Armando Matteo e le giovani donne in fuga dalla Chiesa (Avvenire)

di pubblicata da, del 24 Aprile 2012

Qualcuno lo ha definito “un piccolo profeta di sventura” da quando, con il suo fortunato best-seller La prima generazione incredula, ha preconizzato il rischio della scomparsa della Chiesa dal continente europeo qualora non si decida ad affrontare seriamente il problema del rapporto con i giovani. Eppure il titolo di quel libro è finito per diventare un modo per identificare in maniera precisa (quasi come un marchio) i giovani nati dopo il 1980 che, figli dei figli del ’68, non hanno alcun rapporto con Dio e con la Chiesa perché non hanno mai ricevuto alcun annuncio cristiano.

Dopo il successo di quel fortunato pamphlet (citato tra gli altri da Enzo Bianchi ma anche da insigni prelati come mons. Crociata o il card. Ruini) l’attenzione del giovane teologo Matteo, già assistente nazionale della FUCI, si concentra adesso su quella che finora è stata ritenuta la roccaforte silenziosa della Chiesa ovvero quel folto gruppo di donne che ne hanno da sempre rappresentato il “pubblico principale di riferimento” e lo fa con La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa.

Già perché proprio tra le donne, e in particolare tra quelle che hanno meno di 40 anni, si registrano i primi preoccupanti segni di sfilacciamento di questo secolare e fecondo rapporto: vanno di meno a messa, scelgono di meno il matrimonio religioso, pochissime seguono una vocazione religiosa ed esprimono generalmente una diffusa diffidenza verso la capacità educativa degli uomini di religione, soprattutto dopo il grave scandalo dei preti pedofili.

Da dove si origina questa fuga delle quarantenni? Il saggio analizza varie cause: da una certa immagine della donna presente nell’immaginario delle gerarchie, oggi ampiamente superata dalla realtà, alla fissazione moralizzatrice degli ultimi decenni che ha pesato di più proprio sulle donne; dall’ambiguità crescente del rapporto tra fede e potere, appannaggio del mondo maschile, alla fatica sempre più evidente di un effettivo rinnovamento della vita concreta delle parrocchie. Questa Chiesa, conclude Matteo, ha un urgente bisogno di rinnovarsi. E forse il punto di partenza potrebbe essere proprio quello di avviare un dialogo più intenso ed esplicito con le donne.

Di seguito l’intervista ad Armando Matteo pubblicata da Avvenire il 17 aprile 2012

Il più difficile rapporto con la Chiesa delle 40enni di oggi e una consonanza ideale ancora incompresa. Parla il teologo Matteo.
È raro che il titolo di un libro diventi uno slogan culturale. È successo con La prima generazione incredula di don Armando Matteo, teologo di vaglia, docente all’Università Urbaniana di Roma, già allievo del pensatore tedesco Elmar Salmann.
Ora il focus d’indagine di Matteo, a metà tra il saggio di costume e l’inchiesta teologica, si concentra su La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa (Rubbettino, pp. 112, euro 10, da domani in libreria). Dove le sorprese non mancano: sulle donne la Chiesa “ufficiale”, vedi il magistero di Giovanni Paolo II, è giudicata dal teologo calabrese più “avanti” di quella “base”.

Lei individua in quella del 1970 la generazione del distacco tra l’universo femminile e la Chiesa. Un anno vicino al Sessantotto…

«Il mio libro nasce da due constatazioni. Nei miei diversi incontri in giro per l’Italia, tra parrocchie, associazioni, diocesi, ho riscontrato l’assenza, nella vita della Chiesa, delle quarantennio Questa percezione ha trovato conferma in un’indagine di Il Regno, curata da Paolo Segatti e Gianfranco Brunelli. Qui compare un dato significativo: dopo il 1970 non si nota più se siano i maschi o le femmine quelli più distanti dalla fede. Cioè, se negli anni precedenti al 1970 (quindi, alla soglia delle quarantenni di oggi) l’allontanamento dalla religione era più spiccato tra i maschi, da quell’anno non vi è differenza tra uomini e donne. La vicinanza con il ’68? Posso dire che, al di là della coincidenza temporale, nelle attuali quarantenni si evidenziano i segni della rivoluzione di quell’anno. Rivoluzione nel voler cambiare le parole comuni come “padre”, “madre”, “figlio” e nel voler creare tutto exnovo».

