sistema precario dei trasporti, alla primitività delle popolazioni, alla presenza dei briganti. Proprio la sua riflessione sulla possibilità di incontrare i briganti tradisce in realtà la cifra dell’epoca, la soffusa speranza di un’esperienza capace di lasciare un concreto segno di vita: «Non provai alcun brivido di paura: sentii invece nascere in me una speranza, vaga e sommessa, evocata dal desiderio romantico di un’avventura purchessia ormai insolita per il nostro vecchio continente».

In questa prospettiva si snoda infatti la sua cronaca, dando luogo ad un alternarsi di immagini e sensazioni capaci di offrire alla fine un mosaico assai originale della Calabria. Spostandosi con ogni tipo di mezzo di trasporto, dal treno in principio, ma poi in carrozza, con un mulo o semplicemente a piedi, van Oesteren offre al lettore gli aspetti più variegati della realtà calabrese: dall’incredibile alternarsi del paesaggio, tra mare e montagne imponenti e ricche di vegetazione che associa ai paesaggi alpini, alla descrizione dei diversi paesi che attraversa, abbarbicati sulla montagna o distesi sula costa. Colpisce nella sua cronaca lo stile asciutto, immediato sempre assai realistico: non solo nella descrizione dei caratteri della popolazione o dei diversi compagni di viaggio, in cui a tratti sembra servirsi di un metodo quasi fisiognomico, ma anche in quella dei luoghi che attraversa. Alle tracce del mondo classico, quelle ben mantenute e quelle ormai rovine, fa spesso da cornice la descrizione attenta di un totale degrado, sulle cui cause l’Autore non si ferma quasi mai a riflettere. Così descritte tali realtà – nota Scamardi – «diventano cifra della frammentarietà irrelata del moderno», perdono cioè a tratti la loro dimensione localistica e divengono metafora di una condizione esistenziale. Talvolta però il realismo di van Oestéren sa essere molto critico: un esempio è la cronaca dedicata all’Aspromonte, che si apre con il pernottamento a Sant’Eufemia. La descrizione dell’albergo – il cui ingresso era parzialmente ostruito dal fieno e da un gruppo di donne al lavoro – risulta segnata da un realismo reso, in qualche caso, snervante per l’insieme di elementi negativi dettagliatamente riportati: il letto sgangherato, le pulci a cui dare la caccia, i tentativi di furto subiti nelle poche ore di soggiorno prima di ripartire. L’intera cronaca si lascia in fondo apprezzare proprio grazie all’alternarsi della dimensione descrittiva – capace di richiamare il viaggio esotico caro alla cultura d’oltralpe di quegli anni – e di quella critica in cui sembra però la casualità della storia stessa ad aver determinato le condizioni descritte. Il titolo di Povera Calabria pare dovuto al fatto che tra la consegna del manoscritto all’editore e la sua pubblicazione si era verificato il 28 dicembre del 1908 il tragico terremoto di Reggio e Messina, sicché molte delle bellezze lì descritte e dei resti classici già colpiti dal terremoto del 1783 erano andati completamente distrutti. Questo avrebbe spinto van Oesteren ad intitolare la sua cronaca di viaggio Povera Calabria. Ad un lettore attento però, vista la sintesi tra sentita ammirazione e critica, che segna spesso le pagine della cronaca, potrebbe non sfuggire la dimensione dialettica del titolo deciso per solidarietà.

di Mario Regina

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