I presidi? Sono degli equilibristi (Il Secolo XIX)

di Donata Bonometti, del 28 Dicembre 2015

Massimo Cerulo

Gli equilibristi

La vita quotidiana del dirigente scolastico: uno studio etnografico

a cura di Fondazione Giovanni Agnelli

Da Il Secolo XIX del 23 dicembre

Ma il preside-sceriffo esiste davvero? Di tutto di più si è detto su questa figura professionale così decisiva per il buon funzionamento del sistema scuola. E dove è finito il preside che, una volta, aveva sott’occhio le sue classi una ad una, rispetto agli odierni spesso oberati da deleghe che li obbligano a dirigere più istituti? Dunque nella sua quotidianità professionale immaginate quante attività lo impegnano e quali e quanti ruoli si trova “costretto” a recitare. E dunque quanto interagisce e quali comportamenti adotta nel rapporto con docenti, personale Ata, studenti e soggetti esterni al campo scolastico? Che rapporto instaura con il direttore dei Servizi Generali e Amministrativi e con gli altri suoi più stretti collaboratori?
Numerosi gli interrogativi che suscita la figura del preside, a cui da una serie di risposte uno studio etnografico promosso dalla Fondazione Giovanni Agnelli e pubblicato come ebook da Rubbettino. Lo studio si intitola “Gli equilibristi. La vita quotidiana del dirigente scolastico” ed è opera del sociologo Massimo Cerulo che, per l’occasione di indagine, ha applicato la tecnica dello shadowing, seguendo “come un’ombra” per un’intera settimana quattro presidi di scuole secondarie superiori in quattro regioni italiane (Piemonte, Veneto, Calabria, Puglia) raccontando e analizzando comportamenti, dialoghi, interazioni, non detti.
Il risultato è un’innovativa ricerca sociologica che punta l’attenzione su una delle figure professionali più discusse degli ultimi mesi, facendo in particolare emergere che oggi il dirigente scolastico italiano è costretto a fare mille mestieri diversi, ma trova difficoltà a essere un vero leader educativo. Non è da oggi che i più anziani rimpiangono una funzione pedagogica oramai sepolta dalle carte della burocrazia che invadono la loro cattedra.
Nei quattro casi seguiti dal sociologo, il preside risulta passare gran parte delle sue ore di lavoro affrontando attività di carattere amministrativo e organizzativo, imposta le sue giornate in parte occupate dalla relazione con gli enti locali, con studenti e genitori, e talvolta deve far fronte a obblighi di natura giudiziaria in luogo dell’avvocatura dello Stato.
Quasi del tutto assente, si diceva, la leadership educativa: in nessuna delle scuole seguite dal sociologo il dirigente è colto mentre discute con il collegio o i singoli docenti degli specifici indirizzi educativi della scuola, dei pregi o dei limiti delle attuali pratiche didattiche adottate (e come possibilmente rinnovarle), dei problemi di questa o quella classe o di questo o quel dipartimento. E difficile dire se questa scelta sia legata alla volontà di mantenere il “quieto vivere” nella scuola, come a volte i genitori e le famiglie sostengono, astenendosi dall’interferire in un ambito che è spesso percepito di stretta e unica competenza del corpo docente, oppure se più semplicemente ai dirigenti manca il tempo – o talvolta le competenze – per dedicarsi agli aspetti didattici.
In ogni caso, conclude il sociologo, si tratta di un problema non da poco: se il preside – per una ragione o per l’altra – perde di vista l’oggetto stesso della sua azione, la sua efficacia non può che essere ridotta.
E dal prossimo anno, esattamente dal 1 settembre, parte un progetto di valutazione che riguarderà le singole scuole e quindi anche i dirigenti. Il modello di valutazione del preside è ormai previsto da diverse norme, sperando che si tenga conto, dicono gli interessati, «della valutazione degli altri soggetti della scuola (come i docenti e il personale amministrativo) in modo da poter corrispondere in modo sempre più efficace alla domanda di istruzione degli studenti».

di Donata Bonometti

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