Libri: La Calabria mobile di Vito Teti è “Terra Inquieta” (Askanews.it)

del 2 Settembre 2015

Da Askanews.it 3 Settembre

Roma, 3 set. (askanews) – Tutto si muove. “Vai o non vai al Sud, il Sud ti è dentro come una maledizione”. Così Saverio Strati. La citazione è contenuta nell’ultimo libro di Vito Teti, professore di Antropologia Culturale ad Arcavacata, l’Università di Cosenza, dove e’ arrivato come docente dopo aver studiato con Claude Levi-Strauss alla Sorbonne a Parigi, e con Luigi Lombardi Satriani alla Sapienza di Roma. “Ogni libro di Vito Teti è una benedizione. Il suo racconto del Sud, dell’erranza meridionale, é fatto attraverso racconti antropologici: uomini che emigrano sperando nella fortuna americana, donne che ascoltano in sogno San Giorgio che consiglia come scannare il drago. “Terra Inquieta” pubblicato da Rubbettino è un libro letterario bellissimo come tutta la produzione di Teti”, scrive Roberto Saviano. “Terra inquieta” inaugura la nuova collana di Rubbettino, diretta dallo stesso Vito Teti, “Che ci faccio qui”, che evoca il titolo di un libro di Bruce Chatwin, grande narratore di viaggi, spaesamenti, nomadismi, precursore di una letteratura di viaggio, ora ricorrente e molto diffusa. “Terra inquieta” è un racconto di parole e immagini. Tutti i capitoli sono accompagnati da foto dell’autore. Il viaggio nel libro di Vito Teti è un viaggio d’emigrazione, anche quando si resta nel luogo d’origine, perchè sempre nella propria famiglia d’origine in Calabria qualcuno è partito, in molti non sono tornati, e allora lo spaesamento è anche nell’assenza, nella mancanza di chi parte per chi resta. Diviene uno spaesamento dinamico, che coinvolge i sentimenti di differenti persone. Così mentre si è di fronte alle migrazioni “bibliche” dalla Siria, dall’Africa, dall’Afghanistan, Vito Teti riporta l’attenzione sulla popolazione calabrese “errante”, “nomade”: proprio lo scorso luglio a Cosenza e’ stata inaugurata la Biennale di Fotografia realizzata da Ken Damy con la mostra fotografica “L’Uomo nomade”, con un focus particolare sulle migrazioni. Ciò che interessa l’autore è l’aspetto della terra che frana, che si muove, e l’uomo quasi primordiale che si mette in cammino. Scrive infatti, “Tra le sponde dell’America e i paesi della Calabria, un intero mondo si dimezza e allo stesso tempo raddoppia: esplode la geografia affettiva di chi parte, di chi resta e di chi torna. Nell’esplosione finisce un mondo, mentre uno davvero nuovo fatica a cominciare”. Questo libro, che rappresenta un pò la sintesi della narrazione di Vito Teti fa riflettere su quanto sottolineava Corrado Alvaro, per il quale “La fuga è il tema della vita calabrese. E una tale fuga il calabrese la compie anche se sta seduto a un posto, in un ufficio o dietro lo sportello. È raro vedere qualcuno che si trovi realmente là dove sta. Fisicamente o fantasticamente, la Calabria è oggi in fuga da se stessa”. In Calabria, spiega Vito Teti: “Si dice che le costruzioni sono lasciate incompiute, rimandando a tempi migliori, sperando che poi i figli le ultimeranno in qualche modo. Ma non è più come durante la prima emigrazione, quando gli emigrati cominciavano un piano di casa, poi partivano per fare un po’ di soldi, tornavano, riprendevano la costruzione e così via, fino ad ultimarla, a volte dieci o quindici anni dopo averla iniziata. Alla fine le case pulite, finite, colorate, con il balcone e il portone, che suscitavano l’invidia e l’ironia dei signori, sorgevano come una novità in paesi di case fatiscenti e anguste e modificavano il paesaggio urbano. Non oggi. E non è così solo per le case. Si possono guardare le opere pubbliche fatte di interminabili colate di cemento che non sono state mai ultimate. In Calabria se ne incontrano innumerevoli. Dighe mai terminate. Fabbriche sorte con il miraggio della salvezza e ormai dismesse. Letti di fiumi incustoditi dove prosperano detriti e immondizie. Montagne di sabbia scarnificate e dissanguate da ruspe impietose a cui non segue alcuna protezione dell’uomo. Baracche di lamiere e di tavole che circondano i paesi; staccionate precarie che delimitano rigorosamente terreni incolti: l’importante è separare, affermare un possesso, poco importa che poi il terreno non venga utilizzato. Le varianti chiamano varianti. A Nardodipace, tra l’alluvione del 1971, la decisione della ricostruzione e l’assegnazione delle case sono passati quasi trent’anni. E oggi le case sono disabitate, sono diventate vecchie, fuori tempo. Le persone che le attendevano sono morte o sono andate via”. Per l’autore anche adesso “C’è un mondo mobile, che pure quando sta fermo non smette di sognare la partenza e il ritorno. Che si vuole appaesare, ma che è ovunque fuori posto. Paesi che scivolano via, luoghi che mettono nuove radici, comunità e persone inquiete che segnano strade e cammini non ancora battuti, inventandosi tutto: lavori, relazioni, parole, rituali, immagini, la propria stessa presenza. È un mondo disordinato, che non comincia e non finisce, ma deve essere percorso da dentro e riguardato con vicinanza, studio, rigore”. Il punto di riferimento del libro di Vito Teti è il Sud e i Sud, il Mediterraneo, ma anche le periferie delle grandi città del Nord dell’Italia e dell’Europa: un mondo di schegge, di scarti, di frontiere che però fanno corpo, mandando segnali e lasciano tracce. “Alla fine dell’Ottocento, ricorda Vito Teti, la possibilità dell’emigrazione fa uscire tutto un mondo fuori di sé. Con il sogno dell’America la Calabria si apre finalmente all’oceano. La terra mobile si fa, a questo punto, mobilissima. La trasformazione del motivo dell’erranza e del viaggio diventa radicale. “Terra inquieta” è un libro che è tanti libri insieme, e tutti servono a qualcosa: uno racconta di calabrie mobili che crollano e franano; l’altro di uomini che sperano futuro cercando l’America, ma cercandola incontrano la storia; l’altro ancora di donne che ascoltano in sogno i consigli di San Giorgio per vincere ogni drago, di uomini che i santi li portano a spalla per sacralizzare la polvere e il mare che siamo, di giovani laureati che partono perché l’ultimo lavoro non pagato è un’umiliazione ormai intollerabile.

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