ll pugile polacco che aiutò il nonno dell’autore Eduardo Halfon, deportato ad Auschwitz, a sopravvivere (La Sicilia)

di Giuseppe Ciotta, del 10 Febbraio 2014

da La Sicilia del 9 febbraio

Il pugilato: quale che sia l’idea di ognuno su questa discussa disciplina, certo è che se uno sport così cruento, per quanto coraggioso, sopravviva fin dai tempi dell’Antica Grecia – se non da prima – un motivo ci sarà, ben radicato nel profondo della natura umana. Il pugile è una figura che proprio nella sua vulnerabile umanità trova la componente epica. Scrittore guatemalteco,  Eduardo Halfon esce – per Rubbettino Editore – con il romanzo “Il pugile polacco”. Vincitore di premi, tradotto in diverse lingue e – dal 2012, con l’acclamato “L’angelo letterario” – anche in italiano, l’autore insiste sul tema dell’ebraismo e della soluzione finale, in cui fu coinvolto il nonno ad Auschwitz. Alcuni hanno ravvisato l’influenza di Primo Levi: sicuramente presente nel taglio autobiografico che lo scrittore guatemalteco dà al suo racconto, ma lontano stilisticamente, essendo la scrittura del giovane Halfon più asciutta e meno ripiegata su se stessa, rispetto al grande maestro italiano. Diverso anche il leitmotiv letterario, vera originalità del volume: la figura del nonno materno si delinea attraverso le storie di altri che ne hanno incrociato il cammino, divenendo – così – un racconto fatto di tanti racconti: come quello di Kalel, giovane poeta, o di Krupp, professore statunitense; ci sono Tamara, hippie itinerante, e Rakic, pianista; ma anche Marjorie, madre cui è morto l’unico figlio. Averne ascoltato le storie scatena in Halfon il ricordo del nonno, del suo numero sull’avambraccio, che lui nascondeva mache s’intravedeva sempre, e – soprattutto – del racconto della sua storia di sopravvissuto grazie ai consigli che riceveva da un pugile, polacco come lui.

di Giuseppe Ciotta

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