L’Ulivo, una storia non a lieto fine

di Stefano Folli, del 2 Aprile 2013

 Dal Sole 24 Ore del 31 marzo 2013

Gerardo Bianco prosegue nella sua meritoria fatica volta a ricostruire – ben stimolato da Nicola Guiso – la fine della Prima Repubblica e poi via via gli eventi che hanno scandito gli anni della transizione. Il suo è un caso atipico di protagonista politico di quella ormai lontana stagione (Bianco è stato fra l’altro capogruppo della Dc, ministro e infine per qualche tempo segretario dell’effimero Partito Popolare) che ha saputo trasformarsi in storico per investigare tempi e modi di un collasso (prima la Dc, in seguito il Ppi) che rappresenta pur sempre un “unicum” nella storia delle democrazie occidentali. Collasso non colmato dal successo solo parziale e insoddisfacente dell’Ulivo: un’architettura politica nata da una felice intuizione, portata alla vittoria elettorale da Prodi e purtroppo consumatasi in fretta per errori molteplici. La mutazione da politico a storico riesce perché Bianco è soprattutto uomo di solida cultura, pienamente inserito in quel filone del cattolicesimo democratico che ha contribuito in forme decisive alla storia repubblicana del dopoguerra, segnandone le tappe di sviluppo economico e sociale. L’epilogo drammatico di quella vicenda è appunto oggetto di un’indagine storica che oggi tutto sommato è ancora agli inizi, venti anni dopo Tangentopoli. C’è molto da scavare e da comprendere, come sottolinea Piero Craveri nella post-fazione: soprattutto come sia stato possibile che la politica abbia via via abbandonato le sue posizioni lasciando campo libero al populismo, in un processo di svilimento delle identità e delle tradizioni che oggi sembra avviarsi alla triste conclusione. In fondo, raccontando la parabola del centrosinistra fra la prima vittoria di Berlusconi nel 1994, l’affermazione prodiana nel ’96 e il 2000, con il passaggio di consegne fra D’Alema e Amato alla guida del Governo, a pochi mesi dalle elezioni che il centrosinistra perderà l’anno successivo, Bianco descrive un dibattito politico “alto”. Ci sono già tutti i presupposti della crisi di un’idea riformatrice: il personalismo, l’inseguire Berlusconi sul suo terreno, la tendenza a comporre e scomporre i movimenti politici come il “Lego”, sempre in una chiave opportunistica. E tuttavia non si sfugge all’impressione che i contrasti fra ulivisti e “federatori”, fra Prodi e D’Alema, fossero momenti di un progetto in essere. Qualcosa che suscita persino nostalgia nell’Italia di oggi.

Di Stefano Folli

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