Amore e Psiche: la favola di Apuleio incanta gli artisti (La Stampa)

del 5 Dicembre 2012

amore_psyche_italiano_150Da La Stampa – 5 dicembre
Il neoclassicismo la reinterpreta con la raffinatezza delle opere di Canova e Gérard esposte a Milano. Sul cartiglio delle cinquecentesche incisioni attribuite all’ancora misterioso «Maestro del Dado» (un pozzo, da cui tutti attingono, per l’iconografia pittorica della storia di Amore e Psiche) si legge:

«Narra Apuleio, che (mentre egli cangiato in asino serviva a genti ladre)/ una sposa rubbaru…». Inizia così la gloriosa epopea d’una delle favole più note dell’antichità, piena di peripezie e sorprese narrative, inscatolate, a pressione, entro le Metamorfosi di Apuleio, scrittore nomade e «discepolo platonico».

Proto-romanzo d’avventura (secondo secolo d.C.) influenzato da Luciano, riscoperto da Boccaccio, tradotto da Boiardo. Racconta la magica trasformazione di Lucio in un asino, venduto a dei ladroni. Gli stessi che hanno rapito una fanciulla e la tengono a languire in una caverna. (Qui si ripara anche l’asino: sant’Agostino ribattezzò l’Asino d’oro le Metamorfosi). Una vecchia nutrice con fuso, interrompendo il suo filare, proprio come s’interrompe miracolosamente il romanzo, le racconta la favola di Amore (Eros) e Psiche, che si snoda per molti libri e numerosi «ricami» di luoghi, coinvolgendo cielo, terra, Inferi. Psiche è una bella fanciulla non nobile, così bella che nelle sue contrade la nominano Afrodite. Ma Venere ín persona s’ingelosisce di questo suo doppio terrestre, troppo bella e difficile, per trovare un marito. Ed invia il suo figliolo Eros sulla terra, a colpirla con le sue temibili frecce, per farla innamorare della prima persona che capiti, purché mostruosa. Ma è Eros ad essere colpito della sua venustà: s’innamora di Psiche, ottenendo da lei di amarlo solo di notte. L’iconografia pittorica omaggia spesso questo mistero: coltri e baldacchini manieristi, atmosfere notturne, lanterne e fiaccole, bende e panneggi, ed Eros che depone le sue frecce, accanto alle complici lenzuola, quasi fossero occhiali e cellulari messi in carica. Mentre Psiche si rode di curiosità, soprattutto se hai delle sorelle invidiose, che intrigano, come nella falsariga classica di Cenerentola. Facendole credere che lui è un obbrobrioso mostro serpentinato, e sennò, perché non si mostrerebbe, come un consorte qualsiasi? Infatti, proprio come capita nelle fiabe migliori (che in fondo si equivalgono) è l’interdetto, che maggiormente le brucia e la scotta. Proprio come nella fiaba di Barbablù o nella storia nordica di Lohengrin, che un’unica cosa chiede, di non chiedergli il suo nome. Ed in più, in questo caso, d’essere amato senza immagine, senz’esser guardato: paradosso figurativo, che ha turbato molta pittura. Una notte, munita d’un coltello (in realtà sarebbe un rasoio) per tema di trovarsi di fronte ad un mostro, e di una lucerna, che finalmente le sveli l’enigma, e che in realtà c’illumina regalmente quelle perfette fattezze nude, di putto serenamente addormentato, Psiche rimane incantata a rimirarselo, come se il tempo non esistesse più. Ma la curiosità donna va punita, così dalla lucerna esausta scende una goccia malandrina, che ustiona il corpo nudo e tradisce il tradimento. Sulle sue ali di Cupido, Eros fugge via irato, mentre desolata Psiche, che lo ha amato d’un amore invincibile, vaga per il mondo spoglio, impossibilitata a reincontrarlo. Ci si mettono gli Dei (consigli parlamentari nell’Olimpo, così ben rappresentati da Giulio Romano, a Palazzo Tè) a complicare le cose e a divertire il lettore. Venere stessa, tra il piccato e il pietoso, offre ancora un’ultima chance alla peregrina disperata, infilandola come un fuso, dentro terribili prove iniziatiche, che il Flauto Magico, al confronto, la diresti una passeggiata galante e cicisbea. Discese agli Inferi a dialogare con Proserpina (mito dell’inverno e della resurrezione primaverile). Pecore furiose da tosare dei loro velli d’oro, coppe da riempire a fonti inesistenti, semi da dividere, come in una trasmissione misterica della Carrà. Così ti rendi conto che Apuleio, nato a Madaura e nutrito di cultura orientainordafricana, sacerdote e avvocato di grido chierico vagante ed iniziato dei Misteri Eleusini, è anche un adepto della cultura neo-platonica, che vuole conciliare la filosofia pagana con il messaggio cristiano. Tra l’altro Apuleio ha sposato Pudentilla, madre molto più vecchia e poco avvenente del suo compagno di studi Ponziano, che muore giovane, lasciandolo tra parenti che lo accusano di plagio e di magia, e lui deve difendersi da solo dalla pena di morte. Dunque si tratta dell’epopea mistica quotidiana d’un’anima, o Psiche (con alì di farfalla, non a caso: vista l’omonimia in lingua greca di psyké) che deve ricongiungersi con il suo Amore incorruttibile e divino, perché Eros (come l’amore carnale) non è che un viatico graduale verso la Perfezione Ideale. Lo ritroverà in cielo, nel banchetto regale che gli Dei hanno allestito per lei, fanciulla povera e fortunata, assunta nei saloni eleganti d’una reggia chiamata Olimpo. Allora si capisce perché Raffaello, quando deve celebrare, tra l’esubero di tutte le grottesche di Penni, Perin del Vaga, Giovanni da Udine (suggestionate dalla recente scoperta epocale della creduta «grotta» della Domus Aurea) la storia della fanciulla plebea Francesca Ordeaschi, che va sposa con il nobile senese Agostino Chigi, committente della villa, scelga proprio questa storia allegorica ed edificante. E via così, nel Rinascimento: con Giulio Romano a Mantova, Dosso Dossi nei suoi lividi rami, Zucchi con i suoi dettagli medicei, Vouet ed i caravaggeschi,che sfruttano gli effetti notturni e tenebrosi: una goccia bollente per un amore eterno. Poi viene il neoclassicismo,con Canova e Gerard (protagonisti della mostra di Palazzo Marino), Cavaceppi & C.,storie d’ali di farfalla, infragilite nei marmi, un Giove winckelmanniano, che approfitta per lumacare con Eros, ed infine il Romanticismo, che insiste sugli aspetti più terribilisti (per proiettarsi poi: sulla nostra contemporaneità, con allusioni in Fabio Mauri, Pistoletto e Paolini). Un’anima, che nel periodo Impero si fa anche specchierina da camera, per riflettere i paterni ed í pallori di troppe signorine innamorate.

Di Marco Vallora

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