De Soto e il trucco banche spendaccione (Il Giornale)

di Nicola Porro, del 8 Febbraio 2016

Da Il Giornale del 7 febbraio

Chi voglia capire, davvero, alla radice, le contraddizioni dell’attuale sistema bancario deve leggersi Moneta, credito bancario e cicli economici di Jesús Huerta de Soto (editore Rubbettino). Sono più di 700 pagine e la struttura del testo è logica, ma impegnativa. Tutto nasce da un grande inganno. Quando i risparmiatori vanno in banca e depositano i loro quattrini sul conto corrente, dovrebbero pagare per questa attività di custodia e di regolazione dei pagamenti, e invece ottengono una piccola remunerazione (oggi inesistente, visti i tassi di interesse sotto zero). Perché le banche pagano per custodire la nostra preziosa merce e non si fanno al contrario remunerare per la loro attività? De Soto ripercorre storicamente la nascita delle banche e del concetto stesso di deposito, dai Romani in poi.
Il trucco è semplice. Le banche ci pagano per i nostri risparmi perché più che custodirli esse li utilizzano a loro piacimento. Con il tempo questa libertà di utilizzo dei nostri quattrini come materia prima per gli affari delle banche è cresciuta. Ogni euro che depositiamo in banca, permette alla stessa di investire in attività rischiose (prestiti alle imprese, investimenti in titoli di Stato, speculazioni finanziarie) diciamo dieci euro. Secondo De Soto questo meccanismo (quello che tecnicamente si chiama della riserva frazionaria) è alla base della grande truffa del moderno sistema creditizio. Le banche prendono i nostri soldi e li impiegano, senza chiederci il permesso, come mattoncino per fare investimenti dotati di un certo rischio finanziario. Ciclicamente si assiste a gravi crisi bancarie, che poi diventano crisi economiche complessive e che derivano proprio da questa stortura. Le banche non ritornano indietro dei loro investimenti rischiosi e dunque se i risparmiatori si presentassero allo sportello per richiedere ciò che hanno depositato, salterebbe tutto il sistema: nei forzieri delle banche non ci sono più i liquidi che i risparmiatori hanno loro fiduciariamente affidato e che per contratto possono ottenere a vista.
Ecco perché le banche sono diventate una sorta di ircocervo: metà private, metà pubbliche. Quando entrano in crisi, i governi e gli Stati devono aiutarle per mantenere la pace sociale. Ma i principi e i nostri governanti hanno avuto tutto l’interesse a tenere in piedi questo sistema ibrido (a partire dai Medici, ricorda De Soto) perché da una parte si fanno prestare quattrini dalle banche per finanziare le loro spesucce pubbliche (prima erano le guerre, oggi sono il welfare per tutti), dall’altra le salvano quando queste falliscono. In mezzo c’è il cittadino contribuente: che presta soldi alle banche e poi per riaverli indietro contribuisce con le sue tasse a pagare il prezzo dei fallimenti creditizi.
Possibile che nessuno si sia accorto di questa stortura? De Soto è il più interessante economista della scuola austriaca, che però proprio tra i liberali stessi è dibattuta. I liberali di scuola americana criticano, in una certa misura, questa lettura. Ritengono che proprio grazie a questa moltiplicazione dei pani e dei pesci (per un euro in deposito si fanno prestiti per dieci) sia stato possibile l’impetuoso sviluppo del capitalismo occidentale. La disputa, tutta interna ai pensatori liberali, rappresenta forse ancora il dibattito economico più attuale e meno risolto.

di Nicola Porro

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