Le confessioni del boss che si credeva invincibile

di Lino Patruno, del 20 Dicembre 2013

Da NelMese di Dicembre

No, non poteva farla passare liscia a quel ragazzo che aveva sgarrato. Che aveva mancato di rispetto a lui, Roccuccio “ù uastat” , il temutissimo boss: l’avesse graziato, sarebbe stato un nulla da spazzare via, avrebbe violato “La mia stessa legge” , la legge della malavita. È questo il titolo dell’impressionante libro di Ruggero Cristallo (Rubbettino ed., pag. 193, euro 14), viaggio in trent’anni di criminalità barese. Da Bari vecchia a Japigia. Cristallo, giornalista, si è occupato da sempre di nera soprattutto per la “Gazzetta del Mezzogiorno” . Quindi ne conosce storia e storie come pochi altri, uno di quelli un po’ segnati anche loro, fra lenzuoli sul selciato, fumose questure e pericolosi ambienti. Dovendone raccontare, poteva citare date e protagonisti come si fa abitualmente in questi casi. Invece ha scelto la via meno convenzionale, quella più difficile ma più diretta.
Con uno scoop non di ogni giorno, ha fatto raccontare tutto dall’interno proprio a lui, Roccuccio “ù uastat” (il Guastato): personaggio reale che narra in prima persona sotto falso nome. E che, essendo in punto di morte in un letto d’ospedale, pisciandosi addosso dopo aver seminato terrore per tanto tempo, dopo aver ucciso e fatto uccidere non essendo stato fermato né dalla coscienza né dalle pallottole né dalle condanne, ha infine perso la guerra pur avendo pensato sempre di essere invincibile, guerra persa come prima come tutti nella criminalità prima o poi la perdono.
Persa la guerra anche con se stesso, dopo aver tradito ed essere stato tradito, dopo aver inferto dolore e morte, dopo essere stato santificato dai suoi amici e maledetto dai suoi nemici. Insomma uno che non ha più nulla da perdere, attendendo il giudizio finale. Non una confessione né un tentativo di redenzione, ma una liberazione.
Quel ragazzo fu portato in campagna, legate le mani dietro le spalle, tremava e piangeva, fatto inginocchiare fra due pietre. I colpi della 44 magnum gli frantumarono la nuca, pezzi di cervello ovunque. Gli sputarono addosso, lo lasciarono alle mosche e ai randagi. Ma gli andò fin troppo bene rispetto a Peppuccio, autodemolitore, capace di smontare pezzo su pezzo in due ore le auto rubate, ma con un vizio insopportabile per la criminalità: parlava troppo. Nel suo ultimo viaggio, lo portarono in un capannone dismesso. Roccuccio racconta che gli gonfiaro no la faccia come un pallone di basket, lo legarono su un tavolo e gli spararono prima alle ginocchia poi ai gomiti. Quindi all’inguine. Presero una motosega e gli tagliarono gambe e braccia. Era ancora semivivo quando chiese pietà. Gli tagliarono la testa con la motosega, la presero a calci ridendo. Mignolino che aveva organizzato l’esecuzione non resistette al vomito, gli altri esultarono come nella curva Nord del San Nicola. Quella testa sembrava chiede re ancora perdono, con una pompa lavarono il sangue ovunque, gli straziati resti dati in pasto ai maiali.
Ma è sbagliato credere che questo libro sia una raccolta di sequenze da film horror. Servono per dare l’idea di una crudeltà che è (ed è stata) da un lato il codice genetico di una malavita che non poteva fare altrimenti se voleva conservare il potere, dall’altro “la mia stessa legge” per la propria sopravvivenza fisica verso gli altri. Insomma inevitabile. Perché invece il corpo centrale dell’autobiografia di Roccuccio ù “uastat” è contrabbando e spaccio, tangenti e usura, armi e droga, guadagni stratosferici e bella vita, carcere e processi, zone di influenza e infami pentiti, Montenegro e Svizzera, navi-madre e motoscafi, prostituzione e slot machine, oltre che pestaggi ed esecuzioni. Tutto ciò che è, sia chiaro, attorno a noi, una città parallela che si muove nell’ombra in mezzo alla nostra ignara vita quotidiana. Quindi molto più pericolosa di quanto possa sembrare a chi ritenga che sono fatti loro. “E non c’era nessuno che, ogni mese, non ci pagasse”. Attraverso la voce di Roccuccio, Cristallo ci racconta però anche qualcosa da consegnare più alla storia criminale che alla cronaca. Come i rapporti di questa malavita barese con la camorra, con la mafia, con la Sacra Corona Unita. E la costituzione nel carcere di Bari della Camorra prima Barese poi Pugliese. Con tanto di riti di affiliazione. Con una sottovalutazione da parte di chi si intestardiva (diciamo così?) ad assicurare che a Bari la mafia non c’è.
Così “potevamo continuare a fare i fatti nostri. Quando si accorsero di aver fatto un grave errore, era già troppo tardi”. Finché la convinzione di onnipotenza li tradì, con i loro Suv supercorazzati e specializzati in speronamenti che in un primo momento sgominarono le forze dell’ordine impari per mezzi e uomini, li contrastavano a bordo di Punto Fiat. Fino a quella notte per loro sfortunata che li portò ad ammazzare due finanzieri. Era il 24 febbraio del 2000. Cominciò quella “Operazione Primavera” che fu l’inizio della loro fine.
Ma Roccuccio infine lo capisce, anzi lo ha sempre saputo: “Quando lo Stato decide di far sentire la propria voce, è sufficiente che la alzi e faccia qualcosa. E poi vince, vince sempre” . Anche se prima “ogni bottiglia di champagne la pagavamo anche 250mila lire” . Anche se “io me ne andavo in giro con una Jaguar, l’avevo pagata 160 milioni” . Anche se guadagnavamo miliardi al mese. Perché dopo gli arresti bisognava pagare gli avvocati, far vivere bene chi era dentro, dare stipendi alle famiglie. Una volta tre miliardi in due anni: “E sono miliardi che dobbiamo recuperare, non siamo una organizzazione di beneficenza” .
Roccuccio “ù uastat” vorrebbe saper scrivere, “se sapessi scrivere lascerei una specie di testamento morale per dire ai miei figli che il loro padre ha sbagliato tutto, si è illuso di essere potente ma non ha costruito niente, ha seminato sangue e morte e ora sta per comparire davanti a un altro tribunale. Sono stanco, molto stanco” . Per Roccuccio ha scritto Ruggero Cristallo, e questo drammatico “La mia stessa legge” è anche una testimonianza civile della quale essergli grati.

Di Lino Patruno

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