Ragazzi di Calabria (Ciak)

di Elisa Grando, del 27 Agosto 2014

Da Ciak di settembre

Francesco Munzi racconta Anime nere, cruda storia di ‘ndrangheta fra radici e globalizzazione
La Calabria è una regione ancora poco esplorata dal cinema, ma adesso si prepara a sbarcare alla Mostra di Venezia proprio con un’epopea famigliare intimamente radicata nel territorio e interpretata anche da tanti calabresi comuni: è Anime nere di Francesco Munzi, storia di ‘ndrangheta vista dall’interno, girata nel cuore dell’Aspromonte. Munzi torna al Lido dalla porta principale, quella del Concorso, dopo aver vinto con Saimir nel 2004 la menzione speciale del Premio Luigi De Laurentiis alla miglior opera prima. Anime nere, al cinema dal 18 settembre distribuito da Good Films, è tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco (Rubbettino), una vera folgorazione per il regista: «Mi ha fatto scoprire quanto la storia dell’Aspromonte fosse legata a quella nazionale», racconta Munzi a Ciak. «In una terra cosi selvaggia si sono mosse tappe importanti del nostro Paese, e ingenti quantità di denaro e di potere. Ci sono caprai che sono anche trafficanti internazionali di droga: mi ha colpito questo collegamento tra un microcosmo ristretto e la globalizzazione». E proprio sull’innesto complesso fra terra d’origine e crimine internazionale si muovono i protagonisti, tre fratelli calabresi (nel libro, erano tre amici). Luigi, interpretato da Marco Leonardi (che ventisei anni fa è stato l’adolescente di Nuovo Cinema Paradiso, ma è cresciuto a Locri), vive con la moglie (Barbora Bobulova) tra l’Olanda e Milano ed è un trafficante di droga.
Rocco (Peppino Mazzotta) ha un’aspirazione più borghese, è imprenditore a metà tra luce e buio: ricicla i soldi sporchi del primo fratello. Luciano (Fabrizio Ferratane) è rimasto in Calabria, ha un gregge di capre e vorrebbe tirarsi fuori da questa deriva criminale della famiglia, ma suo figlio Leo sogna di diventare come gli zii. Sarà proprio Leo a far ripartire una faida che sembrava seppellita. L’immagine dei criminali di Munzi è molto lontana da quella già codificata da tanto cinema: «I miei personaggi sono colti, hanno studiato all’università, non sono i gangster raffigurati dalla camorra, anzi è gente camaleontica», dice il regista. All’inizio, in molti gli avevano sconsigliato di girare il film in Aspromonte: troppo difficile, con una storia così dura. In suo aiuto è intervenuto proprio Criaco, calabrese: «Con lui sono entrato nella zona tra Africo, PIA e San Luca, in provincia di Reggio Calabria, paesi considerati centri nevralgici della ‘ndrangheta, stigmatizzati dalla cronaca nera o giudiziaria come luoghi negativi. Il mio progetto invece, pur non censurando nulla, era più lento e approfondito: poco a poco la gente del posto si è fidata e l’ha condiviso». Tanto che metà degli attori sono semplici cittadini di Africo: «Il mio criterio di scelta degli interpreti è stato la lingua: dovevo mantenere il dialetto calabrese. Ho scelto attori professionisti con origini del Sud, e attori non professionisti del luogo: alla fine, nemmeno io li distinguevo più».

Di Elisa Grando

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