Pubblicato in italiano il libro di Abby Johnson (La Croce Quotidiano)

di Francesco Agnoli, del 11 Maggio 2015

Abby Johnson

Scartati

La mia vita con l'aborto

Da La Croce Quotidiano del 9 maggio

Grazie all’editore Rubettino esce in questi giorni nelle librerie italiane un documento eccezionale: “La mia vita con l’aborto” di Abby Johnson. Si tratta del racconto, appassionante come tutte le storie vere, di una direttrice di una clinica texana per aborti collegata all’organizzazione mondiale che da tempo funge da motore per la diffusione dell’aborto nel mondo, la Planned Parenthood.
Di tale organizzazione gli italiani conoscono ben poco, perché da noi il dibattito sulla vita nascente ha sempre percorso strade impervie, tutte assai lontane dalla verità. Qualcosa è noto ai lettori di un bellissimo libro, scritto a suo tempo da Eugenia Roccella, Assuntina Morresi e Lucetta Scaraffia, ed intitolato “Contro il cristianesimo”. Ma a parte questo studio, esiste ben poco di serio e approfondito su un fenomeno planetario che non è costituito solo di drammi umani, di ideologie avverse, di referendum e leggi pro o contro la vita, ma anche di un fiume di denaro che come spesso accade scorre silenzioso, ma determinante, accanto ai grandi drammi della storia.
Come recita il sito ufficiale di Planned Parenthood, questo colosso che possiede cliniche abortiste e organizza in molti paesi del mondo movimenti per la “salute riproduttiva”, si batte da “quasi 100 anni” per promuovere “la salute e il benessere delle donne”, identificato con diritto all’aborto e con il family planning. Fondatrice dell’organizzazione quella Margaret Sanger che il premio Nobel J. Watson non esitò a definire come una paladina dell’eugenetica pre-nazista, negli anni venti del Novecento. Scriveva infatti la Sanger, nel 1919: “Più figli da chi è dotato e meno da chi non lo è: questo è il primo punto del controllo delle nascite”. Ebbene Abby Johnson ci introduce da vicino, come donna che si è battuta per l’aborto, che ha diretto una clinica a ciò dedicata, in questo mondo: quello dei soldi, delle mamme disperate o inconsapevoli, degli scrupoli di coscienza, dei rimorsi, della solitudine… e talora, delle rinascite. Abby ha vissuto tutto: l’illusione di collaborare con una organizzazione che mira a ridurre, e non a diffondere, l’aborto; l’illusione di essere, così, dalla parte delle donne; il brusco risveglio.
Prima del quale, in un giorno come tanti altri, accade nella sua vita un fatto. Lo riassume così Umberto la Morgia nel suo La cultura della morte: “Circa il 51% degli introiti (di Planned Parenthood, ndr) viene dai servizi legati all’aborto. Malgrado la gravità della scoperta, Abby cerca di trovare giustificazioni e fa finta di niente. Il mese seguente arriva in clinica un dottore con l’intenzione di praticare un aborto con un metodo diverso dallo standard del Planned Parenthood, ovvero avvalendosi degli ultrasuoni per vedere cosa stesse facendo durante la procedura. Normalmente, infatti, quando viene effettuato un aborto, nessuno vede cosa sta succedendo nel grembo della madre. Il dottore infila la cannula che è collegata ad un macchinario che aspira il bambino stritolandolo. Eseguire questa operazione senza gli ultrasuoni che consentono di vedere all’interno, tra l’altro, è pericoloso perché si può perforare l’utero. Abby allora chiede al suo capo come mai non si usa mai questa tecnica più sicura per le donne. Il capo le risponde che per utilizzare gli ultrasuoni occorrono 5 minuti in più di tempo e dal momento che l’organizzazione si prefissa di effettuare dai 25 ai 50 aborti in un giorno, non ci sono quei 5 minuti in più. Insomma, quel giorno il dottore fa un aborto con l’ausilio degli ultrasuoni e chiede ad Abby di assisterlo tenendo in mano la sonda degli ultrasuoni, pur non essendo lei né un medico, né un’infermiera. La donna ricoverata era incinta di 13 settimane e Abby per la prima volta si ritrova a guardare lo schermo che mostra sorprendentemente qualcosa che le sembra veramente un bambino”. Per la prima volta Abby vede chiaramente cos’è un aborto, vede interamente, nei dettagli, il bambino destinato alla morte, e ricorda l’ecografia di tre anni prima di sua figlia Grace, di 12 settimane…
È chiaro che qui comincia un’altra storia. Abby passa da pro choice a pro life. E ce lo racconta in modo godibile, con profondità, partecipazione, e sensibilità. In un libro da non perdere, che, oltre tutto, ci fa tornare in mente la storia di un’altra donna: Norma McCorvey, alias Jane Roe, colei che fu la protagonista della sentenza “Roe vs. Wade” (1973) che introdusse l’aborto legale negli Stati Uniti. In seguito Norma divenne militante abortista, attiva in una clinica per aborti (“Quando andavo nella cella frigorifera e vedevo i pezzi, le gambe e le teste dei feti conficcati a quattro o cinque in una giara, tornavo a casa e mi ubriacavo”), fino al 1995, e infine notissima attivista pro-life. Morte e resurrezione. Come per Abby.

di Francesco Agnoli

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