Per capire papa Francesco leggere il sociologo Diotallevi (L'Huffington Post)

di Stefano Ceccanti, del 15 Aprile 2013

Da L’Huffington Post del 15 aprile 2013 

Il sociologo Luca Diotallevi ha scritto un agile ancorchè denso volumetto per Rubbettino: La pretesa. Quale rapporto tra vangelo e ordine sociale che, almeno sul versante ecclesiale, coglie bene lo spirito del tempo, ovvero l’anelito di riforma che si sta affermando con papa Francesco, anche se il testo è scritto prima.
Il modello ‘Stato’ emerso soprattutto dal 1600 e che ha nell’assolutismo della sovranità la sua manifestazione più sintomatica, sia quando si presenti in chiave ‘laica’ alla francese sia confessionalistica come in alcune modalità organizzative della Chiesa oggi in discussione, è in crisi irriversibile. Solo un paradigma opposto, pluralistico e poliarchico, nelle istituzioni profane e nella Chiesa, è portatore di futuro. Esso, infatti, risponde alla pretesa cristiana del carattere pubblico della fede cristiana rispetto alla quale nessun assetto e’ neutrale, ma non ne sacralizza, non ne clericalizza nessuno.
Il modello della religious freedom è opposto a quello della laicità alla francese e ai confessionalismi clericali perchè afferma il valore pubblico e non solo privato dell’esperienza religiosa, non confondendo però pubblico e statale, anzi obbligando a rimettere in discussione gli assolutismi statali.
Chi sono quindi gli avversari di Diotallevi? Tutti coloro che declinano il bene comune come monopolio di assetti statuali. In primo luogo, potremmo dire verso sinistra, i cattolici che interpretano male l’autonomia delle realtà temporali come sostanziale resa alla laicità francese e quindi a una visione privata della fede, piegando quindi i documenti conciliari verso visioni à la Zagrebelsky, con essi incompatibili. Questo per Diotallevi spiega anche larga parte dell’inconcludenza dei cattolici a sinistra, i quali, anzichè incontrarsi col liberalismo anglosassone postulato dalla Dignitatis Humanae e dalla Centesimus Annus, proseguono in visioni statalistiche persino più arcaiche di quelle della sinistra storica, in asse con un liberalismo statalista di matrice francese ed azionista, a sottofondo moraleggiante.
In secondo luogo, verso destra, Diotallevi critica chi fa un abuso retorico della nozione dei principi non negoziabili, già in sé definita come “formula non felice” perché induce a pensare che la non negoziabilità non sia come dovrebbe essere, tra principio e principio, ma tra principio e scelta pratica. Quest’ultimo rapporto è organizzato sulla base di criteri, ad esempio quello della proporzionalitaà e della ragionevolezza tra principi e mezzi, senza canonizzare o demonizzare uno strumento identificandolo con un principio. Insomma, principi e valori hanno un peso decisivo, ma le scelte dei mezzi non si possono impostare con una serie di automatismi a priori, magari intesa come “mera esecuzione di direttive emesse a priori dai pastori”.
Diotallevi illustra le ragioni teologiche di queste scelte per cui il cristiano dovrebbe viversi come soggetto di apostolato e non oggetto della pastorale e le strutture politiche ed ecclesiastiche dovrebbero essere ripensate in chiave poliarchica. Che si stia rivelando profetico nella chiesa, con le scelte odierne, più di quanto non accada in politica, dove sembrano ancora prevalenti ma impotenti i succubi allo statalismo e all’azionismo moralizzante e i retori dei principi non negoziabili, è un fatto. Almeno per ora.

Di Stefano Ceccanti

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