Impastato, il guerriero abbandonato dal PCI (Il Giornale)

di Bruno Giurato, del 9 Maggio 2016

Salvo Vitale

Peppino Impastato

Una vita contro la mafia

Da Il Giornale del 9 maggio

Spesso i monumenti fanno ingombro, e spesso le santificazioni fanno venir voglia di bestemmiare. Ma il nove maggio, oltre all’anniversario del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, cade anche quello della fine di Peppino Impastato, ucciso da Cosa Nostra a Cinisi (Palermo). E allora vale la pena di ricordarsi di Impastato, figura spinosa di fool scespiriano con la barba, i capelli lunghi e i Pensieri di Mao sotto al braccio. Se non altro perché è il più donchisciottesco tra i donchisciotte che hanno mosso guerra a Cosa Nostra.
Esistono solo due modi di combattere le mafie: quello vero e quello apparente, le iniziative pubblicitarie e la roba pericolosa. La più seriosa lotta alla criminalità può risultare un trampolino per trovare rendite politiche.Impastato, invece, è uno di quelli che la guerra alla mafia l’ha fatta davvero. Senza smettere la faccia da giullare e cantastorie, menando rasoiate umoristiche dal trasmettitore di seconda mano di Radio Aut; per questo era costretto a girare con la pistola in tasca.
Uno, come lo definì il conterraneo Pietrangelo Buttafuoco (abbastanza lontano da lui politicamente) “cu i cugghjiuni”. La storia di Peppino Impastato ha dato da scrivere film (I cento passi di Marco Tullio Giordana), spettacoli teatrali, canzoni (Ciuri di campu di Carmen Consoli e i Lautari, I cento passi dei Modena City Ramblers,Centopassi di Pippo Pollina), non solo perché è sempre bello e confortevole commuoversi per un martire, ma soprattutto perché è una figura tragica che praticava comicità & melanconia. Tutt’altro che un monumento, o un santo.
Un libro che restituisce bene lo spirito di Peppino Impastato è Onda Pazza. Otto trasmissioni satirico-schizofreniche (Nuovi Equilibri, 15 euro) raccoglie il testo e il dvd delle registrazioni del programma condotto da Impastato insieme a Salvo Vitale e ad altri di Democrazia Proletaria. Ci sono le denunce che Impastato e compagni andavano diffondendo: speculazione edilizia, appalti, costruzione di un’incredibile tratto di autostrada a zig zag perché non passasse sul terreno “degli amici e degli amici degli amici”. E poi i traffici di coca, i consigli comunali dove il Pci si era unito alla maggioranza democristiana.
La documentazione giornalistica è di alto livello, Impastato aveva una ricca conoscenza degli ambienti mafiosi di Cinisi. Suo padre Luigi, soprannominato “Reginedda”, era uomo d’onore e amico di Don Tano Badalamenti. Le “minchiate” di Peppino il “disgraziato” gli avevano procurato guai. Anni dopo la madre di Impastato raccontò che Badalamenti aveva chiesto a Luigi di ammazzare il proprio figlio. Invece il padre coprì il figlio. Fu la morte fortuita di Luigi, investito di notte dall’auto di una madre di famiglia, a lasciare indifeso Peppino. Ai funerali del padre Peppino non strinse la mano di Tano Badalamenti, decretando la propria condanna a morte.
Ma in queste trasmissioni c’è qualcosa di più che i fatti, qualcosa che sta sul lato dello stile. La satira di Impastato, Vitale e gli altri protagonisti di Onda pazza è puro genio paesano. Il programma, seguitissimo in tutto il paese, si apriva con Facciamo finta che, di Ombretta Colli, mischiava scenette preparate, improvvisazioni, pezzi di canzoni pop a commento (Onda Pazza anticipatrice di Blob). Nella trasmissione “Favoletta” si racconta che “Don Tano prega” con sottofondo di Pregherò di Celentano e recitazione del Padre Nostro in latino. Nel gioco parodistico e quasi goliardico (se non fosse che la goliardia è puro intrattenimento) l’attacco feroce alla politica della mafia era orchestrato sull’avanspettacolo, cioè sulla forma che distrugge il rispetto, nella terra in cui vige il proverbio: «U rispettu e misuratu/ cu lu porta l’avi purtatu».
Chissà, se Impastato avesse denunciato la mafia con le notizie nude e crude, forse l’avrebbero fatto semplicemente sparire. Lupara bianca e finita lì. Invece la denuncia con la potenza anche derisoria del simbolico richiese una punizione anche simbolica. Preso in in macchina sulla strada tra Cinisi e Terrasini (“Mafiopoli” e “Mafiettopoli” secondo il linguaggio di Onda Pazza) nella notte tra l’otto e il nove maggio 1978, gli fu spaccata la testa con una pietra, fu legato a cinque chili di esplosivo (dinitrotoluene, del tipo usato nelle cave) sui binari del treno.
Alla morte si aggiunse la dannazione della memoria. Fu diffusa la voce che si era suicidato preparando un attentato, come Feltrinelli. Nel polverone dei mesi successivi all’affaire Moro, la notizia sembrò vera: anche il Pci ebbe cura di evitare di compromettersi difendendolo. In un’intervista successiva la madre disse: «Polizia, carabinieri, mafiosi e politici erano tutti d’accordo». Le indagini sono state chiuse e riaperte varie volte. Tra il 2001 e il 2002 Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti, morente negli Usa, sono stati riconosciuti mandanti dell’omicidio.
Dal punto di vista biografico il contributo più bello è Peppino Impastato il libro di Salvo Vitale pubblicato per Rubbettino (con Cd, euro 15). Appare la figura di un sessantottino di provincia cresciuto a esistenzialismo e poesia maudit, che si iscrive all’università a scopo dimostrativo: si presenta all’esame di dottrine politiche senza studiare, prende 28 e abbandona (la laurea in filosofia gli fu data dopo la morte alla memoria, chissà se avrebbe gradito). Un Don Chisciotte pure un po’ sfigato nelle cose sentimentali, innamorato di una certa Anna, di cui aveva fatto acronimo: “Amore Non Ne Avremo”.
Soprattutto di uno che usava il sarcasmo e l’umorismo come armi da guerra, e di un odiatore del fricchettonismo settantasettino, i cui protagonisti aveva definito «i ri-creativi che non creano un cazzo». Aggiungendo: «La gente peggiore l’ho conosciuta proprio tra i “personalisti” (cultori del personale) e i cosiddetti “creativi” (ri-creativi): un concentrato di individualismo da porcile e di “raffinata” ipocrisia filistea: a loro preferisco criminali incalliti, ladri stupratori, assassini e la “canaglia” in genere». Per Impastato l’umorismo era una cosa seria. E la guerra anche.

di Bruno Giurato

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