L’addio a Benny Lai sulla stampa italiana (Il Corriere della Sera)

di Marco Ansaldo, del 13 Dicembre 2013

Benny Lai

Il “mio” Vaticano

Diario tra pontefici e cardinali

E’ scomparso il vaticanista Benny Lai, autore di due volumi editi da Rubbettino, “Il “mio” Vaticano” e “Finanze Vaticane“.

Addio a Benny Lai, vaticanista laico stimato dai cardinali
da Il Corriere della Sera del 13 Dicembre

Per quanto fosse un laico, estraneo per formazione all’ambiente ecclesiale, Benny Lai era riuscito a conquistare la fiducia di alti esponenti della gerarchia cattolica. In particolare il decano dei vaticanisti italiani, scomparso ieri all’età di 88 anni, era entrato in confidenza con il potente e prestigioso cardinale di Genova Giuseppe Siri, noto per le sue posizioni conservatrici e a lungo presidente della Cei. Dopo la morte del porporato, avvenuta nel 1989, Lai gli aveva dedicato un libro di grande interesse, significativamente intitolato «Il Papa non eletto» (Laterza, 1993), nel quale aveva pubblicato il diario tenuto da Siri durante il Concilio Vaticano II. Nato nel 1925 in Calabria, Lai aveva cominciato giovanissimo ad occuparsi della Santa Sede: la sua tessera di accredito presso la sala stampa vaticana, datata 1952, era firmata da Giovan Battista Montini, il futuro papa Paolo VI, che era allora sostituto alla segreteria di Stato. Lai aveva lavorato per «La Gazzetta del Popolo», «La Nazione» e «Il Resto del Carlino», ma era stato valorizzato soprattutto al «Giornale», da Indro Montanelli, che lo utilizzò come editorialista. Numerosi i libri firmati da Lai sulla Chiesa cattolica, da «Vaticano sottovoce» (Longanesi, 1961) a «Finanze vaticane» (Rubbettino, 2012).

Vaticano senza segreti. Addio a Benny Lai
da La Repubblica del 13 Dicembre

Non era “solo” un vaticanista Benny Lai, morto ieri a 88 anni nella sua casa di Roma ai Parioli dopo una lunga malattia. Se per “solo” si intende uno specialista – grande però, come questo signore che frequentava i Sacri Palazzi da qualcosa come 60 anni – di un mestiere affascinante e complicato, zeppo di insidie ma anche di sorprese, come quello di chi segue i Papi e il mondo ecclesiastico che vi ruota intorno. Era, piuttosto, Lai, un giornalista completo, pure un inviato speciale capace di scrivere di tutto e seguire guerre, come in Vietnam. Non è caso che tenesse a definirsi “un laico”, senza collusioni eccessive con l’ambiente che doveva vivere e descrivere.
Poi, naturalmente, la sua expertise era il Vaticano. Della Santa Sede sapeva quasi tutto, e laddove non sapeva la sua esperienza gli permetteva di intuire molto, anche se alcuni riflessi mentali tipici della casa gli erano restati addosso (ad esempio: la convinzione, del tutto deduttiva e mai provata, che fossero i sovietici i mandanti dell’attentato a Giovanni Paolo II).
Ex militante del Pci folgorato sulla via di San Pietro dal 1952, cominciò in quell’anno a frequentare le Segrete stanze con in mano una tessera firmata dall’allora Sostituto alla Segreteria di Stato, Giovambattista Montini, il futuro Paolo VI: «Ma solo perché – chiosava Lai – mi avevano cacciato da tutti i giornali». Era nato ad Apriliano, in provincia di Cosenza, nel 1925, e iscritto all’Ordine dei giornalisti dal 1946. Aveva iniziato come giornalista della Gazzetta del Popolo, passando poi al Resto del Carlino negli anni del Concilio e alla Nazione. Fu Indro Montanelli a chiamarlo al Giornale, dove lo valorizzò come commentatore e editorialista. Firmò poi anche su Repubblica, oltre che su Panorama e L’Europeo.
Laico sì, ma rispettoso nel suo diritto/dovere di cronaca, divenne confidente e biografo del cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova per 41 anni, primo presidente della Conferenza episcopale italiana, e favorito (senza successo) di tutti i 4 Conclavi della seconda metà del secolo scorso. A Siri, Lai dedicò il suo libro più famoso, “Il Papa non eletto” (Laterza) un lavoro che aprì un dibattito sul ruolo dell’arcivescovo genovese nella storia sociale e religiosa italiana.
Un altro volume di alcuni anni fa, “Il “mio” Vaticano. Diario tra pontefici e cardinali” (Rubbettino), è un’infilata di ricordi e annotazioni strepitose, da rileggere di continuo. Perfide a volte, ma poi non così lontane dalla realtà. Come questa: «Sa Santo Padre, che cos’è un Papa?, chiese un monsignore in un giorno di nuvole a Pio X. È un cardinale che ha finito di desiderare la morte del Papa. Papa Sarto scosse la testa, sorrise, poi si ribellò. “Che Dio ti perdoni questa cattiveria”. Un attimo dopo, ripensandoci, rideva…». Benny Lai sapeva di essere un testimone privilegiato, ma dava l’idea di trovarsi catapultato in Vaticano per una serie di coincidenze, come uno che si accorge di aver messo piede in un mondo fatato e però anche temibile. Un mondo che può essere compreso solo se ci si presta al gioco delle mezze parole, delle confidenze, di un colloquio spesso interrotto dai puntini sospensivi.
Con il passare degli anni era così diventato un esperto di intrighi, di lotte di potere, di omicidi consumati in quel mezzo chilometro quadrato più influente al mondo. «Adesso – diceva appena l’anno scorso – abbiamo anche il corvo. Una storia buffa». Già aveva intuito quello che si stava preparando con le dimissioni storiche di un Papa. «Ratzinger è debole – annotava – solo, chiuso nella sua torre, circondato da nemici che lui non riesce a vedere». Il suo ultimo libro affrontava il tema del “santo” danaro: “Finanze Vaticane. Da Pio XI a Benedetto XVI” (Rubbettino).
Così il decano dei vaticanisti spiegava come affrontare un mondo dai codici ferrei, trasmissibili solo con l’esperienza: «Per capire il Vaticano e le sue sottotrame bisogna frequentarlo a lungo, interpretare i piccoli segnali. Stare attentissimi quando ti porgono la mano. È una liturgia finissima, quasi invisibile, che traccia la divergenza tra un gesto d’amicizia e uno di ostilità. Se te la danno leggermente curva pretendono che tu la baci, dritta invece rappresenta quasi un gesto disfida». Un esempio del suo giornalismo, sottile, illuminante, mai banale.

