Le due facce di Federico II (Centonove)

del 13 Aprile 2012

Da Centonove – 13 aprile 2012
Il legame profondo della leggendaria figura sveva e la Sicilia multietnica. Cominciando da un matrimonio

Lo storico Francesco Renda racconta la centralità della Sicilia nella vita in chiaroscuro dell’imperatore Federico II. Il professore Renda parte dal presupposto che, senza la Sicilia, Federico Il non sarebbe divenuto lo statista di fama internazionale (tra luci e ombre) e l’intellettuale noto con il soprannome di Stupor mundi.
Il legame profondo tra l’imperatore svevo e l’Isola dal passato multietnico, dunque, è alla base dell’appassionante volume “Federico Il e la Sicilia”, appena pubblicato dalla casa editrice Rubbettino. Si tratta dell’ultima fatica letteraria di Francesco Renda, classe 1922, prezioso punto di riferimento per la cultura italiana e figura leggendaria per la sinistra siciliana di ieri e di oggi. Il saggio sullo Stupor mundi segue altri importanti testi, come “Storia della mafia” (Sigma edizioni), “Autobiografia politica” e “Storia della Sicilia” (Sellerio), per citare solo le opere degli ultimi anni. La narrazione di Renda inizia nel XII secolo, con un evento particolare, il matrimonio tra il tedesco Enrico Hohenstausten e la siciliana Costanza d’Altavilla. Re di Germania e futuro imperatore, Enrico VI era il figlio di Federico I, detto il Barbarossa, che, dopo la pace stipulata con la Lega Lombarda, era animato dall’ambizioso sogno di estendere l’Impero fino al Sud Italia. Per realizzare tale faraonico intento, l’imperatore Federico Barbarossa utilizzò la via diplomatica e convinse il figlio Enrico a sposarsi con la principessa Costanza d’Altavilla, donna ricca e intelligente. Originaria di un’illustre dinastia normanna trasferitasi nel Sud Italia, Costanza era figlia di Ruggero Il, primo sovrano del Regno di Sicilia, in buoni rapporti con il mondo arabo e musulmano. Il matrimonio tra Enrico VI e Costanza d’Altavilla (che rappresentava simbolicamente l’unione tra una dinastia sveva e una dinastia normanna e, quindi, tra la stirpe tedesca e la stirpe francese) fu celebrato il 27 gennaio del 1186 a Milano, senza il consenso del Pontefice, scatenando, dunque, un’estenuante conflitto epocale tra Papato e Impero, durato per 150 anni. Dall’unione tra il futuro imperatore Enrico VI e la principessa Costanza d’Altavilla, nacque Federico Il di Svevia, che, sin da adolescente, divenne re di Sicilia. Una volta adulto, Federico Il fu incoronato imperatore in Germania ma tornò presto in Sicilia per espugnare le fortezze saracene. Nei primi tempi, Federico Il non ereditò dal nonno Ruggero Il gli ottimi rapporti con il mondo musulmano. In passato, infatti, il Regno normanno di Sicilia si era distinto sempre per il suo crogiolo etnico, religioso, linguistico e culturale. Nelle città e nelle campagne, convivevano senza problemi normanni, arabi, ebrei, greci, latini e africani. Con l’avvento di Federico Il di Svevia, invece, gli arabi si ribellarono al nuovo regime e furono repressi con una violenza inaudita. Circa 20 mila saraceni si salvarono ma furono deportati a Lucera per volontà dell’imperatore; gli altri furono uccisi in combattimento, furono massacrati dopo la resa o fuggirono in Africa; altri ancora, infine, si convertirono al cristianesimo, praticando di giorno i riti ecclesiastici latini e di notte i riti islamici orientali. “La crudeltà di Federico Il verso i ribelli fu spietata – spiega Renda – Un terzo della popolazione siciliana fu eliminata. A quello sterminio i musulmani opposero una resistenza lunga e tenace. Gli arabi rivoltosi si rivelarono combattenti di una causa nazionale e in un linguaggio moderno possono definirsi gli irredentisti islamici del secolo XIII, con relativo credo politico”. Renda esalta quelle lotte arabe: “La resistenza musulmana del XIII secolo fu sostanzialmente fondata sul fatto che gli arabi, viventi in Sicilia da cinque secoli, si consideravano siciliani aventi come patria l’Isola. In quella terra natia, per secoli avevano convissuto in pace con cristiani, ebrei e greco-bizantini. Di nuovo c’era il fatto che, nella Sicilia sveva, per motivi religiosi, i seguaci di Allah non venivano considerati siciliani come gli altri, mentre, nelle terre da loro abitate, volevano vivere non come servi dello Stato cristiano, ma come liberi sudditi del Regno. Il loro irredentismo era una manifesta utopia, nondimeno aveva a fondamento quel sentimento naturale della libertà”. Con la vittoria finale sui saraceni, l’imperatore Federico Il di Svevia tornò il padrone incontrastato del Regno di Sicilia e realizzò il sogno di suo padre Enrico VI: annettere l’Isola al Sacro Romano Impero. Il Regno di Sicilia fu il luogo dove Federico Il realizzò le sue principali opere: promosse la poesia in volgare, creò la lingua siciliana, fondò l’Università degli Studi di Napoli, animò la vita culturale e scientifica dell’epoca. Secondo il professore Renda, “se l’augusto imperatore, re di Sicilia, d’Italia e di Gerusalemme, avesse desistito dal proposito di unire il Regno di Sicilia all’Impero, sarebbe stato sempre un grande imperatore, ma non sarebbe diventato lo splendor mundi e immutator mirabilis, insigne statista e illuminato cultore di arti e scienze”. Tuttavia, tale annessione alimentò ulteriormente il conflitto epocale con la Chiesa, iniziato già da Enrico VI. Alla fine, la supremazia religiosa del Pontefice ebbe il sopravvento sulla potenza imperiale e Federico Il fu inesorabilmente sconfitto. Scomunicato da papa Innocenzo III nel 1245, sconfitto a Parma tre anni dopo, Federico Il morì a Lucera nel 1250, all’età di 56 anni.

Di Pietro Scaglione

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