I ‘mai vecchi’, i giovani italiani e la Chiesa

del 2 Marzo 2012

Intervista esclusiva ad Armando Matteo, autore de “La prima generazione incredula”
Su “Repubblica” di oggi Federico Rampini dedica un lungo servizio alla generazione dei mai vecchi: gli ultracinquantenni che si inventano una nuova giovinezza, a scapito però di quelli che giovani lo sono realmente. Abbiamo chiesto a don Armando Matteo, autore del fortunato best seller La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, qualche parola di commento:Don Armando, Federico Rampini in un lungo articolo apparso oggi su Repubblica, racconta della generazione dei mai vecchi ovvero di quella generazione di persone che sta affrontando quella fase che gli americani hanno brillantemente definito “seconda età adulta”. Leggendo il suo libro, La prima generazione incredula, però pare che le cose in Italia non siano poi così differenti…

Anche nel nostro paese i cambiamenti demografici sono molto rilevanti. La differenza maggiore è data da fatto che noi facciamo pochissimi figli e quindi lo squilibrio tra le generazioni è assai vistoso. Numericamente. E anche politicamente. Il Presidente della Repubblica lo ha ricordato a fine anno: da noi sono protetti soprattutto le fasce adulte e anziane. 

E poi c’è il problema educativo e culturale: gli adulti nostrani hanno fatto del significante giovane il bene massimo e il massimo bene della loro esistenza e non assumono più il ruolo essenziale dell’adulto, che è quello del testimone e di colui che sa passare il testimone. Detto in sintesi: la buona notizia è che i giovani sono pronti a prendere il testimone ma noi adulti no. Non abbiamo alcuna intenzione di lasciarlo. Insomma siamo una società che ama più la giovinezza che i giovani. Per quel che riguarda la qualità “adulta” dell’umano siamo in riserva da troppo tempo.

Il problema non è solo quello dell’allungamento della vita e delle opportunità che offrono ai singoli e alla società. Il problema è come intendiamo vivere e realizzare una solidarietà e una giustizia intergenerazionale dignitosa.

Qual è l’impatto che questo nuovo modo di concepire la giovinezza e l’adultità rischia di avere sulla Chiesa?

Il punto delicato è il seguente: quale attenzione intendiamo dedicare ai giovani? Le briciole, come fa la società, oppure una vera cura e dedizione? 

In una società come la nostra di adulti narc-cinici fissati come statue di sale all’istante memorabile della propria giovinezza, i giovani soffrono.

Chiamiamo questa sofferenza “emergenza educativa”, chiamiamola nichilismo, in ogni caso non possiamo più continuare, noi adulti, a fissare e proteggere i nostri privilegi. La Chiesa deve mettersi più coraggiosamente dalla parte delle generazioni più giovani.

Ritiene davvero che ci troviamo di fronte a una “prima generazione incredula”? Non si rischia forse di annullare tutti quei fenomeni di spiritualità che si registrano così abbondantemente tra i giovani di oggi? Non sarebbe meglio parlare di “diversamente credenti”?

Molti sociologi non temono di evidenziare il trend generale della generazione nata dopo il 1980 nei termini di estraneità all’esperienza religiosa cristiana. Il “Corriere della Sera” qualche giorno fa ha parlato di una generazione senza Dio. Non siamo in presenza di una negazione diretta del religioso e del trascendente. Resta una ricerca certo ma è assai generica. Il punto vero è che quando i giovani debbono prendere posizione su di sé e sul mondo il Vangelo di Gesù non si presenta all’appello. L’istanza di Dio non interloquisce con la ricerca umana della felicita. E sappiamo bene che il Dio cristiano almeno non accetta di essere una questione da fine settimana.

È stato annunciato un suo nuovo libro per Rubbettino, dedicato al fenomeno dell’abbandono della Chiesa da parte delle donne. Dunque dopo i giovani siamo di fronte a un’emergenza donne…

Il mio prossimo libro tende a portare l’attenzione su un fenomeno nuovo e assai rilevante per la vita della Chiesa: la perdita di stima da parte delle giovani donne. Ventenni, trentenni e quarantenni. Qui non c’è innanzitutto un problema di fede, ma di capacità della realtà ecclesiale di fare i conti con la nuova presenza di spirito delle donne nella società e di far fronte comune con esse contro il rinascente maschilismo della società italiana. Ovviamente questa inedita disaffezione delle donne alla Chiesa e poi decisiva per la questione della nuova evangelizzazione. Da secoli infatti da noi la trasmissione della fede segue principalmente la linea materna. Cosa succede se questo modello entra in crisi? E già abbiamo un problema di immagine pubblica della Chiesa: con il diminuire delle suore, ormai, il volto pubblico diffuso dell’istituzione è sempre più clericale se non addirittura episcopale. Non possiamo poi sottovalutare l’effetto di sfiducia generalizzato che sta creando lo scandalo della pedofilia dei preti e più recentemente il venire alla luce di queste lotte interne per la sete di carriera e di potere.

Il testo è liberamente riproducibile citando la fonte

 

Armando Matteo, già assistente nazionale della FUCI è docente di Teologia fondamentale presso l’Università Urbaniana di Roma e assistente nazionale dell’associazione Maestri Cattolici. E’ autore di saggi e articoli su Chiesa e modernità e del fortunato best seller La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede.

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