Jugaad, o soluzione creativa (La Domenica del Sole 24 Ore)

di Carlo Marroni, del 14 Aprile 2014

Navi Radjou, Jaideep Prabhu, Simone Ahuja

Jugaad Innovation

Pensa frugale, sii flessibile, genera una crescita dirompente

a cura di Giovanni Lo Storto e Leonardo Previ

Da La Domenica del Sole 24 Ore del 13 aprile

Kanak Das vive in un villaggio sperduto dell’India nord-occidentale. Andava al lavoro in bicicletta, percorrendo strade piene di dossi e buche profonde, che gli provocavano dolori di schiena e prolungavano di molto il tempo di percorrenza. Da qui l’idea: equipaggiare la bici in modo tale che tutte le volte che la ruota anteriore urtava un sasso un ammortizzatore avrebbe assorbito il colpo e rilasciato energia nella ruota posteriore.
Convertendo l’energia assorbita dall’ammortizzatore in forza propulsiva, la sua bicicletta va ora più veloce sulle strade dissestate. Un genio? Forse. Di certo un innovatore geniale, che ha trasformato le difficoltà in opportunità. In una parola, Jugaad.
Jugaad è un vocabolo hindi che indica un’idea che serve a risolvere rapidamente un problema. Spesso è una scorciatoia, un espediente improvvisato per aggirare un ostacolo. Ma potrebbe essere tradotta come «una soluzione improvvisata che nasce dalla creatività e dall’ingegno». La Jugaad è, in parole semplici, un modo unico e straordinario di pensare e agire per affrontare le difficoltà. È l’arte audace di individuare le opportunità nelle circostanze più avverse e improvvisare con intraprendenza soluzioni usando semplici strumenti. Jugaad significa fare di più con meno. La storia è raccontata in Jugaad Innovation, un libro scritto da tre giovani indiani con brillanti carriere in occidente: Navi Radjou, Jaideep Prabhu, Simone Ahuja, rispettivamente consulente strategico, docente e imprenditrice. L’edizione italiana, pubblicata da Rubbettino, è stata curata da Giovanni Lo Storto – direttore generale dell’Università Luiss – e Leonardo Previ.
Jugaad evoca quella che per noi italiani è in qualche modo l’arte di arrangiarsi. «L’abbondanza di beni materiali anestetizza l’ingegno. Questo principio regola, spesso implicitamente, i nostri sistemi educativi: quando le risorse a disposizione dei più giovani appaiono eccessive, provvediamo a renderle scarse artificiosamente. Siamo convinti che lo sviluppo delle capacità umane sia legato allo stato di necessitàperciò i più avveduti tra noi, quando intendono facilitare i processi di apprendimento dei propri figli, tolgono anziché aggiungere, centellinano le disponibilità materiali anziché renderle spensieratamente accessibili. Le scuole migliori – e forse anche le migliori famiglie – sono quelle in cui il superfluo è bandito o almeno reso di difficile reperibilità» scrivono Lo Storto e Previ nella prefazione. Federico Rampini, a lungo corrispondente da India e Cina, racconta: «La prima volta che mi sono imbattuto in una innovazione Jugaad, questa aveva l’aspetto dimesso di un elettrodomestico low cost». Una lavatrice da 50 euro con una speciale memoria elettronica programmata per neutralizzare i continui blackout elettrici, e consentire al programma di lavaggio di riprendere indisturbato là dove si era interrotto quando la corrente torna.
Un’innovazione stimolata da due ostacoli: il basso potere d’acquisto da una parte, l’inaffidabilità dell’energia elettrica dall’altra, un’idea che si rivela perfettamente adatta a rispondere ai bisogni e alle restrizioni di una vastissima platea di consumatori: il ceto medio delle nazioni emergenti, lezione che hanno imparato anche imprese molto grandi. Infatti è nella piccola borghesia asiatica, latino-americana, sudafricana, che ci sono le prospettive di crescita dei consumi più forti nei prossimi decenni. Per Lo Storto e Previ occorre tornare a creare i modelli virtuosi delle piccole e medie imprese che hanno fatto grande l’Italia: «Il nostro Paese è tuttora ricco di queste imprese che si sono succedute di generazione in generazione e che risuonano ancora oggi nei mille volti e nelle mille storie, alcune note a tutti, molte sconosciute». Superate le austerità imposte agli anni 70 dalle crisi del petrolio, gli anni 80 – sottolineano i curatori – hanno impresso la cultura dell’usa e getta. «È in questo modo che sono stati educati i bambini nati negli ultimi trent’anni: se qualcosa si rompe la si butta via. Così abbiamo rapidamente disimparato ad aggiustare o a sostituire i pezzi mancanti con elementi provenienti da contesti del tutto differenti. Una perdita culturale di proporzioni ancora in larga parte inesplorate, soprattutto per noi italiani, che per secoli abbiamo fatto dell’arrangiarsi un’arte. Del resto, qualsiasi gesto creativo comporta esattamente un arrangiarsi, un àccrocchiare, un riconoscere parentele fertili tra fenomeni nemmeno lontanamente simili. È su questa cornice mentale che si è intestata quella cultura del design e della creatività cui l’immagine dell’Italia nel mondo deve così tanto».

Di Carlo Marroni

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