di Marco Ansaldo

Addio a Lai, il padre dei giornalisti vaticanisti
da La Stampa del 13 Dicembre

Conservava gelosamente nel portafogli la sua prima tessera della sala stampa vaticana: era firmata dal Sostituto della Segreteria di Stato Giovanni Battista Montini. Se n’è andato ieri Benny Lai, classe 1925, decano dei vaticanisti, grande giornalista, acuto osservatore delle cose d’Oltretevere nonché inventore del ruolo stesso di «vaticanista».
Erano i primissimi Anni Cinquanta, e Lai, giovane cronista, si rese conto che la vita degli uffici vaticani terminava alle due del pomeriggio, mentre i giornalisti parlamentari avevano di che lavorare fino a sera inoltrata. Grande amante della vita e delle serate romane, Benny Lai chiese di fare il corrispondente dal Vaticano e divenne un fuoriclasse.
Era nato a Apriliano, era iscritto all’ordine dei giornalisti dal 1946. Ha lavorato per la Gazzetta del popolo, La Nazione, il Resto del Carlino e per il Giornale. Sono rimasti insuperati i tre volumi di diari, il primo dedicato agli ultimi anni del lungo pontificato pacelliano, il secondo agli anni di Papa Roncalli, il terzo con i pontificati di Paolo VI, Luciani e Wojtyla.
Quando Benny Lai cominciò a fare il vaticanista, la sala stampa era un piccolo ufficio dentro le mura vaticane. Il giornalista riuscì a formarsi una rete di informatori che gli permisero di raccontare da insider quanto avveniva nei sacri palazzi. Tra gli ecclesiastici che gli furono più amici c’era il cardinale di Genova Giuseppe Siri. Benny Lai spesso, nei week end, prendeva il treno a Roma diretto nel capoluogo ligure, dove lontano da occhi indiscreti incontrava Siri. Mise insieme ore e ore di registrazione, senza mai tradire la sua fonte. Soltanto anni dopo la morte del cardinale pubblicò un libro destinato a entrare nei libri di storia, bellissimo fin dal titolo: “Il Papa non eletto”. Un riferimento al fatto che Siri era stato più volte candidato al papato e nel 1978 ci era arrivato vicino.
Seppe essere rispettoso dell’istituzione senza farsi arruolare e mantenendo un laico distacco. Malato da tempo, si è spento nella sua casa romana.

di Andrea Tornielli

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