Il ministro e le sue mogli. Crispi tra scandali e politica (Virgilio.it)

del 10 Agosto 2012

Da Virgilio.it – 9 agosto 2012
Quell’amore infelice con Rosalie
Quando il politico, allora ministro dell’Interno, fu accusato di bigamia. Le trame, le lotte, le campagne di stampa in un’Italia che aveva appena compiuto il suo Risorgimento nazionale

Era il 10 novembre 1904. Fu deposta nel suo letto di morte con la camicia rossa e portata al cimitero del Verano, a Roma. Il carro funebre era di seconda classe. Ecco le generalità delle defunta dettate da un nipote all’ufficiale di stato civile: “Montmasson Rosalie, di anni 81, pensionata, residente in Roma, vedova di Crispi Francesco”. Parole da lei dettate poco prima di morire. Parole che Crispi, uno dei protagonisti dell’epopea risorgimentale e dell’Italia post-unitaria, certamente non meritava come spiegano, in un bel saggio, Enzo e Nicola Ciconte: Il ministro e le sue mogli. Francesco Crispi tra magistrati, domande della stampa, impunità (per i tipi di Rubbettino).Il libro è da leggere per una serie di motivi, fra cui la piacevolezza della scrittura, il dispiegarsi, attraverso vicende private, di una parte fondante dell’Italia contemporanea, ma soprattutto per capire a fondo l’arroganza e la sostanziale impunità del Potere.

Le generalità di inizio recensione non sono casuali. Rosalie fu, infatti, figura centrale del nostro Risorgimento. Ebbe il “privilegio” (chiamiamolo così) di essere l’unica donna (almeno ufficialmente) a partecipare a quell’evento che più di ogni altro illumina la storia del nostro Paese: la spedizione dei Mille del 1860 che liberò il Mezzogiorno dal giogo borbonico (stoppiamo subito eventuali contestazioni: che poi non sia andata come voleva Garibaldi lo sappiamo benissimo e quindi evitiamo triti e ritriti arpeggi revisionisti).

Lei era la moglie di Francesco Crispi che, con Rosalino Pilo e Giovanni Corrao, più si adoperò per convincere Garibaldi all’impresa e successivamente potentissimo uomo politico, più volte presidente del Consiglio (ma senza un briciolo degli antichi ideali garibaldini, sia ben chiaro). Attenzione perché, proprio sulla parola moglie, si incentra lo studio degli Autori che narrano la storia di un sopruso, la storia di un uomo che sposò una ragazza, che la abbandonò sostenendo che quelle nozze non erano valide e, coltellata finale, unendosi in matrimonio con un’altra donna. Del resto, che Crispi fosse, diciamo così, “inquieto” lo dimostra il suo “curriculum familiare”. L’uomo politico siciliano “ebbe due matrimoni – come si legge alle pagine 49-50 -, anzi tre. Il primo, il più regolare fra tutti, terminato con la morte della moglie. Gli altri due avevano visto le peripezie di due amanti in fuga; la prima volta con Rosalie, in fuga dai nemici che li scacciavano dai loro territori, la seconda volta, con Lina, in fuga dalla realtà nella convinzione che nascondendo il loro matrimonio nessuno sarebbe venuto a conoscenza del fatto”. E non è finita: “Tre figli – Tommaso, Luigi e Giuseppa – nati fuori dal matrimonio. E infine la sua bigamia…”. Ecco il punto. Crispi aveva sposato in fretta e in furia Rosalie nel 1854 a Malta e poi era stato costretto a fuggire perché cospiratore mazziniano (meglio: cospiratore e fra i più abili mediatori tra i leader di parte democratica: Mazzini e Garibaldi).

Rosalie e Francesco s’erano conosciuti a Marsiglia nel 1849, lui era un avvocato di Ribera senza una lira, nonostante fosse di “rango alto”, lei una savoiarda di Saint-Jorioz, figlia di coltivatori e di “rango non elevato” (elemento decisivo in futuro). Rosalie era talmente innamorata del futuro uomo politico che non esitò a fare quelli che una volta si definivano i “mestieri più umili”: lavandaia, stiratrice, lucidatrice di pavimenti… Tutto per sostenere quell’uomo che, appunto, “cospirava”. In quel 27 dicembre del 1854 le parve di raggiungere la felicità perché si era unita in matrimonio con il suo amato. Matrimonio non facile, con mille intoppi, ma matrimonio officiato da un prete romano che stava a Malta per curarsi il “mal sottile” e perciò certamente valido e legittimo a tutti gli effetti. E invece, nel 1878 (anno della morte di Vittorio Emanuele II e di Pio IX), oramai potente ministro dell’Interno, la accantonò e si risposò. Una manovra talmente segreta nelle intenzioni che poche ore dopo tutti ne ebbero conoscenza. Scoppiò uno scandalo enorme. Molta parte della stampa lo attaccò. Nella stessa Corte si alzò qualche sopracciglio. Crispi si attaccava alla motivazione che quello di Malta non aveva alcun valore, ma l’evidenza di più di vent’anni di matrimonio era sotto gli occhi di tutti. Una sola citazione: Garibaldi, già nel 1871, a una lettera di Crispi che gli portava “i saluti di mia moglie” rispondeva “Ma bien chère madame Crispi”. Dunque, Rosalie era la moglie e il ministro (che poi dovette dimettersi), risposandosi, aveva commesso un reato. Il reato di bigamia. Partì un’inchiesta che, però, non porterà a nulla. Il giudice decise il “non farsi luogo a procedimento penale”. Insomma, annotano gli autori, “nessun dibattimento. Nessuna pubblica udienza in cui doversi difendere da un’accusa ignominosa”. Il Potere aveva vinto. Anche se, è giusto e doveroso ricordarlo, Crispi era difeso da una delle figure più limpide della nostra storia politico-giudiziaria: Diego Tajani, che nel 1871 aveva fatto passare notti insonni al questore di Palermo Albanese accusandolo di trescare con la mafia (salvo essere sconfitto, salvo dimettersi dalla magistratura, salvo trionfare a Roma nella nuova veste di avvocato e di uomo di Stato integerrimo).

Insomma, i Ciconte pennellano (con una utilissima appendice documentaria) un quadro dell’Italia inquietante e che pone una domanda da brividi: e se l’accusa di bigamia fosse stata rivolta a un semplice cittadino?

Resta l’amaro finale (tralasciando tutte le folli avventure di politica estera in cui ci trascinò Crispi): Rosalie, la donna che, morendo, vuole portare con sé, oltre alla camicia rossa (inciso: prendeva la pensione perché riconosciuta ufficialmente come soldato dei Mille) la “qualifica” di vedova Crispi. L’unico uomo della sua vita. Quell’uomo che, in seconde nozze, aveva sposato Filomena Barbagallo detta Lina, leccese, figlia di un magistrato borbonico che era stato allontanato dalla sua carica nel 1860. Da chi? Ma da Garibaldi e da suo segretario di Stato. Il cui nome era Crispi, Francesco Crispi.

Di Francesco Ghidetti

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