Il carcere da rottamare (Leggo)

di Isabella Pascucci, del 29 Maggio 2013

Da Leggo – 29 maggio 2013

Il guardasigilli Cancellieri: «Le nostre prigioni sono indegne di un paese civile»
ROMA – Carcere chiude causa fallimento. Quello prospettato da Salvatore Ferraro nel libro La pena visibile o della fine del carcere (Rubbettino) è un progetto audace, suggerito dalla crisi del sistema carcerario che, da più di tre secoli, manifesterebbe le sue falle.

E l’alternativa concreta è quella di una pena attiva, visibile, da scontare in luoghi pubblici. Ecco la rivoluzion “pellichiana” di Salvatore Ferraro. Quel Salvatore Ferraro. L’assistente universitario elegante. Il ragazzo bene condannato a quattro anni di reclusione per favoreggiamento nell’omicidio alla Sapienza – colposo disse la sentenza – della studentessa Marta Russo

Oggi, da studioso di Diritto, propone una riscrittura del percorso risocializzante del reo, svincolato dall’impiego del carcere, quella macchina burocratica soggetta all’usura della storia. Come il carcere è passivo e invisibile e rende invisibili i detenuti, vessandoli, e privandoli di una reale rieducazione, così la pena dev’essere visibile, aperta, attiva: «Il sanzionato adesso è solo» scrive Ferraro, destinato a uno spazio pubblico o privato, dall’ufficio al museo, in cui le possibilità di movimento siano circoscritte e in cui non trovi più riconosciuti disvalori originari, al riparo dalla promiscuità con altri colpevoli. Il condannato sarà in minoranza, costretto ad assumersi responsabilità, «collocato ai blocchi di partenza della società», chiamato a produrre risultati se vuole accumulare crediti e non debiti che allunghino la pena.

L’ambiente carcerario, invece, è quello in cui le credenze delinquenziali vengono rivitalizzate, in cui il contatto quotidiano con altri colpevoli alimenta l’aspirazione alla recidiva. È fonte di una desertificazione psicologica e incubatore di quel chiasmo strada-reato-reato- carcere-carcere-strada-reato: insomma, in prigione il detenuto è la sua colpa e la pena che deve espiare. È un invisibile, convinto che il suo status sia immodificabile. Ma per quel 94,5% di condannati giudicati “non pericolosi”, la rinascita è possibile. Anche l’incontro tra il ministro Guardasigilli Annamaria Cancellieri, il Sappe e altri sindacati del corpo di Polizia Penitenziaria ha rimarcato la crisi delle carceri, con 43mila posti letto regolamentari a fronte di 66mila detenuti; e 7mila agenti in meno, cosicché il Sappe auspica «una complessiva e organica riforma del Corpo» per «riallineare i ruoli dei vice Sovrintendenti, dei vice Ispettori e dei vice Commissari». E ha ragione Vittorio Antonini, coordinatore dell’Associazione Papillon di Rebibbia e detenuto dal 1985, che parla di questo libro come di un «piccolo miracolo. Perché chi migliora non lo fa grazie al carcere ma nonostante il carcere».

Di Isabella Pascucci

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