Più il mondo si fa tollerante e buonista, più è antisemita

di Marco Respinti, del 13 Maggio 2015

Giulio Meotti

Muoia Israele

La brava gente che odia gli ebrei

Da L’intraprendente del 13 maggio

Nel 2001 l’ambasciatore francese a Londra, Daniel Bernard, definì Israele «ce petit pays de merde». Il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter ebbe un giorno a dire che «la lobby ebraica controlla la politica americana, tranne i radiosi anni dal 1977 al 1981», ovviamente i suoi. Gretta Duisenberg, la moglie dell’ex presidente della Banca Centrale Europea, la si ricorda solo perché raccolse firme per boicottare Israele e perché, quando un giornalista le chiese a quante intendeva arrivare, lei rispose serena: «Sei milioni». L’ex presidente del parlamento olandese, il socialista JanMarijnissen, ha disinvoltamente paragonato il terrorismo contro Israele alla resistenza contro i nazisti. L’artista greco Alexandros Psychoulis ha trasformato in creazione artistica il corpetto esplosivo di una donna palestinese che si e fatta esplodere in un affollato mercato d’Israele. Roberto Vecchioni ha scritto una canzone, Marika, dedicata alla kamikaze palestinese che ad Haifa ha sterminato numerose famiglie israeliane: «Canta Marika canta, come sei bella nell’ora del destino, ora che stringi la dinamite come un figlio al seno. Canta Marika canta, nel buio della storia, lucciola che si accende sul far della sera, canta Marika la nostra memoria».
Di cose così si potrebbero riempire pagine intere, ma proprio per questo Giulio Metti, talentuoso giornalista de Il Foglio, ha pubblicato il libro Muoia Israele. La brave gente che odia gli ebrei (Rubbettino, Soveria Mannelli [Catanzaro] 2015). Viene in mente subito Jonah Goldberg e il suo Liberal Fascism: The Secret History of the American Left (Cron Forum New York 2009) e il perché lo spiega Roger Scruton, una delle menti filosofiche più acute del nostro tempo, nella Prefazione: «La mentalità progressista, che si identifica sempre con la vittima, si è amalgamata attorno a vecchi sentimenti razzisti nel produrre una nuova e tossica forma di antisemitismo».
Dice bene il sociologo gallese Philiph Jenkins quando dice che l’anticattolicesimo è l’ultimo pregiudizio accettabile nei salotti buoni del mondo democratico (fuori da quelli, infatti, si passa subito a vie di fatto). Ma fateci caso: più il nostro mondo si fa tollerante, buonista, illuminato, e più la cristianofobia cresce di pari passo all’antisemitismo. Perché? A rispondere ci aiuta sempre Scruton: «Pensateci e comprenderete quanto utili siano gli ebrei per le persone che si ritengono virtuose, ma che non assaporano il costo reale di esserlo. Quindi non dobbiamo sorprenderci se, nonostante tutto quello che e successo agli ebrei nel XX secolo, loro debbano essere ancora una volta l’obiettivo del pregiudizio razziale o se gli intellettuali ipocriti, le ong e i buonisti si sono coalizzati nell’odiarli. L’odio è il modo più semplice ed economico di sentirsi buoni».
Riprendendo una intuizione straordinaria dello scrittore tedesco August Bebel, Meotti quando dice che oggi «appoggiare i nemici di Israele a tutti i costi è il nuovo “socialismo degli idioti”». Il nuovo antisemitismo ha una data di nascita. Meotti la fissa alla Guerra del Libano del 1982, quando l’odio contro Israele raccolse la bandiera dell’anticapitalismo e dell’antioccidentalismo. Fu allora che il grande guru Eugenio Scalfari, parlò di una «mutazione» del carattere del popolo ebraico, che «da vittima sacrificale si e trasformato in aguzzino, da popolo inerme e diventato Stato guerriero e conquistatore» (Un male oscuro divora Israele, in la Repubblica, 21 settembre 1982)
Da allora, osserva Meotti, «ai governi arabo-islamici si perdona tutto: la polizia organizzata da ex criminali di guerra nazisti, le forche di ebrei a Bagdad, le stragi di curdi e neri sudanesi, il nazionalismo fanatico, la distruzione del cristianesimo di San Paolo e degli antichi patrimoni dell’umanità. Contro Israele, invece, non occorre neppure portare delle accuse fondate, basta indicarlo come odioso, per poi attribuirgli, ricorrendo alla superstizione, di essere la fonte di ogni male, di essere diventata una fortezza da Deserto dei Tartari, e non la patria dell’umanità».
Per i nuovi salotti buoni dell’antisemitismo, gli ebrei buoni sono infatti solo quelli morti di ieri, perché invece quelli vivi di oggi sono semplicemente sionisti da esecrare, quasi che Israele non fosse popolato da ebrei, non fosse l’ultima casa accogliente dei giudei perseguitati in Europa. Il guaio, infatti, è che i «peggiori antisemiti oggi sono la brava gente. Sono i buoni. Sono i rispettabili. Sono i vanitosi dello star system. Sono le firme dei giornali. Sono gli intellettuali che inculcano le idee nell’opinione pubblica. Sono gli artisti. Sono i filantropi. L’annullamento spirituale e culturale d’Israele giustifica in anticipo la sua soppressione fisica. Gli ebrei israeliani sono lasciati soli. E quest’odio per Israele si riflette come un sole nero anche sugli ebrei europei».
Il libro di Meotti si legge d’un fiato, e atterrisce. Entra nei perversi meandri della mente contemporanea e spiega come sia possibile che ancora oggi quel vecchio male oscuro dilaghi e prosperi. «Ci sono parole più assassine di una camera a gas», diceva Simone de Beauvoir. Quelle parole ci circondano, ci riempiono le orecchie, non ci destano più nemmeno stupore. Un dramma immane, perché ‒ così Meotti chiude l’ultima pagina di questo suo piccolo capolavoro ‒ «Israele rappresenta il virgulto più rigoglioso della civiltà occidentale, di quella che essa fu nei suoi momenti più alti. E la frontiera che tutti gli uomini civili sono impegnati a sostenere e a difendere. Israele e ognuno di noi. Israele vivra!».

di Marco Respinti

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