Alle origini del divario tra Nord e Meridione (Il Quotidiano del Sud)

di Filippo Veltri, del 23 Ottobre 2014

Da Il Quotidiano del Sud del 22 ottobre

Per spiegare le origini e la natura del divario economico fra il Nord e il Sud d’Italia, sono state richiamate differenze storiche remote tra le due aree: nei comportamenti sociali, nella storia e nell’evoluzione istituzionale o anche nella genetica delle popolazioni. I professori Vittorio Daniele e Paolo Malanima, dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, autori del libro Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011 (Rubbettino), offrono una loro chiave di lettura, che aiuta a capire le condizioni attuali del Sud e della Calabria e le loro differenze interne, arrivando ad una sostanziale conclusione: il divario fra le due parti del paese ha origini relativamente recenti. Si profila alla fine dell’Ottocento, quando inizia la crescita moderna dell’Italia, e costituisce una delle caratteristiche del processo di sviluppo che si è verificato nell’ultimo secolo e mezzo. Su questo periodo sono oggi disponibili nuove conoscenze che consentono dì riesaminare in maniera diversa un tema così dibattuto e così importante nella storia d’Italia.
Aggiungiamo: così vitale anche per il dibattito aperto ora dal “Quotidiano” su una possibile altra Calabria, dibattito che necessita un forte retroterra storico e di conoscenza. «La tesi che sosteniamo – dicono Daniele e Malanima – è che differenze, anche profonde, esistevano fra le regioni del Nord e quelle del Sud già alla data dell’Unità. Queste differenze erano, tuttavia, assai minori di quelle esistenti all’interno del Nord e del Sud. Un vero e profondo divario economico si presentò soltanto a partire dall’industrializzazione del paese, che viene oggi collocata negli anni Ottanta dell’Ottocento. Alla data dell’Unità, tra Nord e Sud esistevano differenze sociali. In alcuni casi queste differenze erano modeste; in altri, come nel caso dell’analfabetismo, assai nette e indicavano un vantaggio del Nord. Mentre per gli indicatori sociali esistono fonti dell’epoca, non è così per i redditi. Per questi ultimi esistono, infatti, solo alcune stime che consentono, però, di delineare un quadro dell’entità dei divari regionali nel prodotto per abitante. Queste stime mostrano come i divari regionali di sviluppo fossero molto modesti».
Cioè, anche al nord c’erano aree più avanzate e altre meno?
«A Nord come a Sud esistevano regioni più avanzate di altre; queste differenze risultavano maggiori rispetto a quelle tra le due aree del paese. La Lombardia era assai più sviluppata del Veneto. La Campania e la Puglia, avevano livelli di reddito procapite decisamente maggiori della Calabria e della Basilicata e superiori a quelli medi nazionali. Esistevano differenze sociali e istituzionali tra Nord e Sud. Per esempio, l’analfabetismo sfiorava il 90% Calabria e Sardegna, si collocava attorno all’80% in Umbria e nelle Marche e scendeva al 54% in Lombardia. Ma queste differenze non riflettono esattamente quelle nei redditi. Le stime di cui disponiamo – stime che, in futuro, potranno essere più precise – mostrano come, nel 1891, il divario Nord-Sud nel prodotto pro capite fosse dell’ordine del 10%. È assai probabile che nel 1861 il livello di reddito del Sud fosse solo di poco inferiore a quello del Nord».
Quando ebbe origine dunque il divario nordsud?
«A nostro avviso, il divario fu il risultato del processo d’industrializzazione dell’Italia. Questo processo si avviò nel Triangolo industriale, un’area che godeva di alcuni vantaggi iniziali e in cui, per una lunga fase, si concentrò l’industria italiana. Tra il 1881 e il 1913 la produzione industriale italiana crebbe a tassi sostenuti. La crescita industriale modificò non solo la struttura, ma anche la geografia economica dell’Italia. Il primato del Nord-Ovest divenne netto: nel 1911, ben il 55% del valore aggiunto industriale proveniva dal Triangolo industriale, solo il 16% dal Sud. In un’economia preindustriale – come quella dell’Italia del 1861 – non possiamo attenderci di trovare una grande differenza nel reddito pro capite fra le diverse regioni. Vi sono, tuttavia, alcuni indicatori che contribuiscono a spiegare perché un’area, che pure ha un reddito pro capite simile a quello di un’altra, è capace a un certo punto di decollare grazie allo slancio del settore industriale, mentre l’altra resta stagnante. Alcune differenze a vantaggio del Nord, quali la larga presenza dell’industria serica, un migliore sistema ferroviario, e una più elevata alfabetizzazione, costituivano condizioni favorevoli nel processo di modernizzazione e contribuirono al più rapido decollo del Nord; anche se, in termini di Pil pro capite, le differenze Nord-Sud nei primi decenni post-unitarierano contenute. Gli squilibri regionali crebbero anche per ragioni geografiche. Il Nord era contiguo ai grandi mercati europei. Il Sud geograficamente distante. In un paese “troppo lungo” come l’Italia, queste differenze influenzarono lo sviluppo. Il Sud, geograficamente periferico, lo divenne anche economicamente».
Insomma, un paese povero con modesti divari regionali.
«E’ nostra opinione che, se confrontiamo aree ampie e con caratteri geografici non troppo diversi, nelle società agrarie prima della crescita moderna, il divario nei redditi non fosse e non potesse essere troppo profondo. In tutti i casi si trattava di popolazioni il cui reddito medio non era molto distante dalla sussistenza. Il 90% della popolazione condivideva l’uguaglianza della povertà. Un 10% disponeva di qualcosa come il 30-40% del prodotto, e cioè del surplus che ampiamente eccedeva la sussistenza. Si allontanano da questo modello alcune civiltà che realizzano temporanei avanzamenti nelle tecniche o nelle istituzioni o in entrambe. L’Italia di Cavour e di Garibaldi non era certo fra queste civiltà. L’Italia aveva avuto un passato luminoso, ma quel passato era ormai lontano nel 1861! La nazione unificata nel 1861 era un paese povero e densamente abitato, con livelli di vita assai vicini alla sussistenza, sia a Nord che a Sud. In tutto il paese, come mostrano le indagini dell’epoca, vi erano condizioni di povertà diffusa. In Italia, l’aspettativa di vita alla nascita era di appena 30 anni. Nel primo decennio unitario, nel Centro-Nord, 120 neonati su mille morivano entro il primo mese di vita, nel Sud e nelle Isole 71 neonati. Con l’industrializzazione, i divari regionali divennero significativi. Nel Nord-Ovest la crescita industriale determinò un sensibile aumento del prodotto pro capite e la distanza dal Mezzogiorno rurale aumentò. Si avviò, così, un processo di divergenza tra le due aree. La graduatoria regionale nei redditi cambiò sensibilmente: nel 1911 la Campania era l’unica regione meridionale ad avere un prodotto pro capite analogo a quello medio italiano. In tutte le altre era inferiore. Il divario tra il Sud e il Nord aveva raggiunto allora 20 punti percentuali. Il meccanismo del dualismo economico si era messo in moto. Nel 1951, il divario Nord-Sud era del 50%. Quel che accadde in seguito è storia nota».

di Filippo Veltri

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