La distanza delle quarantenni è solo “colpa” della Chiesa?

«Il dato di partenza nella mia riflessione è che le giovani donne di oggi hanno meno stima della Chiesa rispetto a prima. Da qui azzardo alcune interpretazioni, senza voler essere esaustivo: anzi, il mio vorrebbe essere un contributo alla riflessione, ben vengano le obiezioni. A mio parere nella comunità dei credenti è mancato, rispetto all’universo “rosa”, lo stile conciliare dell’ascolto. Nel clero, soprattutto, sopravvive una certa immobilità dell’immaginario femminile. Troppo spesso si pensa ancora la donna secondo il detto tedesco Kinder, Kuche, Kirche, cioè “bambini, cucina, chiesa”. Nella Chiesa non c’è sempre stato un atteggiamento di ospitalità rispetto all’ acquisita soggettività della donna nell’era contemporanea. La teologia e il magistero, soprattutto a partire da Giovanni Paolo II, hanno superato ogni forma possibile di discriminazione e hanno chiarificato gli eventuali dubbi e le ambiguità. E invece a livello di Chiesa di base (penso alla formazione nei seminari) che rimane la fatica del prendere coscienza della nuova posizione sociale della donna».

E da parte femminile, qualche autocritica?

«Domanda delicata. Forse ci dovrebbe essere una maggior consapevolezza poiché, visto che in Occidente la trasmissione della fede è stata per lo più matrilineare, se perdiamo questo reciproco aiuto, quale scenario ci sta davanti? La questione della fede è legata a doppio filo con la figura della donna: sono state loro le prime evangelizzatrici! Mentre oggi subiscono la pressione mediatica di una società che continuamente pone il messaggio della Chiesa e del magistero contro di loro».

Lei nota un segno di speranza nei numeri stabili delle vocazioni monastiche “rosa”…

«È vero, su questo i dati sono positivi. La vita religiosa femminile in Italia non è in una situazione facile. Ma negli ordini monastici le donne” tengono” ancora, visto che sono 7 mila. In parte la crisi degli ordini femminili tradizionali è legata alla scomparsa di alcune situazioni (vedi la povertà o la mancanza di istruzione) che oggi non sono così pressanti nella nostra società. D’altra parte gli ordini monastici tengono in grande attenzione la cultura e la preparazione intellettuale delle donne. Le congregazioni “classiche” fanno fatica a ripensarsi nella società odierna».

La Chiesa ha più volte indicato come alcune” conquiste” della società, vedi fecondazione artificiale, aborto, selezione prenatale, siano contro la donna. Come fare perché la voce del magistero risuoni veramente come” dalla loro parte”?

«A mio parere, sulle questioni bioetiche bisogna restare da un lato fedeli ai temi e valori che lei enunciava, dall’ altro serve un linguaggio meno astratto e più legato alla concretezza della vita delle donne. Spesso il nostro parlare come Chiesa viene percepito come proveniente da un universo maschile, che non guarda alla vita concreta. Comunque, sono molti i temi su cui è possibile una nuova alleanza tra donne e Chiesa. Penso all’opposizione contro il maschilismo strisciante della nostra società, che discrimina la donna usandola nelle pubblicità e tv. Guardiamo a un dato: le laureate sono più numerose dei laureati, eppure le cattedre universitarie sono per lo più maschili! E poi: il problema della denatalità, della conciliazione tra maternità e lavoro, la posizione della donna in politica. Tutte questioni sulle quali è possibile trovare consonanza».

Di Lorenzo Fazzini

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