Le due frontiere di Alessandro Celi (Corriere della Valle d 'Aosta)

di Margherita Barsimi, del 14 Febbraio 2014

Alessandro Celi

Tra due frontiere

Soldati, armi e identità locale nelle Alpi dell'Ottocento

da Corriere della Valle d ‘Aosta del 14 febbraio

La presentazione della più recente opera di ricerca storica di Alessandro Celi, per molte buone ragioni, non poteva che avvenire nell’Aula Magna dell’Università degli Studi della Valle d’Aosta. Anzitutto perché il libro “Tra due frontiere- Soldati, armi e identità locale nelle Alpi dell’Ottocento” fa parte della collana “Quaderni di storia, politica ed economia” della Fondation Emile Chanoux, nel cui comitato scientifico svolge il ruolo di direttore il Prof. Paolo Gheda, docente di Storia contemporanea dell’Università della Valle d’Aosta ed estensore della Prefazione del libro di A. Celi . D’altro canto, la doppia frontiera evocata dall’autore nel titolo, corrisponde alla molteplice veste di Alessandro Celi, professore del Liceo Classico di Aosta (che ha la sua sede nello stesso storico edificio dell’ex-Seminario, in cui, nell’ala opposta, per il momento è ospitata l’Università) ma, in parallelo, ricercatore e studioso di storia moderna e contemporanea, oltre che paleografo e archivista. Grazie alla sua “sconfinata” passione per la storia in generale, per quella valdostana in particolare, in cui parte integrante è il suo essere “Alpino” e, come tale, Direttore dell’Alpen Valdotain, da alcuni anni a questa parte si è dedicato ad una ricerca che aveva uno scopo ben preciso: trovare i motivi, le situazioni e le persone che potessero giustificare una tesi fino ad ora mai investigata. “E’ possibile chiedersi se le caratteristiche che rendevano no tali i Valdostani possono dirsi peculiari della Valle d’Aosta o non fossero, invece, comuni anche ad altre regioni alpine o ad altri Stati sabaudi?”. A questa ipotesi di lavoro, il professor Celi ne ha unita un’altra, che si è focalizzata sulla storia militare in Valle d’Aosta, dalla quale, lungo le circa trecento pagine del saggio, prova a trovare le risposte al quesito di fondo: i Valdostani si sentivano tali già prima del Risorgimento oppure affermarono la loro identità soltanto nel momento in cui si confrontarono con la domanda “Si poteva essere italiani continuando a parlare la lingua francese?” e in questo loro modo di sentirsi “tra due frontiere” quanto peso ha avuto una tradizione che li vedeva soldati a difesa del territorio e della frontiera? II volume, oltre allo studio della presenza militare in Valle d’Aosta durante tutto il corso dell’Ottocento, esamina, non solo da un punto di vista squisitamente linguistico, i temi dell’identità
locale, messi a confronto con analoghe situazione dell’arco alpino, là dove si parla di “particolarismo”: dal Canton Vaud al Valais,
al Tirolo. Ad introdurre i vari relatori, lunedì 3 febbraio, nell’Aula Magna intitolata a S. Anselmo, era stato chiamato il Direttore del Corriere della Valle Fabrizio Favre, che ha, con sottile auto-ironia, sottolineato il dubbio amletico di fronte al quale Celi pone sin dall’inizio del libro il suo lettore: “Perché mai la statua dedicata a Vittorio Emanuele II lo ritrae non in abiti regali, come capo dell’esercito piemontese, poi italiano, ma nella versione di Roi chasseur?” Intorno all’apparentemente provocatoria questione, si sono succeduti gli interventi dí saluto del presidente Augusto Rollandin e di Federico Visconti, del Dipartimento di Scienze Economiche
e politiche dell’Università della Valle d’Aosta, che ha letto un saluto del Ministro della Difesa, on. Mario Mauro. I successivi relatori, Professori Bermond, docente di Storia economica all’Università di Torino e della Valle d’Aosta, e Paolo Gheda, docente di Storia contemporanea dell’università della Valle d’Aosta, hanno illustrato, il primo, il ruolo insostituibile nell’economia e di conseguenza nell’identità valdostana delle milizie e delle fortificazioni militari (con chiaro riferimento al presidio rappresentato tra ‘700 e ‘800 dal ca-
stello fortificato di Bard); il secondo ha invece sottolineato l’originalità del metodo di ricerca seguito da Celi nel consultare fonti spesso trascurate per studiare il mondo militare non dall’interno, cioè attraverso gli archivi militari, ma dall’esterno, per valutare le conseguenze della presenza militare a livello economico e istituzionale. La ricchezza della documentazione raccolta attraverso la consultazione minuziosa ed attenta di ben ventidue archivi (comunali, parrocchiali, di Stato ecc.) e di dodici organi di stampa editi tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ha dato la possibilità all’autore di aprire scenari di storia ad oggi inesplorati che, nel libro uscito per i tipi della Rubbettino, offrono, spunti di dibattito e motivi d’interesse non solo in sede di ricerca locale, perché sono affrontate tematiche e problemi che, tolti dagli archivi, sono messi sulla scena della politica e dell’economia contemporanea.

di Margherita Barsimi

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