L’intervista a Pierpaolo Romani: «Mettiamo le mafie in fuorigioco» (Avvenire)

di Massimiliano Castellani, del 18 Luglio 2016

Da Avvenire del 17 luglio

La Juve sotto il pressing della ‘ndrangheta, il Milan idem con la spartizione tra vari clan calabresi, sardi e pugliesi, emersa nel maggio scorso tra coltellate (allo stadio Olimpico di Roma) regolamenti di conti e spaccio massiccio di stupefacenti all’interno di San Siro. I fratelli Vrenna, Raffaele e Giovanni, sono stati indagati dalla Dda di Catanzaro per collusione con la mafia proprio nella stagione in cui per la prima volta hanno condotto la loro società di famiglia, il Crotone, a una storica promozione in Serie A.
La ‘ndrangheta si spinge sempre più in là rispetto alle altre mafie nazionali, basti ricordare i dilettanti calabresi del San Luca che scesero campo con il lutto al braccio nella gara contro il Bianco per onorare la memoria di Antonio Pelle, detto “Gambazza”, storico padrino della locride. «Nel 2007, l’allora presidente della Commissione parlamentare Antimafia Francesco Forgione, aveva già denunciate infiltrazioni malavitose nelle curve italiane…», sottolinea Pierpaolo Romani coordinatore nazionale di “Avviso Pubblico”, associazione da vent’anni in prima linea nella lotta alle mafie e autore del libro inchiesta Calcio criminale (Rubbettino).
Ma scusi Romani, possibile che di certi ultrà “criminali” in seno alle società calcistiche i loro dirigenti sono sempre all’oscuro?
I club hanno rapporti importanti con i capi ultrà, sanno benissimo chi sono e cosa fanno. Il problema è che spesso hanno a che fare con pregiudicati o gente sottoposta a misure restrittive e di prevenzione e non è facile rapportarsi e dialogare civilmente con certi soggetti. Gli ultrà poi servono alla dirigenza per contribuire a mantenere la sicurezza negli stadi, o per indurre un giocatore ad abbandonare forzatamente la squadra o per accelerare l’esonero di un allenatore inviso al presidente.
Insomma la ‘ndrangheta che controlla la Curva del primo club italiano, la Juve, è un fatto quasi naturale?
Assolutamente no, ma in Piemonte abbiamo scoperto che le mafie sono radicate al punto da far sciogliere dei comuni. La ‘ndrangheta secondo gli ultimi rapporti della Dia e della Dda in questo momento è la mafia più potente, in quanto basata su legami famigliari strettissimi, quindi impenetrabili e con scarsissima percentuale di collaboratori di giustizia al suo interno. Le ‘ndrine al nord riescono a riprodurre un humus identico a quello originario, ciò che diversificano è solo il giro degli affari, come il riciclaggio di denaro nel calcio.
Il metodo usato qual’è?
Controllare le Curve come se fossero dei comuni pezzi di territorio in cui far fruttare i traffici illeciti: bagarinaggio e spaccio di droga, merchandising e scommesse. I boss sanno bene che il calcio gli porta quel consenso sociale di cui hanno bisogno come l’acqua, per questo il clan Pesce-Bellocco a Rosarno controllava contemporaneamente le due società di calcio, l’Interpiana Cittanova e la Rosarnese che poi sono finite sotto la lente degli inquirenti. I boss poi sanno che se arrivano a controllare il calcio di vertice il loro potere di persuasione si fa illimitato.
E del loro potere di persuasione su quei calciatori che lei chiama “invisibili”…
Quelli sono i calciatori imparentati o aventi stretti legami con i malavitosi. Quanti sono? Spero e credo pochi, ma è comunque una minoranza molto pericolosa che agisce contro le regole. Qualche calciatore a volte viene avvicinato e accetta l’illecito, dice: ‘Altero il risultato di una partita e poi mi ritiro”. Ma non sanno che una volta entrati in contatto con le mafie quello è un viaggio di sola andata.
Prevenire è possibile?
Si deve e noi da anni lo stiamo facendo con Damiano Tommasi e il Dipartimento Junior dell’Assocalciatori. Ai giovani proponiamo dei modelli da seguire come don Pino Puglisi che usava il calcio come strumento antimafia. I club possono fare molto, magari attuando dei programmi tecnico-educativi per la formazione e l’informazione dei ragazzi. Come dice don Luigi Ciotti “basta riempirsi la bocca con la parola legalità, piuttosto serve più responsabilità”. Ognuno nel proprio ruolo deve essere responsabile per contrastare la piaga delle mafie che ormai minacciano prepotentemente anche il mondo del calcio.

di Massimiliano Castellani

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