L’Italia che siede alla destra dei suoi “padri fondatori” (Il Giornale)

di Giampietro Berti, del 15 Ottobre 2014

Da Il Giornale del 15 ottobre

L’antifascismo è stato in gran parte egemonizzato dal Partito comunista, l’anticomunismo è stato in gran parte egemonizzato dalla Democrazia cristiana; una situazione che è durata, con alterni scenari, fino alla caduta del Muro di Berlino e al crollo del comunismo. All’interno di questo panorama si è svolta la dialettica fra la destra e la sinistra, o meglio fra le destre e le sinistre. Chi stava a sinistra si sottraeva a fatica all’abbraccio mortale del Partito comunista: i comunisti sottolineavano il loro ruolo comprimario nella Resistenza e nella nascita della Costituzione repubblicana. Essere di sinistra, ma non essere comunista, significava di fatto relegarsi a un ruolo oggettivamente marginale e subalterno. Chi stava a destra, ma non era democristiano, si sottraeva a fatica dall’abbraccio mortale della Democrazia cristiana, essendo questa la forza maggiore che contrastava, o poteva contrastare, il comunismo. Complessivamente si può dunque affermare che l’Italia è stata senz’altro un caso anomalo rispetto alle altre democrazie liberali dell’Occidente.
Questo quadro, qui delineato in modo assai schematico, è ora ampiamente argomentato da vari autori in una raccolta di saggi che focalizzano l’attenzione su una soltanto delle due polarità perché esaminano le vicende delle destre. Storia delle destre nell’Italia repubblicana (a cura di Giovanni Orsina, Rubbettino, pagg. 285, euro 18) reca un contributo importante per la comprensione della storia italiana. Un oggetto di studio, questo, molto negletto da parte della storiografia fino a tempi recenti.
Dopo un’introduzione comparativa di Gaetano Quagliariello sulle destre europee, Giuseppe Parlato dà conto del Movimento sociale diviso tra una parte moderata, che cercava il dialogo con il mondo cattolico e con quello liberale, e una parte meno accomodante, pervasa dalla nostalgia del fascismo ritenuto ancora valido. La situazione si presenta più complessa se lo sguardo si sposta verso il centro, dove si collocano i liberali, i democristiani e tutti quei gruppi accomunati dall’avversione alla partitocrazia. Vera Capperucci prende in analisi l’anima di destra della Democrazia cristiana, che al di là del suo legame organico con il cattolicesimo più tradizionale, agì sin dal suo apparire come contrappeso ai ricorrenti propositi di dialogo a sinistra. Gerardo Nicolosi esamina il percorso del Partito liberale, saggio in cui si evidenzia tutta la difficoltà di una sua univoca collocazione a destra, che caratterizzò solo alcune fasi della storia complessiva del partito.
Il contesto fin qui delineato cambia radicalmente dopo Mani Pulite. Lucia Bonfreschi indaga il fenomeno leghista e osserva che, come nel caso dei liberali, risulta opinabile collocare i leghisti univocamente a destra. Infine, Giovanni Orsina prende in esame l’impegno politico di Silvio Berlusconi, unitamente alla nascita, allo sviluppo e alle alterne fortune di Forza Italia. È dunque certamente corretto parlare di destre al plurale e non di destra al singolare: si tratta di una galassia composta da entità spesso così diverse l’una dall’altra da arrivare a contrapposizioni insanabili che hanno loro impedito di formulare un progetto politico comune; una paralizzante eterogeneità dovuta soprattutto alla pregressa storia italiana. L’Italia è stata prima monarchico-liberale, poi monarchico-fascista, poi democratico-repubblicana: un vortice di cambiamenti che ha prodotto gravi discontinuità nella formazione della sua classe dirigente.
In realtà destra e sinistra non sono soltanto specifiche visioni del mondo, ma anche definizioni spaziali, che occupano un luogo scenico non assoluto e sempre in continuo mutamento. Nel caso italiano non si può non sottolineare che la definizione «demonizzante» di destra conferita a buona parte delle forze avverse alla sinistra si fonda sulle dicotomie fascismo-antifascismo e comunismo-anticomunismo accennate sopra, prodotte dalla guerra fredda e dall’egemonia comunista sulla cultura italiana. È un criterio che deve essere sostituito con quello universalmente più chiaro e vero: totalitarismo (di destra o di sinistra, non importa), contro democrazia liberale.

Di Giampietro Berti

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