Di fronte al mistero liturgico. Eppure basterebbe un po’ più di silenzio (L'osservatore Romano)

di Adriana Zarri, del 18 Novembre 2013

Adriana Zarri

Nostro Signore del deserto

Meditazioni sulla preghiera

da L’osservatore Romano del 16 Novembre

A questo punto possiamo anche recuperare quanto poteva esserci di valido in talune obiezioni (a dire il vero molto banalizzate) degli avversari della riforma liturgica e dei sostenitori del latino.
Si disse, da parte di qualcuno, che la lingua incomprensibile avrebbe meglio custodito il mistero e difeso la contemplazione. Argomento maldestro, in quanto il mistero non è qualcosa di subrazionale (come accade nel diaframma linguistico) bensì di sovrarazionale, il che è evidentemente ben altro. Il mistero è la divina trascendenza; e sarebbe ridicolo che la si potesse sconfiggere con un po’ di grammatica latina! Senza dir poi delle letture bibliche, totalmente frustrate da un tramite linguistico incomprensibile e incapace di mediare e trasmettere il Verbo, in parole accessibili. Tuttavia, al di là delle obiezioni goffe, possiamo cogliere un loro possibile senso: che, cioè, non si esaurisce tutto nell’intelligibile e nel didascalico, che la pedagogia non si attua solo a livello logico e che una ricerca esasperata di razionalità può talora violare alcune soglie di silenzio in cui abita, più direttamente, il mistero. Soltanto che il rimedio non è quello puerile e formalistico di regredire verso l’incomprensibilità di lingue arcane (rimedio, tra l’altro, inefficace per chiunque le conosca; per cui gli indotti sarebbero privilegiati sui sacerdoti e sugli uomini colti), ma di camminare in avanti, verso il mistero autentico, in forme d’approccio da inventare ma che lascino uno spazio più vasto al silenzio (quello vero), all’ascolto, alla poesia, con quel suo tanto di ineffabile e pur detto che varca i segni del puro razionale.
Non va neanche negata a priori l’ipotesi che, in rari casi, l’incomprensibilità di una lingua sconosciuta possa tenere il posto del silenzio e reggere una contemplazione atematica, difendendola da quell’invadenza, da quel turbamento razionale che può rompere la quiete calmissima di certi stati di preghiera. Ma, in questo caso, il latino non vale più del greco o del sanscrito o di una filastrocca da bambini. Entriamo qui nella tecnica della contemplazione: un discorso che è stato del tutto eluso dalla nuova liturgia come, del resto, appariva lontano dalla vecchia.

di Adriana Zarri

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