Le “illusioni” che aiutano la finanza (ma non l’economia reale) (Economia e Finanza)

di Gianfranco Fabi, del 21 Marzo 2016

Da Economia e Finanza del 20 marzo

Viviamo anni difficili. La crisi del 2009 ha colpito pesantemente le società occidentali. Il dominio della finanza ha lasciato molte macerie sul suo cammino. In modo particolare l’illusione che le ferite dell’uso spregiudicato della moneta possano essere curate con sempre maggiori iniezioni dello stesso virus che ha provocato la malattia. Le decisioni delle banche centrali continuano a essere guidate dall’illusione che sempre maggiori quantità di moneta possano fornire il combustibile necessario per far ritrovare la via di una crescita che invece non può che dipendere da fattori reali come i consumi delle famiglie, gli investimenti delle imprese, le buone regole dei Governi.
E ora, dopo che il 1989 ha sancito il fallimento del socialismo reale, sono messi sotto accusa il liberalismo e l’economia di mercato, confondendo le teorie con la realtà dei fatti e sovrapponendo le idee liberali con il capitalismo. Eppure proprio il ruolo sempre più importante delle banche centrali, che fissano d’autorità il livello dei tassi di interesse e la quantità di moneta, dovrebbe essere la dimostrazione di come uno degli strumenti essenziali degli scambi, la moneta appunto, non è lasciato alla logica del mercato, ma è rigidamente controllato da istituzioni superiori. Istituzioni che peraltro seguono una logica rigidamente tecnica secondo schemi astratti e privi di controllo democratico.
Certo, la moneta è uno strumento troppo importante per essere lasciato a una politica perennemente alla ricerca del consenso. Ma la pur difficile alternativa non è tra tecnica e politica, ma tra dirigismo e mercato. In questa prospettiva appare importante una riflessione che vada al di là dello scontro ideologico e che possa portare a una logica costruttiva nel delineare i processi economici.
È allora da apprezzare la pubblicazione di un classico del pensiero liberale: “L’azione umana” di Ludwig von Mises (ed. Rubbettino, pagg. 960, euro 48). Si tratta di una nuova edizione, curata da Lorenzo Infantino, di un libro scritto alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, ma che conserva una grande attualità nel mettere in luce gli aspetti fondamentali della dinamica economica. Mises, esule negli Stati Uniti per fuggire al nazismo, mette in guardia contro i pericoli dell’invadenza non solo della politica in quanto tale, ma soprattutto delle correnti ideologiche dominanti. Il socialismo, il comunismo, per non parlare del nazismo, sono i punti di massima espressione della volontà coercitiva della libertà personale con le tragiche conseguenze storiche che conosciamo molto bene. Ma sul fronte economico i pericoli si trovano anche nei fratelli minori di queste ideologie: nel dirigismo, nell’interventismo, nella volontà dei governi di gestire direttamente i meccanismi che regolano la produzione, la domanda, gli scambi.
Mises ricorda che “il mercato è una democrazia in cui ogni centesimo dà diritto a un voto” e che la “sovranità dei consumatori” deve essere la regola fondamentale per offrire la più efficiente utilizzazione delle risorse. Con un elemento positivo in più: in questa logica anche le minoranze esprimendo la loro scelta partecipano pienamente a indirizzare il mercato, mentre nella democrazia le minoranze hanno sì diritto di parola, ma non hanno incidenza sulle scelte.
Lo Stato svolge comunque una funzione essenziale, perché è suo compito garantire la libertà di tutti. Un’impostazione di fondo che si ritrova anche in molti scritti di Luigi Einaudi, dove si sottolinea come la società sana è quella in cui fra individuo e Stato c’è una fitta rete di organismi intermedi (la famiglia, il collegio elettorale, la scuola, le associazioni dei lavoratori e i partiti politici, concepiti quest’ultimi come unione di persone attorno a un programma piuttosto che come organismi burocratici intorno a una rigida ideologia).
Una società è libera se sono delimitati rigorosamente i compiti e i poteri dello Stato. Con una libertà dei consumatori/cittadini che non risponde solo agli stretti interessi individuali, come vorrebbero i razionalisti dell’economia, ma che è una libertà in cui si possono esprimere, come è doveroso, scelte di solidarietà, di partecipazione, di tensione al bene comune.

di Gianfranco Fabi

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