Marelli e le «Altre stelle uruguayane» (Il Quotidiano della Basilicata)

del 23 Aprile 2014

da Il Quotidiano della Basilicata del 23 Aprile

«Tuttavia, in quell’inferno c’era almeno una cosa per cui valesse la pena vivere. Giovanotto, sto parlando del futbol». Sono parole che Brujo, clochard in dimora a uno zoo dismesso della foresta amazzonica, dice a Sauro, giovane italiano approdato in Sudamerica dove si arrabatta scrivendo testi per una televisione. Brujo e Sauro sono le due voci principali del primo e avvincente romanzo di Stefano Marelli «Altre stelle uruguayane» (Rubbettino Editore). Ma la punta d’attrazione del racconto che l’anziano e puzzolente barbone fa all’italiano è appunto il calcio. Un calcio epico entro cui si arroventa la parabola del talento che fu Brujo, il quale sarà abbandonato da piccolo dalla madre in un istituto per minori e, raggiunta la maggiore età, lavorerà in una porcilaia di un pampa uruguaiano. Lasciati questi due inferni si ritroverà, per uno scambio di documenti, con un nuovo nome, Nesto Bordesante, e calciatore professionista prima in Argentina (nel grande Boca) e poi in Italia con la maglia della Capitolina, il sodalizio romano tanto caro a Mussolini.

Il successo nell’Italia fascista per Brujo-Bordesante non sarà coronato solo sui campi, ma anche da una vita agiata di soldi, belle donne e gioco d’azzardo. Le prestazioni in campo nella Capitolina di Bordesante diventeranno così anche strumento di propaganda del regime. Ma con la caduta del Duce la bella favola dell’ uruguaiano dal tocco di classe e autore di ben centoundici gol andrà a farsi benedire. O meglio, inizierà un sofferto declino. Infatti per l’eclettico fantasista Bordesante ci sarà ancora qualche scampolo di gloria grazie alla dea E upalla: da allenatore del Brumaspessa, società di provincia del nord della Penisola, scalerà le serie minori e raggiungerà la massima serie proprio nella stagione in cui tutta la Nazione piangerà la sciagura di Superga dove perirà lo squadrone del Grande Torino di Mazzola, Bacigalupo, Grava, Gabetto. Poi a causa dell’insanabile vizio del gioco e un’infame accusa per un reato non commesso (violenza su una minore), Bordesante sarà costretto a dribblare nuovamente il destino, riattraversare l’Oceano e reinventarsi in Sudamerica un’altra vita quando già tutti lo credono morto.

«Altre stelle uruguayane» è un’appassionante e affascinante romanzo di amicizia, tradimenti, avventure, migrazioni, ma è pure un omaggio (non dichiarato) in bella scrittura a quel calcio epico uruguaiano che vinse nel 1930, dopo le Olimpiadi del 1924 a Parigi e del 1928 ad Amsterdam, la prima edizione della Coppa Rimet, quasi un sottointeso riconoscimento alle stelle Andrade (la “Meraviglia nera”), Scarone (attaccante di origini liguri che giocherà nell’Inter e nel Palermo), Andreolo (che, una volta appese le scarpe al chiodo, finì per allenare in Basilicata), Petrone (il primo straniero a vestire la maglia viola). Calciatori dalle vite avventurose e romanzesche, esattamente alla stregua di quella del nostro Bordesante che “se ne stava in mezzo al campo e la folla aveva occhi solo per lui”.

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