La ‘ndrangheta vista da vicino: le difficoltà di un film nella Locride (Corriere della Sera)

di Stefania Ulivi, del 6 Maggio 2014

dal Corriere della Sera del 6 Maggio

«Troppo pericoloso, troppo mafioso, troppo tutto». Non è stato facile per Francesco Munzi (Saimir, Il resto della notte) mettersi dietro la macchina da presa per girare nelle strade e nelle case di Africo Anime nere, un film che, prima di prendere forma, era diventato una specie di ossessione. «Ero alle prese con un altro progetto ma mi sono imbattuto nel libro di Gioacchino Criaco e sono rimasto folgorato da come affrontava una materia che io conoscevo solo attraverso la cronaca dei giornali». Ovvero la ‘ndrangheta vista da vicino, attraverso gli occhi di tre giovani dell’Aspromonte. «Tre ragazzi di Africo nuovo, che insieme a Platì e San Luca compone quella specie di triangolo delle Bermuda del crimine», racconta il regista romano, impegnato nelle ultime riprese del film (prodotto Cinemaundici con Rai Cinema e che sarà distribuito da Good Films) che si concluderanno nei prossimi giorni a Milano. «Dopo aver finito il libro sono andato nella Locride con l’idea di cercare location e comparse. Mi sono scontrato con la diffidenza degli abitanti, ho capito che da solo non avrei potuto farcela». È stato l’autore del libro ad aiutarlo a trovare la chiave giusta. «Ci siamo tornati insieme. E mi ha aiutato la mia esperienza di documentarista, ho capito che non si poteva fare film su di loro ma con loro». È stato un processo lungo, quasi tre anni. «Volevo coinvolgere gli abitanti mescolandoli ai miei attori. Dopo l’iniziale diffidenza è subentrata una fase di neutralità, poi è scattata la voglia di esserci e di collaborare». Piano a piano le porte si sono aperte. «Abbiamo riempito il film di Africo, a partire dal dialetto. Una scelta che restituisce verità».

Protagonisti tre fratelli (nel libro erano amici), eredi di una famiglia criminale che è passata senza apparenti scossoni dalle cura delle capre al traffico di cocaina. Luigi, Luciano e Rocco (Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane) fanno affari a Milano e in Sudamerica, sembrano avere ormai ben poco in comune con i loro nonni e zii raccontati da Corrado Alvaro, quegli africesi che «odiano il mare» descritti da Corrado Stajano. Vite dominate dalla montagna bellissima, luogo arcaico carico di misteri. «C’è stata una sorta di mutazione genetica dei calabresi» riflette Criaco. «Corrado Alvaro raccontava un’umanità dolente, i pastori che dormivano in casupole di pietra e paglia. Io racconto di persone che si convincono di potersi costruire da soli il proprio destino. Lo fanno in modo sbagliato, quasi una vendetta: da difensori diventano attaccanti». E senza riuscire a lasciarsi alle spalle un passato che non passa come si accorgerà a sue spese, spiega Munzi, la moglie di uno dei fratelli, interpretato da Barbora Bobulova. «Pur conoscendo la storia della famiglia pensa che appartenga al passato. Invece si riaccende una faida e i fratelli vengono richiamati in Aspromonte a farsi carico di una vicenda remota ma non sepolta». In bilico perenne tra passato e presente. «Africo è un binocolo rovesciato, da Africo può vedere meglio l’Italia».

di Stefania Ulivi

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